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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org MIMMO LUCANO SINDACO (SOSPESO) DI RIACE CITTADINO DEL MONDO E NOI COME CONSIDERARE LA DEMOCRAZIA E LA LEGALITA’?,di Raffaello Saffioti

MIMMO LUCANO SINDACO (SOSPESO) DI RIACE CITTADINO DEL MONDO E NOI COME CONSIDERARE LA DEMOCRAZIA E LA LEGALITA’?

di Raffaello Saffioti

Gli stati passano, le città restano.
GIORGIO LA PIRA
Nel ricordo di Tommaso Campanella, verso La Città del Sole:
Io nacqui a debellar tre mali estremi,
tirannide, sofismi e ipocrisie.
(T. Campanella, dal sonetto “Delle radici de’ gran mali del mondo”)
La vicenda giudiziaria di MIMMO LUCANO, sindaco sospeso e con divieto di dimora a RIACE, c’interpella.
Che dire? Che fare?
Lucano, innocente o colpevole?
E’ una vicenda che impone, anzitutto, una riflessione sul rapporto tra il Comune e lo Stato italiano.
Lucano è indagato per due ipotesi di reato: favoreggiamento della immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.
Dopo la revoca degli arresti domiciliari, è sopravvenuto il divieto di dimora a Riace.
Lucano, intanto, rimane “sindaco sospeso”, ma viaggia, parla e racconta la sua esperienza, alimentando il dibattito e raccogliendo gli atti di solidarietà.
Rimane alla ribalta della cronaca. Ma c’è il pericolo che si spengano i riflettori? Qual è il destino del “modello Riace”?
Questa vicenda ha rivelato un conflitto tra il Comune di Riace e lo Stato italiano.
Da una parte, Riace si è guadagnato il titolo di “paese dell’accoglienza”, è divenuto famoso in tutto il mondo come “modello”, e Mimmo Lucano giudicato una delle personalità più influenti del mondo; d’altra parte, il Sindaco è indagato, come amministratore, per le due ipotesi di reato sopra dette.
La domanda ricorrente nei dibattiti mediatici è stata: Lucano ha violato le leggi dello Stato?
Il tema della legalità è stato prevalente sugli altri temi posti dalla vicenda.
Come spiegare il conflitto?
Si spiega considerando la crisi dello Stato-nazione, nell’era della globalizzazione.
Stato e società nell’era della globalizzazione
Lo Stato nazionale moderno, nato storicamente dagli ordinamenti giuridici medievali, si caratterizza per la sovranità e la territorialità. Nell’era della globalizzazione, esso subisce una duplice pressione, dall’alto e dal basso.
La pressione dall’alto è esercitata da istituzioni sopranazionali come l’Unione Europea, l’ONU, la Banca mondiale, dalle multinazionali; la pressione dal basso è esercitata dagli enti locali e dai vari nazionalismi.
La duplice pressione provoca la crisi dello Stato, “soggetto ad una metamorfosi che lo porta ad assumere ruoli inediti all’interno di una geografia politica, sociale, economica e culturale” (Andrea Borghini).
Crisi dello Stato-nazione
L’evoluzione dello Stato moderno verso lo stato sociale e democratico fa divenire sempre più acuta la crisi del suo ruolo e delle sue funzioni, sia dal versante interno che da quello mondiale.
Nel libro di educazione civica col titolo cittadini del mondo, di E. Balducci-P. Onorato, leggiamo:
Il processo di compenetrazione progressiva tra stato e società civile […] ha dato ai conflitti sociali quello spessore politico che lo stato liberale aveva invece dissolto e neutralizzato; ha moltiplicato nella comunità nazionale i gruppi, le forze, le associazioni capaci di imporre le proprie scelte agli apparati di governo. Tutto ciò ha espropriato lo stato del monopolio delle decisioni o almeno ha messo in crisi i suoi meccanismi di decisione imperativa. In altre parole il pluralismo che lo stato ha riconosciuto impedisce che vi sia una sola autorità decisionale e fa delle decisioni pubbliche il risultato di una serie di mediazioni tra le forze interessate.
