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www.ildialogo.org Lavoro manuale e lavoro intellettuale,di Lidia Menapace

Lavoro manuale e lavoro intellettuale

di Lidia Menapace

Continuo nella segnalazione di esempi che mi sembrano avere una carica forte di alternatività, se coscienti, e che quindi possono essere componenti di una strada rivoluzionaria nonviolenta.
Li segnalo come mi capitano, fedele a quella Teoria d'occasione, che propongo nel mio ultimo libro, anche per non essere io stessa dimentica di ciò che faccio, e così mi cito.
La bizzarria di aver festeggiato l'89° compleanno (non che rinunci al 90°) viene dal fatto che invitata dalle compagne dell'Udi di Catania il 3 aprile a presentare il mio libro, avevo detto:" Benissimo, il 3 è anche il mio compleanno!" Di lì tutti i festeggiamenti. Poichè sull'onda di ciò la Rai di Bolzano mandò a intervistarmi una giornalista che conosco da moltissimi anni per essere state insieme in vicende politiche e femministe, la giornalista stessa intraprese una chiacchierata fiume, nel corso della quale è venuto fuori che sarebbe interessata a una ridiscussione su lavoro manuale e lavoro intellettuale, perchè uno dei suoi figli, laureato e "masterato", però fa ogni anno del lavoro manuale per lo più agricolo e considera queilo la base della sua sopravvivenza, mentre ricerche al livello dei suoi titoli di studio le cerca e applica ed esegue quasi come un momento di libertà.
Naturalmente nella preistoria, quando io stessa fui giovane, mi ero un po' occupata di problem simili. Mi ricordo un seminario sindacale nel corso del quale, a furia di sentir parlare di diritto al lavoro e difendere come un diritto il lavoro "stabile e qualificato", venutomi un attaco di noia, ero sbottata: "ma perchè non invece mobile e creativo?". Mi fu spiegato che eravamo nel sistema capitalistico e non si poteva fare una "fuga in avanti", a quando nel comunismo ll lavoro necessario si sarebbe ridotto a due o tre ore al giorno, sicché sarebbe anche stato tollerabile eseguire lavori pesanti faticosi noiosi e molto esecutivi . Era giusto, ma che peccato! Ero ancora molto vicina ai tempi della Resistenza, quando avevamo creduto di poter cambiare il mondo con una cultura alquanto giacobina, che voleva tutti i salari uguali; e anzi i salari di chi faceva lavoro intellettuale, avendo studiato di più, penalizzati per dover restituire alla società il di più di spesa appunto per il prolungato tempo degli studi.
Adesso mi viene spesso spiegato che un numero sempre più elevato di ragazzi e ragazze (una significativa minoranza) vive con un lavoro manuale e fa ogni tanto un lavoro al livello del suo titolo di studio; e vi è anche chi considera questa forma , che è necessitata, adattabile a un modello di vita, che diventa una vera scelta.
Se questo modello si generalizza, esso mette in scena socialmente un alternativo uso del tempo, dello spazio, delle risorse e anche delle relazioni. Insomma ha tutti i caratteri per essere un pezzo di rivoluzione oltre la crisi capitalistica. Mentre la fuga dei cervelli, ripetendo il modello competitivo e meritorio, ribadisce senza respiro alcuno proprio il modello capitalistico del lavoro sfruttato e della società diseguale.



Mercoledì 10 Aprile,2013 Ore: 17:44
 
 
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