- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (1395) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org IMPARARE DALLA STORIA MAESTRA DI VITA, RICORDANDO I PROFETI PER COSTRUIRE IL FUTURO,di Raffaello Saffioti

Editoriale
IMPARARE DALLA STORIA MAESTRA DI VITA, RICORDANDO I PROFETI PER COSTRUIRE IL FUTURO

di Raffaello Saffioti

Varie domande per pensare.
Leggere la storia per conoscerla e ricordarla.
Che tempo storico è questo che stiamo vivendo?
Cosa stiamo imparando? E cosa abbiamo imparato dalla storia?
Il coronavirus può essere interpretato come un segno del tempo?
Segnerà un cambiamento d’epoca?
Quale futuro dopo il coronavirus?
La storia è “maestra della vita”?
Ricordiamo Marco Tullio Cicerone (106 a. C. – 43 a. C.)
Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis, qua voce alia nisi oratoris immortalitati commendatur?” (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36) (E da quale altra voce se non da quella dell’oratore può essere resa immortale la storia, la storia dico, testimone delle età, luce del vero, anima della memoria, maestra del vivere, interprete del passato?)
Ricordiamo i profeti come nostri padri e maestri che hanno letto i segni del tempo e ci inducono ad andare avanti.
Il loro destino è di essere perseguitati, talvolta condannati dai tribunali o uccisi mentre sono in vita.
Ma dopo la morte il loro destino è di essere imbalsamati e beatificati dagli eredi dei farisei ipocriti.
Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia”. (Lc 12,1-3)
Gli storici diranno se la crisi sanitaria che l‘umanità sta soffrendo, a causa della pandemia provocata dal coronavirus, segni un’epoca di cambiamento o un cambiamento d’epoca.
Intanto c’è da pensare. Ma c’è da credere che dopo la fine della pandemia tutto non potrà tornare come prima.
Cosa cambierà? Dovrà cambiare il modo di pensare e di vivere. Tutti dobbiamo interrogarci e metterci in discussione. Non possiamo restare indifferenti o neutrali.
La crisi è globale.
In tutto il mondo l’umanità è dominata dalla paura del contagio.
Il coronavirus è un microrganismo invisibile.
Esso è il nemico da cui difendersi mentre le persone continuano a morire in varie parti della terra e siamo in attesa del vaccino preparato dagli scienziati. L’umanità malata ha bisogno di essere curata.
Questo virus ha fatto crollare tutte le frontiere.
Se questo è vero, a che servono gli eserciti?
Oggi si comprende più facilmente che “la guerra è follia”.
Perché continuare con gli armamenti e non disarmare, destinando alla sanità le spese per le armi?
Il diritto umano alla salute è diventato prevalente sugli altri diritti.
La pandemia ci ha costretti a cambiare il nostro stile di vita.
La libertà di movimento è stata sacrificata e siamo stati confinati nella vita familiare.
Abbiamo bisogno di riflettere sul senso della vita e della morte, sulle relazioni umane, sull’organizzazione della società, sul rapporto con la natura. E sul diritto alla pace.
***
Dobbiamo ricordare i profeti della pace, non per imbalsamarli, ma per costruire il futuro.
Possono essere anche condannati dai tribunali, ma la storia non va avanti con le sentenze dei giudici.
Ernesto Balducci (1922-1992) è uno di essi.
 Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarietà’.
Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Soffrì l’ostilità della Curia diocesana. Fu processato e condannato per apologia di reato nel 1964, per un articolo-intervista intitolato "La Chiesa e la Patria", sul “Giornale del Mattino”, col quale criticava la sentenza di condanna di Giuseppe Gozzini, primo obiettore di coscienza cattolico in Italia. Fu anche denunciato al Sant’Uffizio,
Negli anni del dopo-Concilio fu autorevole punto di riferimento per quanti si trovavano in una posizione periferica dell’istituzione ecclesiastica.
La tensione dei suoi rapporti con i Vescovi italiani si aggravò in occasione delle elezioni politiche del 1976. In quelle elezioni cattolici a lui vicini (Mario Gozzini e Raniero La Valle) si candidarono come indipendenti nelle liste del PCI.
In quegli anni si venne attenuando in lui la speranza di rinnovamento dell’istituzione ecclesiastica e maturò la sua “svolta antropologica”.
Vasta la sua bibliografia.
Fu animatore, dal 1981, di un ciclo di convegni della rivista Testimonianze sul tema Se vuoi la pace prepara la pace. 
