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www.ildialogo.org IL FUTURO DELLE RELIGIONI: "Extra mundum nulla salus",di Roberto Mancini

Editoriale
IL FUTURO DELLE RELIGIONI: "Extra mundum nulla salus"

di Roberto Mancini

Le religioni sono un elemento fondamentale della cultura di ciascun popolo e ne esprimono le peculiarità al pari della filosofia, dell’arte, degli usi e costumi. Anche i conflitti, dagli atti di terrorismo alle guerre, hanno spesso una spiccata matrice religiosa che talora ne giustifica i comportamenti di estrema e crudele violenza. E’ legittimo dunque domandarsi quale sia il ruolo e il peso che le religioni hanno all'interno della società. Mi sforzerò di farlo in maniera corretta e franca.
Le funzioni delle religioni
In passato sono state prevalentemente due, una intimistica e una etnocentrica. L'accento intimistico scaturiva dalla priorità che alcune religioni davano alla salvezza spirituale e alla felicità ultraterrena. L'uomo religioso, preso dall'assillo di conseguire la ricompensa futura, veniva distolto dagli impegni della storia e la sua attenzione era rivolta agli affari celesti più che ai problemi della vita terrena. Predicando poi ossessivamente l'obbedienza e la sottomissione a coloro che rivestivano ruoli di potere, le religioni agivano come forza reazionaria, schierata dalla parte del potere costituito. In molti casi in simbiosi con esso. La seconda caratteristica è stata la funzione etnocentrica. All'interno di ciascun popolo, le religioni sono state un elemento di aggregazione facendo un tutt'uno con la cultura, la società e la politica. Ogni popolo aveva il suo dio. Tanti erano i popoli tanti gli dei. Questi avevano il compito di difendere e tutelare esclusivamente gli interessi dei propri credenti senza la minima comprensione nei riguardi degli altri. L'isolamento geo-politico, tipico del passato, contribuiva ad evitare i contatti e la contaminazione tra popoli e quando il confronto era inevitabile, ciascuna religione si trincerava al riparo delle rispettive (e indiscusse) rivelazioni. Questo contribuiva a generare, in prima battuta, una incomunicabilità generalizzata cui faceva seguito un reciproco atteggiamento aggressivo. Dobbiamo però aggiungere che la tensione intimistica e quella etnocentrica non sono state uniche e incontrastate. All'interno di molte religioni troviamo anche tensioni di segno opposto, come quella universale e quella sociale. La prospettiva universale si riscontra nel pensiero e nell’esperienza dei mistici, personaggi dalla spiccata spiritualità che giustamente possono essere considerati patrimonio universale dell’umanità. Dal loro linguaggio traspare l’afflato universale proprio di chi sa vedere nella specie umana un’intrinseca unità che va al di là delle diversità culturali e religiose. I mistici riescono ancora oggi a farsi capire da tutti, anche da coloro che appartengono a mondi diversi. Forse è per questo che le massime degli antichi saggi dell'India o della Cina continuano a toccare il cuore e la mente di noi occidentali. Emblematico a riguardo è il pensiero di Sa’di di Shiraz (Iran, 1208-1291), poeta persiano dell’età islamica classica. Alcuni dei versi sono riportati in una lapide all’ingresso del palazzo delle Nazioni Unite a New York:
I figli di Adamo sono membra dello stesso corpo,
perché nella creazione ricevono tutti l’identica natura.
