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www.ildialogo.org PAPA FRANCESCO A HIROSHIMA UN GRIDO: “MAI PIU’ LA GUERRA!” E A REDIPUGLIA NEL 2014: “LA GUERRA E’ UNA FOLLIA”,di Raffaello Saffioti

PAPA FRANCESCO A HIROSHIMA UN GRIDO: “MAI PIU’ LA GUERRA!” E A REDIPUGLIA NEL 2014: “LA GUERRA E’ UNA FOLLIA”

di Raffaello Saffioti

Il 24 novembre 2019: Papa Francesco a Hiroshima
Abbiamo seguito il viaggio di Papa Francesco a Hiroshima e abbiamo ascoltato il suo solenne discorso davanti al Memoriale della Pace, il 24 novembre 2019.
E’ un discorso accorato, un documento storico, da leggere e rileggere, da fare oggetto di studio e meditazione.
Esso è preghiera, memoria, riflessione, giudizio, profezia.
Esso richiama i temi che caratterizzano questo pontificato e invita a camminare insieme come fratelli, uniti da un destino comune. Un grido: “Mai più la guerra!”
Rileggiamolo.1
Perché il Papa a Hiroshima?
Tra memoria e futuro.
Il Papa è andato a Hiroshima come “pellegrino di pace” e ha parlato dopo aver ascoltato la testimonianza di due sopravvissute. Ha visto il luogo-Hiroshima come “crocevia di morte e vita, di sconfitta e rinascita, di sofferenza e pietà”
Questo viaggio segna una tappa del cammino di Papa Francesco, destinata ad essere considerata storica. Hiroshima segnò per sempre la storia non solo del Giappone, ma di tutta l’umanità.
Memoria e futuro
Il Papa incomincia e finisce il discorso con un Salmo:
«Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: “Su te sia pace!» (Sal 122,8).
Rivolgendosi a “Dio di misericordia”, ricorda l’esplosione atomica, come ascoltando “da quell’abisso di silenzio” “il forte grido di quelli che non sono più”. Fa memoria di tutte le vittime e si inchina davanti ai sopravvissuti.
Preghiera
Rimane in preghiera, portando “il grido dei poveri, che sono sempre le vittime più indifese dell’odio e dei conflitti”, desiderando essere la voce di coloro la cui voce non viene ascoltata.
Il nostro tempo
Il Papa richiama “le tensioni del nostro tempo” con i temi dominanti del suo pontificato: “le inaccettabili disuguaglianze e ingiustizie che minacciano la convivenza umana, la grave incapacità di aver cura della nostra casa comune, il ricorso continuo e spasmodico alle armi, come se queste potessero garantire un futuro di pace”.
Le parole forti del discorso:
Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune.
L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa”.
Profezia
Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?”.
Cos’è pace?
Come si costruisce la pace?
Sono citati: Giovanni XXIII, Paolo VI, il Concilio Vaticano II
Il Papa richiama la famosa enciclica di Giovanni XXIII “Pacem in terris”, del 1963 e scrive:
“Sono convinto che la pace non è più di un ‘suono di parole’ se non si fonda sulla verità, se non si costruisce secondo la giustizia, se non è vivificata e completata dalla carità e se non si realizza nella libertà”.
Di Paolo VI, cita il “Discorso alle Nazioni Unite”, del 4 ottobre 1965.
Del Concilio Vaticano II, cita La Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, del 1965.
Imparare dagli insegnamenti della storia
Il Papa ha detto:
“Ricordare, camminare insieme, proteggere. Questi sono tre imperativi morali che, proprio qui a Hiroshima, acquistano un significato ancora più forte e universale e hanno la capacità di aprire un cammino di pace.
[---] quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno; un ricordo che si diffonde per risvegliare le coscienze di tutti […] una memoria viva che aiuti a dire di generazione in generazione: mai più!”.
Risposta alla domanda: perché camminare uniti?
Leggiamo:
“Proprio per questo siamo chiamati a camminare uniti, con uno sguardo di comprensione e di perdono, aprendo l’orizzonte alla speranza […]. Apriamoci alla speranza, diventando strumenti di riconciliazione e di pace. […] Il nostro mondo, interconnesso non solo a causa della globalizzazione, ma, da sempre, a motivo della terra comune, reclama più che in altre epoche che siano posposti gli interessi esclusivi di determinati gruppi o settori, per raggiungere la grandezza di coloro che lottano corresponsabilmente per garantire un futuro comune”.
Supplica finale
“In un’unica supplica, aperta a Dio e a tutti gli uomini e donne di buona volontà, a nome di tutte le vittime dei bombardamenti, degli esperimenti atomici e di tutti i conflitti, dal cuore eleviamo insieme un grido: Mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza! Venga la pace nei nostri giorni, in questo nostro mondo”.
***
Nel volo di ritorno dal viaggio, alla domanda dei giornalisti “Come si è sentito a Nagasaki e Hiroshima?”, il Papa ha risposto:
Hiroshima è stata una vera catechesi umana sulla crudeltà. […] Lì ho ribadito che l’uso delle armi nucleari è immorale questo deve andare nel Catechismo della Chiesa cattolica. E non solo l’uso ma anche il possesso perché un incidente o la pazzia di uno può distruggere l’umanità”.
***
La novità di Papa Francesco
Perché il nome “Francesco”?
Il tema della pace, nel suo magistero e nella sua azione pastorale.
Papa Francesco ha più volte raccontato la motivazione che l’ha portato a scegliere come nome nuovo quello del “Poverello” di Assisi. Dopo l’elezione, il 16 marzo 2013, in occasione del suo incontro con i giornalisti nell’Aula Paolo VI, ha spiegato che ha scelto questo nome perché Francesco d’Assisi è l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato.
Altra scelta significativa: quella di risiedere nella Domus Sanctae Marthae, anziché nell’appartamento papale del Palazzo Apostolico. E’ nella cappella di Santa Marta che il Papa celebra la Messa, frequentata da ospiti e persone diverse e tiene l’omelia.
“Ed è lì che si dipana il suo discorso su Dio e progredisce il suo pontificato. […] sono meditazioni ad alta voce sulle Scritture che diventano pubbliche passando attraverso le coscienze, come faceva san Gregorio Magno con le sue «Omelie sui Vangeli» al popolo romano.