Autore, con Lodovico Grassi, dell’antologia La pace. Realismo di un’utopia (Principato, Firenze, 1983). Ed è autore della Introduzione a questa antologia.
Dalla Introduzione:
“Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno, dinanzi a tale prospettiva, si fa più serrato il confronto tra gli utopisti, secondo i quali è possibile, in ragione della stessa smisuratezza del pericolo, uscire una volta per sempre dalla civiltà della guerra, e i realisti, secondo i quali il bene della pace, anche oggi come sempre, può essere custodito solo dall’equilibrio delle forze in campo.
Il contrasto tra utopisti e realisti è antico quanto la cultura, ma ha cominciato a diventare acuto agli inizi dell’età moderna. 
[…] L’umanità è entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si è trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
[…] In questi decenni la specie si trova in una congiuntura del genere: il fuoco atomico, che la sua intelligenza le ha messo tra le mani, può incendiare e distruggere sulla Terra ogni germe di vita o può diventare lo strumento per inaugurare una pagina totalmente nuova della storia umana, quella in cui il genere umano viva pacificamente nell’unica città che è ormai il nostro pianeta. Per la prima volta questa utopia è diventata realistica, sia nel senso che essa è per la prima volta tecnicamente possibile, sia nel senso che essa è l’unica alternativa alla morte universale Quel che le manca è, appunto, una cultura che sia al suo livello, cioè, come si è detto, al livello della voce della coscienza e dell’istinto, una cultura della pace che succeda alla cultura della guerra di cui noi siamo figli, così come alla cultura paleolitica successe, più di diecimila anni fa, la cultura neolitica che ancora sopravvive nelle sue istituzioni fondamentali.
[…] La passione ecologica è un capitolo importante della cultura della pace.
[…] L’emancipazione femminile è potenzialmente un altro capitolo della cultura della pace.
[…] Morendo alle sue terribili stagioni di complicità con le guerre, il cristianesimo di ogni confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che è la passione per l’uomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civiltà della pace è come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le giudicherà.
[…] Se ne accorga o meno, la scuola è ancora un organo di diffusione della cultura padronale che è, per forza di cose, cultura di guerra, in contrasto strutturale con i processi di crescita che abbiamo appena indicato. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi finché non scenderanno a questa profondità, per mettere in questione il presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.

Uno dei modi con cui la scuola può inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi è la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed è un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredità. Tutto ciò che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell’utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato ai margini come ingenuo o poeticamente evasivo. E’ razionale solo ciò che è reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere. La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco più che interpunzioni nel «continuo» del divenire bellicoso della civiltà. La «verità effettuale» è diversa. E’ diversa non solo nell’animo e nel costume dei popoli, che negli annali ufficiali sembrano piuttosto oggetti che soggetti di storia, ma anche nello svolgimento del pensiero a cui è solito rifarsi, come propria sorgente, il mondo moderno.
[…] Secolo dopo secolo, autore dopo autore, l’utopia della pace appare in queste pagine sempre in un rapporto dialettico con la realtà della guerra e appare sempre, alla prova dei fatti, perdente. Solo oggi, nell’era di Hiroshima, le due logiche, quella dell’ideale morale e quella della necessità realistica, arrivano a coincidere dischiudendo una ricca gamma di prospettive morali e politiche.

Gli autori della rassegna non nascondono affatto quale sia, in rapporto a questo singolare evento della coincidenza tra utopia e realismo, la loro posizione, anzi hanno voluto apertamente dichiararla fin da questa lunga premessa”. 
***
Balducci è autore anche del libro L’uomo planetario (Camunia, Milano, prima edizione, 1985; Giunti, Firenze-Milano, nuova edizione, 2005, pp. 192).
Leggiamo, dall’ultimo capitolo (8) della nuova edizione di questo libro:
“[…] L’idea di uomo planetario è, come le idee metafisiche di Kant, senza contenuti fenomenici e vale, per ora, solo come «principio regolativo» del pensare e dell’agire. Di tanto in tanto, sono passati tra di noi uomini che ci sembravano quasi stranieri, tanto diversi dalla nostra tribù erano nel linguaggio e nelle opere. Essi prefiguravano l’uomo che attendo, anzi, che è già in me, dentro l’involucro dell’uomo vecchio. Mentre abito la città presente, con i suoi miti, i suoi dogmi, le sue divisioni, insomma la sua ferocia velata di cultura e di religione, già abito, per una specie di doppia appartenenza, la città planetaria, in cui, divenuto inutile il tempio, ogni uomo ama spartire, come Melchisedec e Abramo, il pane e il vino.