[…] Imprese pubbliche ed enti locali hanno una capacità di decidere spese, che gravano sul bilancio pubblico e possono mettere in difficoltà la politica monetaria del Governo.
[…] Ma anche sul versante mondiale non mancano gli attacchi alla sovranità nazionale, elemento cardine dello stato moderno. Da una parte l’interdipendenza sempre più stretta degli stati ha portato a forme di organizzazione «sovranazionale» che intaccano significativamente la pienezza della sovranità degli stati membri. Dall’altra parte, la divisione del pianeta in «blocchi» militari contrapposti ha costretto le potenze più piccole alla mercé di quelle più grandi, tanto che si è potuto parlare di «sovranità limitata» dei paesi satelliti rispetto ai paesi-guida. Infine, il mercato economico mondiale, nella fase del capitalismo monopolistico, ha consentito la formazione di imprese multinazionali le cui decisioni sfuggono a qualsiasi controllo politico e sono in grado di condizionare la vita economico-sociale di interi paesi. Il loro potere di influenzare, per vie lecite o illecite, le scelte dei governi e il loro potere di decidere scelte aziendali che hanno effetti diretti sulle economie nazionali, svuota di significato reale la «sovranità» degli stati. In realtà, le multinazionali non conoscono «superiori», come i monarchi e i prìncipi post-feudali: di fatto sembrano esse i nuovi «sovrani».1
Democrazia e Cittadinanza: quali prospettive?
A questo punto ERNESTO BALDUCCI e DANILO DOLCI ci aiutano a sviluppare la nostra riflessione.2
Balducci ha scritto:
Le città […]. Esse devono sorpassare la corazza delle sovranità statali, che ancora sono segnate dall’arcaico antagonismo tra stato e stato, per restaurare la solidarietà dell’ethos cosmopolitico a dimensione planetaria.3
Riace con Mimmo Lucano si è rivelato un “laboratorio di cultura di pace”.
Aggiungiamo: “un laboratorio di democrazia”, esempio di “solidarietà in una dimensione planetaria”. Ha sorpassato “la corazza delle sovranità statali”.
In sintesi, “utopia concreta”, “modello di nuova umanità”.
Incontro di Ernesto Balducci, Mario Luzi e Danilo Dolci a Firenze nel 1991
Quanti ricordano i processi subiti da Balducci e Dolci?
Balducci tra il 1963 e il 1964 fu processato e condannato dal Tribunale di Firenze per apologia di reato, avendo difeso l’obiezione di coscienza.
Dolci nel 1956 fu processato e condannato dal Tribunale di Palermo per il famoso “sciopero alla rovescia”. Nell’ordinanza del Giudice Istruttore, che rigettava la istanza di libertà provvisoria, si legge: “Tale condotta e le condizioni di vita individuale e sociale del Dolci, quali risultano dal rapporto del Commissariato di P.S. di Partinico in data 19 febbraio, sono manifesti indici di una spiccata capacità a delinquere del detto imputato”
Ho già ricordato l’attività dell’”ultimo Dolci” in Calabria, documentata da una ricca bibliografia (1986-1995).
Ho vivo il ricordo di un incontro avvenuto a Firenze nel lontano 1991: Ernesto Balducci e Mario Luzi presentarono l’opera curata da Danilo Dolci in due volumi, col titolo Variazioni sul tema Comunicare, con la partecipazione dello stesso Dolci.
Estraggo dal primo volume, contenente la Bozza di Manifesto, di Dolci, alcuni passi utili per la nostra riflessione, sul tema “democrazia”.
[…] meditando attentamente possiamo accorgerci che lo sviluppo estremo del concetto di democrazia combacia quello di comunità, l’àmbito ove matura il più intimo e complesso comunicare.