Quando la sventura getta un membro nel dolore,
alle altre membra non resta più riposo”
La tensione intimistica invece ha avuto il suo contrappeso nella figura dei profeti che sono stati spesso specchio e portavoce di tensioni sociali. Nei loro scritti si trova l'accorata passione per il mondo e la sferzante denuncia dei soprusi perpetrati a danno dei poveri da parte dei potenti. Le loro pagine, se lette e riferite a molti contesti sociali contemporanei, sono di impressionante attualità. Il filone dei mistici e dei profeti, comunque, è sempre stato minoritario all'interno di tutti gli apparati religiosi. I profeti non sono mai stati capiti perché la loro voce andava contro corrente. Essi leggevano l'attualità socio-politica al di fuori degli schemi imposti dai detentori del potere e ne mettevano alla berlina il vuoto ritualismo e le chiusure etnico-culturali. Per questo motivo venivano recepiti come nemici della stessa religione e conseguentemente perseguitati dai loro co-religionari.
La sofferenza cosmica sfida le religioni
Ancora oggi le religioni interagiscono all'interno della storia e ne ricevono provocazioni e stimoli. Esse, se sapranno svolgere una funzione attiva, avranno un futuro, se invece non saranno capaci di intercettare le reali esigenze della società, avranno un declino inevitabile. Il mondo di oggi quotidianamente mostra l’enorme sofferenza cosmica che include gli uomini e la natura. La maggior parte degli esseri umani vive in una condizione disumana e non ha il necessario per affrontare i bisogni basilari dell'esistenza, né per sé né per i propri figli. Nonostante il grandioso progresso tecnologico, registrato negli ultimi due secoli, la famiglia umana nel suo complesso si è impoverita. Un numero enorme di persone (quante? c'è chi parla di oltre un miliardo e mezzo) non beve regolarmente acqua fresca, non mangia a sufficienza per rimanere sani e passa la maggior parte del tempo a raccogliere legna e acqua per cucinare. E' inutile elencare cifre e statistiche relative alla povertà mondiale. Quei numeri non ci impressionano più, li abbiamo letti così tante volte che ci lasciano indifferenti come quando leggiamo le previsioni del tempo. Eppure sono indicatori spietati che danno consapevolezza dell'enorme e lancinante dimensione della sofferenza umana. Questa non è più un’esclusiva del terzo mondo ma sta crescendo anche all'interno delle società opulente, come quella degli Stati Uniti e dell’Italia. Lo ricordano le immagini di persone che frequentemente capita di veder mentre frugano nei cassonetti per cercare qualcosa con cui sfamarsi o mentre dormono sui marciapiedi delle strade. La povertà altrui, però, cessa di lasciarci indifferenti quando minaccia la nostra sicurezza, allora la percepiamo come un grosso pericolo. Ci terrorizza constatare come il nostro continente sia preso d'assalto da milioni di migranti che per sopravvivere cercano scampo nelle nostre prospere democrazie. A quel punto la priorità della politica è arginare le masse dei poveri, che danno fastidio, senza minimamente pensare di combattere l’ingiustizia che genera la povertà. Ci affrettiamo a costruire centri recintati di filo spinato per bloccare e rispedire indietro gli intrusi molestatori, illudendoci in tal modo di porre fine al fenomeno dell'immigrazione di massa. Si farebbe meglio a riflettere se sia giusto che un sesto della popolazione mondiale consumi i cinque sesti dell'intera ricchezza del pianeta. L’immoralità più grave sta in questa inerzia e in questo menefreghismo e non nell’opera degli scafisti senza scrupolo che su barconi fatiscenti traghettano folle di poveri disgraziati. Per combattere la povertà ci vuole in primo luogo una ribellione interiore che sia motivata eticamente. E qui, a mio parere, entrano in gioco le religioni. Esse sono chiamate ad un impellente ruolo educativo da cui non possono esimersi se vogliono mantenere