E’ questa la scelta che ha fatto Francesco: aprire il Vangelo e raccontarlo alla Chiesa. Ogni mattina, sette giorni alla settimana, trecentosessantacinque giorni all’anno. Come aveva detto papa Giovanni nel Giornale dell’anima: «Al di sopra di tutte le opinioni e i partiti che agitano e travagliano l’umanità intera, è il Vangelo che si leva; il papa lo legge e poi coi Vescovi lo commenta». Francesco lo fa ogni mattina, e con quello governa la Chiesa e gli uomini. Parla con il Vangelo, ma non è fuori tema, entra nel merito”. 2
Evangelii gaudium”
“Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale”, del 24 novembre 2013. E’ il documento programmatico del pontificato, pubblicato alla fine dell’anno della fede. Vuole “indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”
In essa leggiamo:
Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati. Ciononostante, sottolineo che ciò che qui intendo esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione».
Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno «stato permanente di missione» (n. 25).
La riforma del ruolo del Papato
La riscoperta della sinodalità
Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. […] Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria”. (n. 32)
Modo d’intendere la Chiesa
L’annuncio del Vangelo”
Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo”
111. L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale. Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio”.
114. Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo”.
***
Papa Francesco il 13 settembre 2014 al Sacrario Militare di Redipuglia: “la guerra è una follia”
Nella celebrazione per il Centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, nell’omelia, il Papa ha portato avanti la sua riflessione sulla guerra.
Ricordando tutte le vittime della Prima Guerra Mondiale, il Papa ha detto:
Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano, trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare attraverso la distruzione.
La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia, ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: ‘A me che importa?’. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… ‘A me che importa?’.
Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: ‘A me che importa?’. […]
Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni.
Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: ‘A me che importa?’. Caino direbbe: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’.
Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli, Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore, chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: ‘A me che importa?’, rimane fuori. […]
Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!
E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: ‘A me che importa?’. […]
L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.
Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da ‘A me che importa?’, al pianto. Per tutti i caduti della ‘inutile strage’, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto”.3
***
Come non ricordare il “Testamento spirituale” di Albert Einstein del 1955?
Seguono 4 passi scelti:
I
In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono in pericolo la continuazione stessa dell'esistenza dell'umanità, noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse tra loro.
II
 Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più tali passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: “quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?”.
III
Questo dunque e il problema che vi presentiamo, netto, terribile ed inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?
É arduo affrontare questa alternativa poiché è così difficile abolire la guerra. L'abolizione della guerra chiederà spiacevoli limitazioni della sovranità nazionale, ma ciò che forse più che ogni altro elemento ostacola la comprensione della situazione è il fatto che il termine «umanità» appare vago ed astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il pericolo è per loro, per i loro figli e loro nipoti e non solo per una generica e vaga umanità.
É difficile far sì che gli uomini si rendano conto che sono loro individualmente ed i loro cari in pericolo imminente di una tragica fine.
IV
Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale.
(Dalla raccolta di saggi The World as I see It)
***
Seguono passi scelti dal discorso di Papa Francesco a Hiroshima, il 24 novembre 2019.
I
Desidererei umilmente essere la voce di coloro la cui voce non viene ascoltata e che guardano con inquietudine e con angoscia le crescenti tensioni che attraversano il nostro tempo, le inaccettabili disuguaglianze e ingiustizie che minacciano la convivenza umana, la grave incapacità di aver cura della nostra casa comune, il ricorso continuo e spasmodico alle armi, come se queste potessero garantire un futuro di pace.
II
Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?
Sono convinto che la pace non è più di un “suono di parole” se non si fonda sulla verità, se non si costruisce secondo la giustizia, se non è vivificata e completata dalla carità e se non si realizza nella libertà (cfr. S. Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris, 18).
III
La vera pace può essere solo una pace disarmata. Inoltre, «la pace non è la semplice assenza di guerra […]; ma è un edificio da costruirsi continuamente» (Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 78). E’ frutto della giustizia, dello sviluppo, della solidarietà, dell’attenzione per la nostra casa comune e della promozione del bene comune, imparando dagli insegnamenti della storia.

