- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (611) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Governo e industria della guerra se ne fregano dei morti che le guerre provocano,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Governo e industria della guerra se ne fregano dei morti che le guerre provocano

di Giovanni Sarubbi

Giovanni Sarubbi
V
enerdì primo marzo 2019. Ho partecipato al Convegno “Produzione e commercio di armamenti: le nostre responsabilità” (vedi link). Una giornata densa di relazioni su un argomento fondamentale nello scenario politico attuale. Gli armamenti sono gli strumenti necessari e indispensabili per le guerre. Senza armamenti non si può fare la guerra moderna, fatta di bombardamenti a tappeto sulle città, sull’uso di armi di tutti i tipi a cominciare da quelle chimiche a parole proibite, sui droni, sui satelliti spia, sui missili cruise cosiddetti intelligenti, sulle super bombe, sulle armi nucleari e batteriologiche, sui sottomarini o le portaerei nucleari, sui sistemi antimissili, e via elencando un numero sempre crescente di mostruosità prodotte a ritmo continuo dalle industrie degli armamenti. Industrie che sono un vero e proprio sistema industriale tanto da avere una loro specifica associazione imprenditoriale sul tipo della confindustria. Associazione di cui è presidente dal 2014 il deputato Guido Crosetto del partito di Fratelli d’Italia [1], già sottosegretario al ministero della difesa nel IV governo Berlusconi dal 2008 al 2011. A dimostrazione della intercambiabilità nel settore degli armamenti di personale politico o militare che passa da incarichi politici ad incarichi di direzione nelle industrie di armamenti, cosa che vede coinvolti anche militari di alto grado.
E al convegno ha partecipato proprio Crosetto, nella sua qualità di presidente dell’AIAD, insieme all’attuale sottosegretario al Ministero degli affari esteri il grillista Manlio Di Stefano. Doveva esserci anche la ministra della difesa, anche lei grillista, Elisabetta Trenta che ha però declinato l’invito limitandosi ad inviare un messaggio di generico saluto.
Abbiamo riportato sul nostro sito la registrazione di tutto il convegno. Quello che ha visto la partecipazione dei responsabili istituzionali del governo e delle industrie di armamenti è il secondo dei quattro tenuti nella giornata di convegno.
Il succo di tale dibattito si può racchiudere in poche parole. Crosetto ha ribadito la perfetta liceità di tutto l’operato delle industrie da guerra che, a suo dire, rispetterebbero perfettamente la normativa vigente a livello italiano. Manlio Di Stefano, dal canto suo, ha dichiarato che per riconvertire l’industria bellica ci vorranno per lo meno 40 anni. Non è quindi una cosa che si può fare dall’oggi al domani e in più ci sarebbe il problema (per chi?) che se si dovesse chiudere una qualsiasi fabbrica, come la RVM sarda da dove partono le bombe verso l’Arabia Saudita che le sta usando per bombardare l’ Yemen, ci sarebbero immediatamente altre aziende europee pronte a fare la stessa produzione. Come dire “mica possiamo essere noi i fessi della situazione”. Cosa che è stata richiamata anche in un successivo intervento di un esponente della CGIL sarda che ha citato fra l’altro le dichiarazioni di un prete cattolico sardo. E i milioni di morti che le bombe provocano, compresi donne, vecchi e bambini? Quelli non importano a nessuno dei responsabili istituzionali e a quelli delle industrie belliche che non sono turbati affatto da ciò che producono le armi da essi prodotte e vendute. Non turbano i loro sonni né le foto dei morti in guerra, né gli appelli dei sopravvissuti né nessuno dei movimenti pacifisti esistenti.
La stessa dichiarazione di Manlio di Stefano la fece anni fa un vecchio democristiano quale Ferdinando Casini. Anche lui disse che ci vogliono 40 anni per riconvertire. Entrambi, Casini e Di Stefano, non considerano il fatto che fra 40 anni, se continua la folle corsa agli armamenti oramai in atto dalla fine della seconda guerra mondiale nel 1945, forse l’umanità sarà ridotta ai minimi termini e l’uomo tornerà a combattersi con la clava, secondo una famosa frase attribuita ad Albert Einstein.
Secondo i rappresentanti del governo e degli industriali degli armamenti non si può fare a meno dell’industria degli armamenti che è quella che consente ai governi di sedersi ai tavoli di trattative a livello mondiale avendo un qualche argomento di pressione costituito dall’ammontare dei propri armamenti.
È quello che fanno gli USA in primis, ma anche gli altri paesi a cominciare dalle grandi potenze quali Russia, Cina, Francia, Germania, Inghilterra.