un minimo di credibilità. Abbiamo accennato che la sofferenza non attanaglia solo gli uomini ma affonda i suoi artigli anche nel corpo della terra. Ormai è di dominio pubblico che il nostro modello di economia distrugge la vita del pianeta. Le foreste si riducono, i deserti si espandono, i terreni coltivati perdono il loro humus, la fascia di ozono si assottiglia e i gas che producono l'effetto serra si accumulano. Danneggiando la terra, danneggiamo noi stessi. Non dimentichiamoci che abbiamo un solo pianeta su cui vivere e che le sue risorse non sono infinite. Se non ci daremo premura di custodirlo e conservarlo non avremo futuro. Insistere sulla strada dello sviluppo illimitato è da stupidi. Lo sviluppo da perseguire deve essere sostenibile, capace di soddisfare le legittime necessità umane (e non l’avidità) senza distruggere le risorse della terra. Questo cambiamento di mentalità deve verificarsi in una nuova sensibilità religiosa. Se l'acqua diventa simbolo di morte, perché inquinata e non più bevibile, è beffardo continuare a presentarla come icona di vita nella liturgia battesimale. Tutto si tiene e tutto è collegato. La religione cristiana, da parte sua, non può limitarsi a proclamare l'amore per il prossimo ma deve allargare l’orizzonte della compassione fino ad abbracciare il cosmo. La sofferenza che mortifica e umilia la vita, negli uomini e nella natura, è la conseguenza di politiche economiche e ordinamenti internazionali messi in atto al fine di tutelare e incrementare il potere e la ricchezza di una minoranza senza curarsi degli effetti devastanti che ricadono sulla vita dei popoli e del pianeta. La sofferenza cosmica non dipende da eventi naturali, ma è collegabile a precisi meccanismi di conclamata ingiustizia, contro cui è doveroso opporsi e ribellarsi. Quale è stato il ruolo delle religioni in un simile processo? L'accusa che alcuni rivolgono è che esse hanno sostenuto e giustificato lo sfruttamento di alcuni popoli a danno di altri contrastando e impedendo la ribellione delle vittime. Per dirla in termini evangelici esse hanno represso la fame e sete di giustizia dei poveri. Accusa grave ma non infondata (a mio parere). A questo punto mi domando: le religioni hanno ancora un messaggio di salvezza da proporre?
Extra mundum nulla salus’.
Alla luce di quanto detto emerge chiaro che il compito delle religioni non può esaurirsi nell’aprire un dialogo fra loro. Certamente ascoltare, parlare, capire, interagire con i credenti di altre fedi ‘è cosa buona e giusta’ ma non è sufficiente. Basti pensare che così facendo verrebbero esclusi coloro che non hanno un credo religioso (e non sono pochi). Limitarsi all’apertura con l'Altro religioso è carente, una grossa fetta di umanità resta tagliata fuori. Se invece l’apertura e l’interesse sono rivolti all’ Altro sofferente allora si ha un atteggiamento veramente inclusivo nei confronti di tutti gli uomini e dell’intero creato. In questa prospettiva si capisce che la teologia delle religioni non può essere separata da quella della liberazione dove liberazione va intesa nei confronti della sofferenza cosmica, umana ed ecologica. Questa è la novità storica che, meglio di ogni altra, risponde alla sfida di cui parlavo in precedenza. Personalmente penso che sia l'ultima frontiera della teologia, quella che personalmente condivido e apprezzo. A questo punto, c’è il titolo di un libro che mi piace citare perché sintetizza egregiamente quanto detto: 'una terra, molte religioni'. La preoccupazione per la giustizia ed il ben-essere eco-umano deve costituire la base e il punto d'incontro privilegiato per il dialogo inter-culturale e inter-religioso nel nostro villaggio globale che è divenuto un villaggio minacciato. E' in questo scenario che va rivisto il rapporto delle religioni fra loro. Se comune e complesso è l’insieme dei problemi da affrontare, comune deve essere il programma