 
IV
Ricordare, camminare insieme, proteggere. Questi sono tre imperativi morali che, proprio qui a Hiroshima, acquistano un significato ancora più forte e universale e hanno la capacità di aprire un cammino di pace. Di conseguenza, non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno; un ricordo che si diffonde, per risvegliare le coscienze di tutti gli uomini e le donne, specialmente di coloro che oggi svolgono un ruolo speciale per il destino delle nazioni; una memoria viva che aiuti a dire di generazione, in generazione: mai più!

 
V
Proprio per questo siamo chiamati a camminare uniti, con uno sguardo di comprensione e di perdono, aprendo l’orizzonte alla speranza e portando un raggio di luce in mezzo alle numerose nubi che oggi oscurano il cielo. Apriamoci alla speranza, diventando strumenti di riconciliazione e di pace. Questo sarà sempre possibile se saremo capaci di proteggerci e riconoscerci come fratelli in un destino comune. Il nostro mondo, interconnesso non solo a causa della globalizzazione ma, da sempre, a motivo della terra comune, reclama più che in altre epoche che siano posposti gli interessi esclusivi di determinati gruppi o settori, per raggiungere la grandezza di coloro che lottano corresponsabilmente per garantire un futuro comune.

 
VI
In un’unica supplica, aperta a Dio e a tutti gli uomini e donne di buona volontà, a nome di tutte le vittime dei bombardamenti, degli esperimenti atomici e di tutti i conflitti, dal cuore eleviamo insieme un grido: Mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più sofferenza! Venga la pace nei nostri giorni, in questo nostro mondo. O Dio, tu ce l’hai promesso: «Amore e verità s’incontreranno. Giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo» (Sal 84, 11-12).
Vieni, Signore, che si fa sera, e dove abbondò la distruzione possa oggi sovrabbondare la speranza che è possibile scrivere e realizzare una storia diversa, Vieni Signore, Principe della pace, rendici strumenti e riflessi della tua pace!
***
Roma, 6 dicembre 2019
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi – PALMI (RC)
raffaello.saffioti@gmail.com
NOTE
1 Da: Libreria Editrice Vaticana, “Incontro per la pace. Discorso del Santo Padre Francesco”.
2 RANIERO LA VALLE, Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste, Ponte alle Grazie, 2015, p. 59.
3 Da: Libreria Editrice Vaticana. “Santa Messa al Sacrario Militare di Redipuglia”.



Venerdì 06 Dicembre,2019 Ore: 21:41
 
 
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Trovo particolarmente centrato e quindi condivisibile il commento di Mohandas Gandhi all'editoriale di Raffaello Saffioti. Quest'ulteriore, importante contributo, si inserisce nel solco di un percorso che Raffaello porta avanti da tempo, avendo, forse prima e più di altri, percepito i segni del cambiamento radicale che questo Papa sta portando avanti nella chiesa, grazie alla forza e alla determinazione attinte direttamente dal Vangelo.

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