Non ci sono armi nella città in cui già vivo con una parte di me. E non c’è nemmeno la competizione tra le diverse religioni, perché la diversità è solo retrospettiva, vale solo come un tratto della memoria del lungo cammino. Venuta meno la necessità del salvagente, il vero culto di Dio è nell’essere di aiuto all’uomo, sempre più libero dalla necessità, ma proprio per questo sempre più fragile e precario negli spazi dell’universo.
8. E’ qui, su questo limitare fra il passato e il futuro, che mi è possibile, senza niente rinnegare di ciò che sono, intuire una mia nuova identità di credente. L’uomo planetario è l’uomo postcristiano, nel senso che non si adattano a lui determinazioni che lo separino dalla comune degli uomini. Liberata dalle sue obiettivazioni ontologiche e restituita alla sua dinamica esistenziale, che cos’è l’Incarnazione se non un’immersione di Dio nell’umano, in virtù dell’amore che di Dio è la stessa essenza? I cappellani militari che si sciolsero dai fianchi i salvagente per offrirli ai fratelli e colarono a picco nell’oceano danno perfetta figura al mistero in cui si nasconde il mio Dio. La qualifica di cristiano mi pesa.
Mi dà soddisfazione sapere che i primi credenti in Cristo la ignoravano. Il termine fu inventato ad Antiochia, nel 43, dai burocrati e dai militari romani che, per ragioni di ordine pubblico, avevano bisogno di identificare in qualche modo certe comunità poco conformi alle regole della società. Dunque, un’invenzione del potere, che distingue per meglio nominare. Come le schedature, le identificazioni sociologiche rientrano nelle necessità del Panopticon: chi vi si adatta, asseconda già con questo un progetto d’integrazione mondana.
«Non sono che un uomo»: ecco un’espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime. E’ vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti, ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello all’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni. Non era più, allora né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, com’è universale la qualità che in quell’annullarsi divampò l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé.
E’ in questo annientamento per amore la definizione di Gesù, uomo planetario. Prima di morire gli avevano gridato: «Se sei figlio di Dio, salva te stesso». Ma non poté salvarsi, perché aveva deposto fin dal nascere la cintura di salvataggio. Fu così che discese agli inferi. Perfino il suo Dio l’aveva abbandonato nel momento in cui, scivolato nell’oceano della morte, divenne per sempre il fratello di tutti i disperati. La sua universalità va riposta qui, in questo suo libero insediarsi, per amore degli uomini, nel cuore della totale negatività. Tra me e lui ci sono sette pareti d’ideologia, perché io ho imparato il suo nome con la spada in mano, come voleva la pedagogia dell’intransigenza. Le sette pareti stanno cadendo, una dopo l’altra, e dopo ogni caduta mi sembra di capire meglio che significhi la sua sequela.
Tempo fa un mio fratello di fede, anzi un vescovo, ha detto che prendere la croce e seguire Gesù vuol dire scegliere il disarmo unilaterale. Paradosso profondo, in cui mi ritrovo. Ma i paradossi che dovremo dire sono innumerevoli. Gesù rivelò cose che solo a noi è dato capire, perché solo oggi la misura dell’iniquità ha raggiunto il colmo. Quando sento ripetere che il messaggio di Gesù è universale perché egli è il Logos nel quale, dal quale e per il quale tutte le cose sono state create, una specie di immenso sbadiglio mi sale dal profondo, come dinanzi a una verità resa vacua dall’abuso. Ma quando rifletto in silenzio sui gesti concreti con cui egli, mettendosi contro gli uomini della religione e del potere, andò incontro ai poveri, ai miti, agli afflitti, ai perseguitati, è come se scorgessi nel buio un sentiero di luce, il sentiero che ancora oggi discende alla profondità degli inferi dove il senso e il non senso, la vita e la morte, l’amore e l’odio si confrontano.
Qui tutte le identità perdono di senso per lasciare posto all’unica che ciascuno è in grado di dare a se stesso, al di fuori di ogni eredità, semplicemente con l’assumersi o con il rigettare la responsabilità del futuro del mondo. Se noi lasciamo che il futuro venga da sé, come sempre è venuto, e non ci riconosciamo altri doveri che quelli che avevano i nostri padri, nessun futuro ci sarà concesso. Il nostro segreto patto con la morte, a dispetto delle nostre liturgie civili e religiose, avrà il suo svolgimento definitivo.