per risolverli. L'identità religiosa di ciascuno è chiamata a fare i conti con l'universalità della sofferenza e, data la gravità del problema, la priorità deve essere rivolta alla ricerca di un piano di intervento condiviso e fatto proprio da tutti. La diversità delle culture e delle religioni non deve essere paralizzante, non deve portare ad un letargo o ad un quietismo morale. Se per l'ossessione di salvaguardare la propria identità non siamo in grado di elaborare un programma comune per liberare dalla sofferenza il pianeta ed i suoi abitanti, vuol dire che lasceremo mano libera a chi detiene il potere, cioè a coloro che possiedono più soldi ed armi. Ancora una volta, saranno le nazioni più potenti a imporre le regole del gioco. Non è difficile indovinare a vantaggio di chi. Il valore di ogni religione si misurerà dunque dal grado di responsabilità che è capace di assumersi nella ricerca del ben-essere eco-umano. Non si può affermare che tutte le religioni sono vere e portatrici di un messaggio di salvezza. E' un'affermazione sciatta e pericolosa; è come dire che tutti i paesi occidentali sono democratici. La storia insegna che le religioni sono state spesso usate come mezzi di sfruttamento. Prima di dichiarare se un credo è buono dobbiamo esigerne l'evidenza, possiamo affermarlo solo dopo un esame accurato. L'albero buono lo si riconosce dai frutti. Un ‘detto’ che si addice anche alle religioni. La chiesa cattolica quando in passato ha posto al centro della sua missione se stessa (ecclesio-centrismo) essa ha parlato solo ai cattolici. Quando ha messo Cristo al centro (cristocentrismo) si è rivolta a tutti i cristiani (più o meno anonimi). Quando il fulcro dell’annuncio è stata la bontà universale di Dio (teocentrismo) ha parlato ai credenti di tutte le religioni. Se oggi, insieme alle altre religioni, essa scoprirà la centralità della soterìa (salvezza) eco-umana allora parlerà un linguaggio universale e tutti i figli di Adamo, credenti o atei che siano, la potranno comprendere perché al centro del suo annuncio avrà messo la difesa della vita eco-umana. Sono affascinato da questo allargarsi di cerchi concentrici che raggiungono l’ultimo orizzonte. E’ qui, allora, che mi viene spontaneo sostituire il vecchio adagio teologico 'extra ecclesiam nulla salus’ (al di fuori della chiesa nessuna salvezza) con uno di nuovo conio ‘extra mundum nulla salus’ (al di fuori del mondo nessuna salvezza) secondo il quale le religioni saranno valutate dall’apporto che sapranno dare alla tutela dell'umanità (intera) e della natura (intera). Altri banchi di prova non esistono.
Roberto Mancini
Per chi volesse approfondire:
- E. Balducci, L’uomo planetario, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1985
- P. F. Knitter, Una terra molte religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1998
- R. Panikkar, L’incontro indispensabile: dialogo delle religioni, Jaca Book, Milano 2001



Mercoledì 20 Gennaio,2021 Ore: 18:35
 
 
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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 08.15
Titolo:Presentazione di Roberto Mancini
Roberto Mancini ha conseguito la licenza in teologia antropologica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze). Dal 1970 al 1984 è stato sacerdote nella parrocchia di San Francesco all’Alberino di Siena. È stato responsabile della formazione degli obiettori di coscienza al servizio militare presso la Caritas diocesana
di Siena in cui ha ricoperto anche la carica di Presidente.
Coordinatore provinciale della Campagna di obiezione alle spese militari, per anni è stato membro della segreteria nazionale della Difesa Popolare Nonviolenta.
Direcente ha pubblicato con Gandhi Edizioni il libro: Ora è uno come noi. Gesù ha abolito la violenza del sacro e del patriarcato.
Autore Città Giorno Ora
Mauro Fazzi SIENA 21/1/2021 16.19
Titolo:Cosa aggiungere ancora?