Significativo il fatto che nessuna delle relazioni presentate al convegno ha parlato dello stretto rapporto esistente fa lo stato di sviluppo imperialistico del capitalismo e le industrie belliche. Le guerre e le industrie belliche sono state e sono ancora oggi il modo attraverso il quale il sistema capitalistico giunto alla sua fase imperialistica, che consiste in una sempre più alta concentrazione di capitali in pochissime mani a livello mondiale, cerca di risolvere le proprie crisi che continuano ad essere crisi di sovrapproduzione con conseguenti fallimenti a catena di aziende e ulteriori concentrazione di capitali e apparati industriali e finanziari. Le prime due guerre mondiali del secolo scorso sono state il frutto proprio di queste crisi che ciclicamente colpiscono il sistema sociale capitalistico. Con la guerra si distruggono forze produttive dei paesi sconfitti con acquisizione da parte dei vincitori di nuovi mercati e accesso alle fonti delle materie prime fondamentali per i processi produttivi. E quando c’è da ricostruire c’è chi si frega le mani e ride fregandosene di chi è morto.
Il complesso militare-industriale, così come è oggi configurato, si è sviluppato a partire dal New Deal («nuovo corso» o letteralmente «nuovo affare») promosso dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt fra il 1933 e il 1937, allo scopo di risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli Stati Uniti d'America a partire dal 1929. New deal che favorì proprio le industrie da guerra in previsione del prevedibile nuovo conflitto mondiale che sarebbe esploso da li a pochi anni. E quel complesso militare industriale costituito e sviluppatosi enormemente durante il conflitto mondiale ha continuato a produrre armamenti e a favorire la corsa agli armamenti. Nuove armi, nuovi affari, nuove guerre in un ciclo infernale e ininterrotto.
È il sistema capitalistico il responsabile unico della corsa agli armamenti e della oramai perenne guerra mondiale nella quale siamo immersi. Nessuno ricorda più la dottrina del presidente americano BUSH che nel 2001, dopo gli attentati dell’11 settembre, parlò di “guerra infinita” e di industria bellica come strumento per rilanciare l’economia.
Mettere in discussione il sistema sociale capitalistico, la sua economia, la sua mancanza assoluta di etica e di rispetto dei diritti dei lavoratori, la sua follia cieca tesa solo al massimo profitto e alla distruzione di tutto ciò che si oppone al dominio assoluto dei pochissimi monopolisti esistenti sul piano mondiale.
Che dire? Interessanti le conclusioni tirate dal rappresentante dei focolarini, che sono stati fra gli organizzatori del convegno. Manca però la consapevolezza dell’origine del male che è insita nel sistema sociale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Un altro limite del convegno sta nella non partecipazione dei vertici delle chiese che hanno organizzato il convegno, quella cattolica e quelle protestanti, che si sono limitate all’invio di un messaggio di saluto. Non era presente il cardinale Bassetti presidente della CEI, non era presente Luca Negro, presidente della FCEI o il moderatore della Tavola Valdese, che hanno delegato alle loro strutture di settore la presenza.
È questo il segno che il tema degli armamenti e della guerra non è sentito dalla grande massa del cosiddetto “popolo di Dio” nelle sue molteplici organizzazioni religiose esistenti. Su tali temi, dobbiamo prenderne atto, le organizzazioni pacifiste, antimilitariste e per il disarmo sono minoranza nelle chiese e nella società. Ci sono stati momenti nella storia dove ci sono stati imponenti mobilitazioni a livello mondiale per la pace (penso ai Partigiani della Pace degli anni ‘50 del secolo scorso), ma oggi in questo frangente storico c’è passività, c’è odio, c’è voglia di armarsi, favorita anche da chi propone di depenalizzare l’omicidio nascondendosi dietro lo slogan “la difesa è sempre legittima”. Slogan che si sostanza nel cancellare la proporzionalità fra offesa e difesa che solo un giudice può stabilire.
Pesa sul cristianesimo, religione nata a Nicea nel 325 d.c. ad opera dell’imperatore romano Costantino, il suo peccato originale costituito da quel “In hoc signo vinces” (che letteralmente significa: "in (sotto) questo segno vincerai"), la croce fiammeggiante che, secondo la leggenda, sarebbe apparsa in sogno all’imperatore Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 contro Massenzio e che gli avrebbe fatto ottenere la vittoria. Una croce trasformata in spada che avrebbe trasformato la religione cristiana da movimento di liberazione dei poveri in strumento di oppressione proprio dei poveri.
Dobbiamo prendere coscienza che chi lotta per la pace è ridotta ad una piccola pattuglia che al momento non possono impensierire né il governo né le industrie degli armamenti che infatti accettano il confronto perché sono consci della loro forza e del loro potere.
Ma essi non sanno che devono aver paura dei piccoli sassolini che possono inceppare le loro macchine da guerra portentose e dei piccoli resti quali noi siamo che resistono, resistono, resistono.
Giovanni Sarubbi

NOTE

[1]Si chiama Aiad, Federazione aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza, sito aiad.it



Domenica 03 Marzo,2019 Ore: 20:22
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Editoriali

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info