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www.ildialogo.org Severità religiosa per gli economisti di Francesco,di Rocco Altieri

Severità religiosa per gli economisti di Francesco

di Rocco Altieri

Quanto inadeguati e inconsapevoli ci sono apparsi gli economisti convocati ad Assisi per discutere di nuova economia, ignorando che il pianeta Terra non può più reggere a lungo l’economia parassitaria e predatoria del capitalismo. Si ha paura di dire la verità, di denunciare la violenza strutturale del capitalismo che produce guerre, morti e distruzioni. Ci appelliamo allora ad Aldo Capitini, il primo e insuperato fautore italiano della nonviolenza, l’organizzatore della prima marcia Perugia-Assisi del 1961, di cui si sono appropriati senza chiedere scusa coloro che a quel tempo lo scomunicarono, misero all’Indice i suoi libri e invitarono i cattolici a disertare la marcia.
Si avvicina il 50° anniversario della prima Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, e Capitini non può essere ridotto a vuota icona.
Come alla conclusione del Concilio il filosofo perugino si esercitò nel passarne al vaglio i risultati, ugualmente oggi è necessario esaminare con severità “l’economia di Francesco”, mettendone a confronto le vaghe proposte con la visione politica ed economica di Capitini.
In realtà, di fronte alla gravità della crisi avremmo bisogno a livello mondiale della proposta di un socialismo religioso e nonviolento che invece gli economisti di Francesco e l'istituzione della Chiesa italiana, a differenza di quella latino-americana, osteggia con durezza, arroccandosi nella difesa del concordato sottoscritto col più feroce neo-capitalismo che storicamente sta distruggendo il pianeta terra.
Aldo Capitini propone in alternativa al capitalismo una forma di liberalsocialismo, che non va confuso con il riformismo socialdemocratico, perché nella sua visione esso non appare come una scelta moderata, ma rivoluzionaria, la più rivoluzionaria possibile, in quanto persegue il massimo della libertà nel campo spirituale e culturale, e il massimo di socializzazioni, cioè di giustizia, nel campo economico: “Oggi sono una sola cosa: liberalismo o senso della ricerca e dell'interiorità; socialismo o organizzazione della giustizia sociale su base comune”1.
L’espressione liberalsocialismo ha in sé un richiamo etico-religioso a vivere nel profondo i valori fondamentali della libertà e della socialità. Così scrive Capitini nel suo primo scritto programmatico per la costituzione del movimento liberalsocialista:
“Il problema politico ed economico rimanda a un compito morale: quello di portare l'anima alla libertà e alla socialità della civiltà futura; libertà che è ricerca e affermazione del valore in tutti i campi; socialità, che a questi valori incessantemente scoperti e affluenti nella storia fa partecipare esplicitamente tutti, per una ragione di benessere, di giustizia, per il bene comune di un maggior prodursi di valori nella storia, e più che per questo, per la gioia di celebrare la presenza infinita dell'umanità nelle singole persone”2.
Alla base della nascita del liberalsocialismo è la critica anti-istituzionale che, già applicata da Capitini alla religione in occasione del Concordato del ’29 tra il fascismo e la Chiesa romana, ora viene portata nel cuore della tradizione liberale e socialista.
È necessario portare avanti un'opera di purificazione della prassi politica. Il liberalismo non va più inteso in senso conservatore e individualistico come difesa giuridica della proprietà, ma in senso etico-religioso come liberazione e sviluppo personale nella libera ricerca spirituale e nella produzione dei valori.
Il socialismo, d'altro canto, non va cristallizzato in forme burocratiche, statalistiche, economicistiche, ma va vissuto, invece, come accrescimento della libertà per tutti secondo l'orizzonte religioso che vede l'umanità lavoratrice come soggetto corale della storia. Così Capitini riassume il suo progetto economico-politico:
“Quindi non una specie di mezzadria tra liberalismo e socialismo, e una soluzione da moderati quasi l'uno temperasse l'altro, ma come l'uno stimolasse l'altro poiché se il liberalismo non poteva nel suo sviluppo non suscitare il socialismo per una maggiore libertà concreta, contro il capitalismo (che toglie mezzi di sviluppo e quindi libertà): d'altra parte il socialismo, assimilato per l'ordinamento economico da un liberalismo non più liberista, risorgeva là entro sul piano etico-religioso come una nuova realtà, quella dell'uno-tutti, della intima compresenza corale di tutti alla produzione dei valori”3.