Se è vero, come è vero, che "altri banchi di prova non esistono", rimane ben poco da "commentare" sul futuro delle religioni. Ma vale la pena spendere 2 minuti di apprezzamento per chi ha scritto e per chi ha pubblicato. Chiarissimo e splendente il concetto. E profetica poi la traccia che si delinea per un sentimento "religioso del mondo". Condivido l'idea che ogni possibilità per una "soteria" che sia definitiva, stabile ed efficace, debba per forza passare da un sollecito riordino delle priorità, vissuto come "inversione/conversione" della rotta. Una “conversione” classica, che potrà distendersi sul piano spirituale e “religioso”, ma anche soltanto una riconversione morale, totalmente laica: politica e scientifica insieme.
E dovremo forse accettare di ridefinire il senso del "sacro", assegnando tale “valenza” (si perdoni il gioco di parole!) ad una serie di “valori” (che in verità possono avere molti nomi), quali la "compassione" (nel senso buddista) o la "carità" (come definita dai primi cristiani) o magari soltanto il "rispetto" e la "solidarietà" (termini in voga nelle moderne democrazie occidentali). Valori che siano capaci di muoverci incontro a tutti gli uomini e a tutte le altre creature della terra, ma soprattutto incontro a questo pianeta che è la nostra unica casa.
E sembrerebbe semplice, e infatti l’autore lo fa, individuare con certezza la traccia del cammino.
Sul perché poi questa rotta di pellegrinaggio sia oggi pressoché deserta e abbandonata dagli uomini e dalla donne di buona volontà, molto ci sarebbe da dire, ma lascio ad altri la parola e la fatica.
Mentre l'umanità intera danza da molti decenni sull'orlo del baratro, non è cosa da poco la semplice intuizione di una rotta giusta e possibile, salvifica e condivisa. Riemerge dai ricordi una immagine a definire il triste passaggio, quella di qualcuno che sta precipitando nel vuoto e che però potrebbe salvarsi "con un solo colpo d'ala un attimo prima di sfracellarsi a terra” (G. Pucci - Anni '70 del Novecento).
Mi piace qui condividere il mio personale e "religioso" (nel senso del latino "religo") sentimento del vero, in questa necessità di riconciliazione dei pensieri e delle azioni, di riconversione delle energie, sull'unico bene durevole che è la salvezza del pianeta, del quale la specie "homo sapiens sapiens” è soltanto una piccola parte, una comunità recente, appena sbarcata e già molto invasiva, piccola creatura nell’Universo Creato. Una creatura ignara che potrebbe essere magari espulsa dalla Grande Madre come un semplice aborto, una creatura perduta per estinzione ancor prima di diventare adulta, per aver giocato male le proprie carte.
In chiusura mi sia perdonato anche un piccolo cenno di realismo, che restituisca equilibrio a tutto il discorso.
Non va escluso infatti che forse questo pianeta un giorno non lontano si dimenticherà di noi.
E anzi vorrei dire che, se nel tempo futuro un’altra specie, più evoluta di noi, volesse raccontare la breve storia del nostro transito, se la potrà cavare con pochissime parole, non avrà necessità di romanzare la storia, di narrare con enfasi le gesta eroiche della “antica civiltà umana”, e meno ancora di usare toni epici, drammatici, o solenni. In fondo, se andasse davvero così, vorrà dire che non li avremo meritati.

Ringrazio “Il Dialogo” per questa opportunità e saluto chi avrà letto fino a qui. A volte scrivere è un esercizio di consolazione, e anche leggere lo può diventare. Quanto poi a trovare la dignità del nostro destino di esseri liberi, il cammino appare molto più faticoso.

Mauro Fazzi detto “Maurinho”
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 25/1/2021 13.35
Titolo:In risposta al commento di Mauro Fazzi detto “Maurinho”
Mauro Fazzi detto “Maurinho” ha delle capacità di riflessione e di scrittura sicuramente fuori dal comune, che non possono più restare nascoste.  Bellissima la sua precedente recensione al libro Roberto Mancini "Avviso ai naviganti" e bellissimo questo suo commento qui pubblicato. Avremmo bisogno al Dialogo della sua penna e del suo eloquio anche in futuro.  

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