Se invece noi decidiamo, spogliandoci di ogni costume di violenza, anche di quello divenuto struttura della mente, di morire al nostro passato e di andarci incontro l’un l’altro con le mani colme delle diverse eredità, per stringere tra noi un patto che bandisca ogni arma e stabilisca i modi della comunione creaturale, allora capiremo il senso del frammento che ora ci chiude nei suoi confini.
E’ questa la mia professione di fede, sotto le forme della speranza. Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio delle culture, non mi cerchi. Io non sono che un uomo”. (pp. 174-176)
***
L’ultimo libro di Balducci è La terra del tramonto (Edizioni Cultura della Pace, Firenze, 1992) e può essere considerato il suo testamento spirituale.
L’uomo inedito”
E’ il titolo di un articolo di Mario Gozzini su questo libro.1
Epigrafe del libro:
"Dedico questo libro alla memoria di Atahuallpa, ultimo re degli Incas, e ai 70 milioni di indios immolati dall"uomo moderno' nel quinto centenario della loro sventura".
Gozzini ha scritto.
“Dedica provocatoria: in quanto le celebrazioni colombiane in corso — nonostante gli sforzi dei pochi che cercano di non farsi coinvolgere dal trionfalismo prevalente — sembrano voler rimuovere di che lacrime grondi e di che sangue quella che chiamiamo scoperta e in realtà deve dirsi conquista devastante. Il libro di Balducci non è semplicemente un richiamo di forte passione civile alla coscienza di quella devastazione, di quell'eccidio prolungato e feroce che sormonta, almeno sotto il profilo quantitativo, lo sterminio nazista degli ebrei. Il libro è soprattutto la ricerca e l'analisi delle cause profonde dell'eccidio, della incapacità radicale dimostrata dall'uomo occidentale a stabilire con l'altro, con l'indio, un rapporto dialettico fra diversi, destinato ad un arricchimento reciproco e non a sottostare al dilemma violento cui l'uomo occidentale non riuscì a sottrarsi, il diverso o si assimila e diventa come noi o va annientato.
Ecco allora la pertinenza di quella dedica: il tema generale del libro, che ha per sottotitolo Saggio sulla transizione, è il processo ideale, culturale, sociopsicologico all'Occidente irretito nella presunzione del proprio primato e nella indebita estrapolazione (ed esportazione) universalistica della propria (presunta) civiltà. Il sottotitolo — evidentemente, con voluta implicita allusione critica a un concetto corrente di una certa vulgata marxista, riferito al passaggio dalla società basata sulle classi alla società senza classi — esprime efficacemente il sottotema del tema principale; o noi riusciamo a varcare le colonne d'Ercole della cultura cui siamo storicamente, anzi geneticamente legati — la cultura etnocentrica del dominio: l'uomo ha senso in quanto domina gli altri e la natura —, e ci apriamo a un rapporto con gli altri, i diversi, più disponibile a ricevere, più, in una parola, reciproco, o altrimenti siamo destinati a soccombere, a essere sopraffatti, in ultima analisi a sparire.
La «transizione», in quel modo intesa, è l'alternativa possibile alla catastrofe. Ed ecco perché il libro non può essere inscritto nel catalogo della letteratura apocalittica o catastrofista che dir si voglia. A questa letteratura, o cultura, del resto, Balducci non ha mai appartenuto; e non perché, essendo credente, frate, prete, non poteva appartenervi per coerenza con la fede professata, ma perché gli era sufficiente una riflessione del tutto laica — storica, antropologica, scientifica, senza alcun presupposto religioso — a vedere e ad affermare, con straordinaria vivacissima passione, la possibilità insita nell'uomo di autotrascendersi, di superare sempre qualsiasi assetto socioculturale definito, ma da non ritenersi mai definitivo.