Capitini preferisce richiamarsi al liberalismo rivoluzionario di Piero Gobetti che, nella Torino degli anni '20 insieme al comunista Antonio Gramsci aveva svolto un insostituibile lavoro di educazione politica. Nell'impostare un programma volto al rinnovamento delle coscienze, alla responsabilità individuale, alla partecipazione dal basso, Gobetti si era incontrato con Gramsci nel riconoscere la funzione di progresso e di rinnovamento della classe operaia, ponendo così le premesse per il necessario, attuale superamento del conflitto storico tra liberalismo e socialismo.
Seguendo la prospettiva della Rivoluzione liberale, Capitini intendeva, quindi, il suo liberalismo depurato dall'ipoteca conservatrice dei proprietari in difesa dei privilegi, perché non è più condivisibile il principio romano-americano che afferma congiunta la proprietà e la personalità4.
La realizzazione della persona non si può intendere in modo atomistico e individualistico. La libertà non può essere per uno o per pochi, ma per tutti; la libertà del singolo non è separabile dalla sua socialità. Capitini, parafrasando Marx5, afferma: Tutto ciò che eleva gli altri e risolve i loro problemi è aumento della nostra libertà6.
Di fronte alla spietata violenza strutturale del capitalismo è necessario promuovere un profondo mutamento spirituale e giuridico. Non si può rispondere a chi è disoccupato, a chi patisce lo sfruttamento del capitale, dicendo che la libera iniziativa economica garantisce a tutti la possibilità di riscattare la propria condizione. In realtà, bisogna indagare le situazioni concrete e rimuovere gli ostacoli strutturali che si frappongono allo sviluppo di una maggiore libertà per tutti e di un benessere condiviso, nessuno escluso.
Nella prospettiva del rinnovamento del mondo economico, la socializzazione dei mezzi di produzione farà sì che finalmente, secondo l'imperativo categorico di Kant, l'uomo non veda nell'altro uomo un mezzo, una merce, una cosa7. Ha scritto Capitini: “Il passaggio della proprietà dei capitali ad organismi collettivi che facciano salire e tengano attiva la coscienza dei componenti, mira appunto a portare nella vita sociale quello che per una concezione religiosa è il fondamento intimo, già vissuto nell'animo: la socialità infinita e libera8.
“Un tale socialismo non vorrà mortificare l'individuo, a cui non deve e non può rinunciare, ma anzi ne moltiplicherà il campo delle sue espressioni, affermando un uomo nuovo, non più staccato dagli altri, e perciò pauroso e violento, ma aperto a tutti, mediante un profondo senso, concretato anche giuridicamente, politicamente ed economicamente, di ciò che ci lega tutti”9.
“L'ideale è che tutti partecipino, col più profondo e intimo apporto, alla vita comune”10.
Perciò il liberalismo, respingendo ogni soluzione statalistica, burocratica e centralizzata, auspica un socialismo dei consigli, fondato sui principi del decentramento e dell'autogoverno, dove tutti i partecipanti, pur distinti secondo le loro competenze, possano amministrare e reggere le aziende agricole e le industrie socializzate.
A livello internazionale, infine, il liberalsocialismo si oppone all'imperialismo e alla guerra, e propugna un nuovo ordine federalista che porti alla collaborazione tra i popoli per una più equa distribuzione delle risorse mondiali.
Promotori e protagonisti della rivoluzione liberalsocialista sarà tutto il popolo, orientato da centri aperti di liberi religiosi. Se il regno attuale della politica, fondato sullo spirito di potenza, ha fatto ascendere al governo degli Stati gli uomini peggiori, Capitini auspica in contrapposizione gruppi dirigenti austeri, grigi anche, quasi anonimi11, che si ispirino al senso di equilibrio, di probità, di vera dedizione.
Il loro campo di affermazione sarà non l'imperiosità della retorica, ma la capacità di creare valori religiosi, morali, artistici, culturali, quelli che veramente dirigono le società dall'intimo12.
L'immagine richiama alla memoria il dotto di Fichte che Capitini ama spesso citare: “Veglia e opera per tutta l'umanità, e si forma libero e vuole intorno a sé liberi; comunque egli non opera per sé come individuo opposto agli altri, ma universalmente, per la produzione e il miglioramento dei valori, e perché tutti civilmente in essi valori si elevino13.

