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www.ildialogo.org Liberarsi dal potere e abbracciare l’umanità,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Liberarsi dal potere e abbracciare l’umanità

Sul viaggio ecumenico di Papa Francesco


di Giovanni Sarubbi

Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: "La gente, chi dice che io sia?". Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti". Ed egli domandava loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. (MC 8,27-30)
I
Giovanni SarubbiI viaggio ecumenico di Papa Francesco a Ginevra mi ha fatto riflettere non poco. Sono stato aiutato dall’ottimo resoconto che l’amico Brunetto Salvarani ha fatto per il sito Settimana news (vedi link) dal titolo “Un viaggio verso l’unità”. Da esperto di questioni ecumeniche qual è, Salvarani traccia un quadro chiaro di ciò che è l’ecumenismo cristiano oggi.
E la lettura dell’articolo di Salvarani mi ha portato alla mente il passo dell’evangelo di Marco che ho messo in testa a questo articolo. "La gente, chi dice che io sia?", chiede Gesù ai suoi discepoli mentre era in viaggio. O, detto in altri termini, “chi sono i cosiddetti cristiani oggi per la gente?”, oppure, “cosa dice la gente dei cristiani?”, e ancora, “che esempio i cristiani hanno dato o danno di se al mondo?”, o ancora, “cosa sono le chiese cristiane oggi?”. E quelli che si dicono discepoli di Gesù che auto comprensione hanno di se stessi? Rispondono come Pietro o hanno capito quello che Gesù dice quando “ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”? Ripetono continuamente parole su parole, trasformando Gesù in un superuomo da porre sugli altari, o lo considerano un proprio fratello di cui seguire le orme, senza esaltare la sua figura ma imitando le sue azioni?
Un serio movimento ecumenico dovrebbe porsi queste domande ma di esse solo accenni fugaci anche nell’ultimo incontro di Ginevra. Il compianto vescovo di Avellino mons. Antonio Forte, diceva che non poteva esserci alcun progresso sulla via dell’ecumenismo senza una “comune confessione di peccato”. “Siamo tutti peccatori – diceva – perché tutti neghiamo l’evangelo di Gesù”. Ecumenismo significa mettere in discussione se stessi, e guardare alla propria storia e alle proprie dottrine in modo critico, prendendo coscienza di tutti gli orrori che le chiese cristiane hanno commesso, e ancora commettono, nel corso della loro storia.
Tutte le Chiese sono istituzioni di potere che nulla più hanno a che vedere con le “ecclesia” del primo secolo del movimento dei seguaci di Gesù di cui si parla nei Vangeli. Con il termine ecclesia si designava l’assemblea popolare nelle libere città dell’antica Grecia dove tutti i cittadini potevano partecipare e decidere. Le chiese sono diventate invece strumenti per legare le persone invece che liberarle; legano le persone al potere politico-economico delle società, secondo lo schema della “religio” romana, sintetizzata nella formula cuius regio eius religio; impongono dottrine su “dio” di cui pretendono di conoscere i voleri. E non ci sono progressi sulla via dell’ecumenismo perché si incontrano “istituzioni” che devono innanzitutto difendere la propria esistenza, i propri preti o pastori o pope che dir si voglia, le proprie scuole, ospedali e strutture materiali e l’esercito dei “funzionari di Dio” che comprimono e bloccano quello che i teologi chiamano “spirito santo”. Con le loro strutture e le loro dottrine impediscono che lo stesso spirito di quel “Dio” di cui parlano possa andare dove vuole e spingere gli uomini ad incontrarsi e a condividere ogni bene spirituale e materiale. E gli uomini che rappresentano tali istituzioni sono pieni di se stessi, prigionieri delle proprie dottrine e dei propri pregiudizi.
E si continua a parlare a vuoto e soprattutto a non prendere posizione nei confronti di quanti si definiscono cristiani e allo stesso tempo sostengono la guerra, la corsa agli armamenti, o promuovono il respingimento dei migranti alzando muri o il blocco navale contro di essi, mettendo fuorilegge e perseguendo, sempre in nome delle “radici cristiane dell’Europa”, quanti operano a sostegno dei migranti o di popoli marginali come i ROM. E giungono, in nome di “radici cristiane”, ad incarcerare persino bambini e a separarli dalle loro madri.
Su questo Papa Francesco ha detto alcune parole, le riprendo dall’articolo di Salvarani: «Sentiamoci interpellati dal pianto di coloro che soffrono, e proviamo compassione», perché «il programma del cristiano è un cuore che vede»: «Chiediamoci allora: che cosa possiamo fare insieme? Se un servizio è possibile, perché non progettarlo e compierlo insieme, cominciando a sperimentare una fraternità più intensa nell’esercizio della carità concreta?». Ecco, perché? Quali legami e quali forze economiche e politiche impediscono di operare per il bene?
La “diplomazia delle parole” non serve più. Servono invece precise parole di condanna di quanti, nascondendosi dietro al cristianesimo, promuovono politiche disumane e la distruzione stessa di tutta l’umanità.
Questo viaggio ecumenico, dunque, continua a non affrontare di petto le questioni principali che sono quelle poste dallo stesso Gesù nel brano del Vangelo con cui ho aperto questo articolo. E oggi come duemila anni fa non servono risposte teologiche, quella di Pietro; non serve cibarsi del “dio metafisico” invece del “dio umanità” che è quello prospettato da Gesù. E si continua ad imbrogliare la gente contravvenendo al preciso ordine di Gesù di non parlare di lui ad alcuno. Non abbiamo bisogno di supereroi ma di uomini e donne che tutti i giorni vivano l’amore fraterno con chiunque, senza pregiudizi.
Allora occorre liberarsi dal potere e abbracciare l’umanità.
Giovanni Sarubbi



Domenica 24 Giugno,2018 Ore: 23:10
 
 
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