A tal proposito, Balducci avanza una metafora di grande suggestione e di alta provenienza, dalla mistica medievale a Ernst Bloch, metafora che potremmo anche assumere come suo testamento spirituale, come il messaggio ultimo che ci ha lasciato: la distinzione fra «uomo edito» e «uomo inedito». Una distinzione che si potrebbe anche tradurre, in linguaggio teologico contemporaneo, nel modo seguente: il già e il non ancora. Il già, l'uomo edito è la presunzione che il patrimonio culturale di cui si dispone sia l'ultima spiaggia, una realizzazione compiuta e non oltrepassabile; donde l'aggressività per il diverso (il barbaro, il selvaggio) e il disprezzo reciproco fra le culture, ciascuna delle quali si illude di conoscere e rappresentare l'essenza umana. Il non ancora, l'uomo inedito è la relativizzazione, fino alla scomparsa, di quel presumere, di quell'illudersi, di quell'aggressività; è la disponibilità al nuovo nella reciprocità del rapporto con le altre culture; è la speranza nella reciproca fecondazione fra noi e loro.
E chiaro che si tratta di due poli dialettici e che la massima responsabilità negativa è quella di irrigidirsi sul primo polo come l’unico possibile, chiudendosi ad ogni possibilità ulteriore: responsabilità, appunto, in qualche modo catastrofica o apocalittica.
Ed è chiaro anche come la storia mostri sempre un volto ambiguo: il vecchio, l’irrigidito, il bloccato, si scontra sempre, e spesso ha la meglio, col nuovo, col mobile, col fanciullo che è in ogni uomo. Non a caso Balducci propone un’altra metafora, che ha contenuto analogo: l’uomo insieme senex e puer. Da un lato «l’aridità, l’astrazione, la passione per il calcolo, la riduzione della qualità a quantità, la ripugnanza per la novità, per l’estro creativo, l’esigenza dell’identità, dell’A = A, il rifiuto del diverso, di quanto per qualsiasi motivo non rientri nella geometria dell’ordine. L’impero del senex è l’ordine. Cambiano le culture ma l’impero resta». L’altra polarità, il puer, è «l’entusiasmo per l’inizio, il gusto per il diverso, l’amore per la contraddizione, la divina follia che non sta negli argini prestabiliti». «Il senex alza i muri e il puer li abbatte, il senex vorrebbe regolare perfino gli accoppiamenti fra l’uomo e la donna, il puer tesse trame capricciose perché l’arbitrio dell’amore abbia la meglio su ogni legge.
Ed ecco la splendida conclusione, in un difficile equilibrio che esclude però ogni estremismo: la grandezza e la miseria dell’uomo sono nel nesso inscindibile fra il senex e il puer. La fatica e la nobiltà del vivere stanno nel nostro sforzo di conciliare l’ordine e l’amore, la conservazione e la creatività, la venerazione per ciò che ci è stato trasmesso e la voglia di cominciare da capo. Se il nesso si rompe e l’efficacia correttiva di un polo sull’altro si attenua, sia l’individuo che la società entrano in crisi e la crisi può risolversi con un rinsaldamento dell’ordine oppure con un nuovo spazio concesso alle forze creative»”.
***
I due libri L’uomo planetario e La terra del tramonto segnano “la svolta antropologica” di Balducci e rivelano la loro attualità.
Riprendo, evidenziandola, la conclusione del libro L’uomo planetario:
E’ questa la mia professione di fede, sotto le forme della speranza. Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio delle culture, non mi cerchi. Io non sono che un uomo”.
La “svolta antropologica” portò Balducci a superare l’ecclesiocentrismo e l’eurocentrismo, senza rinnegare il suo passato, e a fare una “professione di fede, sotto le forme della speranza”.
Riprendo, pure, la conclusione del mio precedente articolo del 7 novembre scorso pubblicato da “il dialogo” col titolo “Gesù e l’ipocrisia dei farisei Quelli che uccisero Gesù e il destino dei profeti Aldo Capitini Papa Francesco e l’Ordine dei Frati Francescani”. (vedi link)
Domanda conclusiva:
Come conciliare le due conclusioni?
Credo che lo scandalo delle Frecce Tricolori su Assisi il 4 ottobre scorso e la nomina a Cardinali di Frati francescani siano segno di una svolta nel pontificato di Papa Francesco: contraddicono il suo carisma profetico e l’impegno per la riforma della Chiesa, toccando la sua credibilità.
Mi riconosco nella professione di fede di Ernesto Balducci: “Io non sono che un uomo”.
E continuo a cercare i segni di questo nostro tempo e il loro significato.
***
Roma, 10 dicembre 2020
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi – PALMI
raffaello.saffioti@gmail.com
1 Da “L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE” Giugno 1992 – Anno IX – N. 6, pag. 4.



Sabato 12 Dicembre,2020 Ore: 12:46
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Editoriali

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info