 
1 A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino, 1950, p. 90.
2 Ibid., p. 73.
3 Ibid., p.107.
4 Ibid., p. 116.
5 Marx aveva scritto nel Manifesto del Partito comunista del 1948: “Il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti”.
6 A. Capitini, cit., p. 76.
7 Ibid., p. 77.
8 Ivi.
9 Ibid., p. 89.
10 Ibid., p. 78.
11 A. Capitini, Vita religiosa, Bologna, Cappelli, 1942., p. 39.
12 Ivi.
13 Ibid., p. 36.



Giovedì 10 Dicembre,2020 Ore: 09:32
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 11/12/2020 05.51
Titolo:"Amerai il prossimo tuo come te stesso"
Non avevo avuto modo di conoscere Aldo Capitini nella mia formazione scolastica: l'ho scoperto in tarda età come pisano di adozione... Pisa, la città in cui si è maturata la sua vicenda umana e intellettuale, ha onorato la sua memoria ricordandolo nella toponomastica soltanto a trent'anni dalla sua morte, nel 1998, a seguito di una petizione di numerosi cittadini promossa dal Centro Gandhi e dal suo presidente, il professore Rocco Altieri, autore di questo articolo. Articolo che a me è risultato molto utile per entrare nella tematica fondamentale dell'illustre pensatore, vale a dire la conciliazione fra i bisogni della singola persona e quelli della collettività di appartenenza. L'uomo può chiedere rispetto agli altri uomini, realizzando se stesso e le sue aspirazioni, soltanto quando riconosce agli altri la stessa dignità che pretende per sé. E' il precetto evangelico “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, al quale tutti dovrebbero ispirarsi nella vita di ogni giorno, riconoscendo come “prossimo” qualsiasi essere umano...
Autore Città Giorno Ora
Manfredi Lanza Castelvetro (MO) 12/12/2020 09.52
Titolo:Commento risposta all'articolo di Altieri
La ringrazio della fiducia che mi testimonia nell’inviarmi il suo articolo, a mio parere assai ben redatto e congegnato. Ne condivido, solo parzialmente, i contenuti e le implicite raccomandazioni.
“Liberalsocialismo” o “socialismo religioso”, scrive lei, riecheggiando le proposte di Aldo Capitini.
Certo un “socialismo religioso” sarebbe preferibile all’irriflessivo liberalismo radicale e al capitalismo selvaggio che non guarda in faccia ad alcuno. I funzionari dell’amministrazione comunale di Castelvetro (MO) si rapportano al sottoscritto come ad un’anonima targhetta, dispensandomi favori e sfavori nella più totale indifferenza.
Il punto è: un socialismo può essere religioso? Lanza del Vasto, diversamente da Capitini, ha ritenuto che la politica (in tutte le sue sfaccettature di Destra e di Sinistra) e la religione fossero tra loro incompatibili, non integrabili l’una nell’altra, così come l’acqua e l’olio. Pertanto la religione, da conversione alla vera verità che sola conta, non negherebbe la politica, né la sua legittimità relativa in un mondo che è quel che è, ma prescinderebbe da essa; “a Cesare quel ch’è di Cesare, a Dio quel ch’è di Dio”. Se ne terrebbe, quindi, discosta e lontana quanto più l’esistenza in vita lo può permettere. Anche un papa, a suo tempo, si era sbilanciato in un: non expedit!
Un socialismo qualsivoglia può essere autenticamente non violento? Solo Iddio è non violento e solo chi si impegna in religione, voltando le spalle alle ambizioni e illusioni politiche, potrebbe aspirare ad avvicinarsi entro certi limiti alla non violenza divina. La violenza è iscritta nella natura, nell’esistenza o mondo creato, che è costante gioco e tenzone tra diversi e contrari. Un eventuale socialismo potrebbe puntare ad un’equilibratura del gioco del divenire più armoniosa e riuscita rispetto ad altre ideologie e altri regimi; non a eliminare la violenza, che è parte costitutiva della realtà.
La scelta del liberalsocialismo non è la più rivoluzionaria possibile, perché è una scelta comunque politica. La scelta più rivoluzionaria – opinerebbe e ribatterebbe a Capitini Lanza del Vasto – è quella della conversione, che implica la rinuncia alla politica.
La “purificazione della prassi politica”, spesso peraltro invocata strumentalmente dai pulpiti politici più diversi, è una contraddizione in termini. La politica, in quanto tale, è strutturalmente impura, così come sono imperfette tutte le realtà del divenire (il quale diviene proprio perché imperfetto); è strutturalmente e irrimediabilmente compromissoria, spiritualmente sempre deludente.
Il “dotto di Fichte”, forse, può solo essere un aristocratico illuminato da ispirazione divina. Il borghese, troppo infognato nella melma del mondo terreno, troppo coinvolto nella mischia della vita esistenziale, troppo acciecato e fatto bersaglio dalle contumelie pesanti e anche minime della vita, crede nella politica e semmai, nel tentativo di salvare capre e cavoli, in una politica dichiarata o presunta religiosa.
Le rinnovo i miei auguri di fine e inizio anno.
 
Manfredi Lanza

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