Non è affatto nuovo il concetto che il potere dovrebbe essere esercitato da tutti, da ciascun cittadino: l’espressione potere del/al popolo (democrazia) è nata da quasi 2500 anni riferendosi a precedenti esperienze. Coniugando l’empiria e l’utopia, nei secoli si è cercata la democrazia dalla città-stato allo stato-nazione verso la federativa città planetaria. Incrementata dall’avvertenza evangelica a essere fratelli: tutti, effettivamente fratelli.
Dalla famiglia al territorio, alla regione, fino alle impalcature statali e internazionali, nei più svariati contesti, sinergie immense possono crescere dal lavoro e dall’interagire comunitario radicato, invece che su paura e sfiducia, nel desiderio della molteplice scoperta e della lieta autorealizzazione che, responsabilmente immaginando, coorganizza il suo futuro.
Più aumentano distanze e dimensioni, più occorre imparare a valorizzare e inventare, anche in questo riguardo, le occasioni e i congegni adatti al vero comunicare. Il creativo esprimersi (pur-in-ascolto) del comunicare occorre in ogni ambito, dai più semplici, via via, fino ai più complessi gruppi di gruppi: comunali, regionali, nazionali, internazionali, mondiali. Crescendo la complessità, aumentano le relative inesperienze e difficoltà relazionali, ma anche le risorse. Nel partecipare ognuno cambia identificandosi e crescendo. Il cambiamento stesso verso le soluzioni dei problemi non è un illuminante laboratorio dell’educarci a superare le resistenze nostre e degli altri?
Anche i dittatori-squali pretendono presentarsi democratici. Di fatto avviene che, perlopiù, gruppi o classi dominanti in tutto il mondo cercano di essere considerati non come «minoranze ed espressione di minoranze» ma come espressione della volontà «della maggioranza o della totalità dei cittadini». Cosa significa, che può significare democrazia internazionale, continentale, se i nazionalismi, invece che sviluppo della reciproca e complessiva valorizzazione delle singole culture, sono maestri nel tramare spionaggi, intrighi, tranelli, sabotaggi, «azioni coperte», golpe e miopi sopraffazioni? Se le persone non sanno che decidono basandosi su eventi alterati e informazioni monche, false? Quando le persone non sanno di essere burattinate da infami «Servizi Segreti», nazionali e internazionali, pronti, nelle fasi delle più importanti scelte, a suscitare nascostamente massacri nelle piazze, nei treni, per impedire e deviare il reale processo di cambiamento? Il dominio pretende imporsi «con mezzi legali e illegali»: anche mediante progetti segreti, quando non gli basta impadronirsi della stampa, dei media, quali mezzi di pressione per influenzare e guidare l’elettorato. Se istituzioni pubbliche mantengono segreti (depositi segreti, addestramenti segreti, attività segrete, «Segreti di stato» ecc. ecc.) su problemi di pubblico rilievo, tutto possono essere fuorché democratiche: e quanto più segrete, tanto più clientelari-mafiose. Per quanti cronicamente mentono, o nascondono, chi dice la verità è un criminale. L’ascesa al dominio è più agevolmente garantita (dall’Irak agli Stati Uniti a tante altre parti del mondo, passando anche attraverso i decenni fascisti, stalinisti e cripto-fascisti), da chi sa mettere le mani sui Servizi Segreti, nelle loro immense capacità ricattatorie.
I presuntuosi aristocratici professano che il governo del popolo è un non senso in quanto non può essere mai realizzato: il popolo non può che rimanere esecutore, semmai in un modo o nell’altro (con elezioni o rivoluzioni) può contribuire a cambiare il suo governo. Forse che divenendo statale la violenza si bonifica? Anche quando «la capacità di imporre sottomissione mediante l’uso e la minaccia della forza» perviene dallo Stato, ove arriva il potere e ove il dominio?
Che significa, che può significare democrazia mondiale se le persone non sanno opportunamente interagire neppure in piccoli gruppi?
Come fare in modo che l’interesse profondo di ognuno coincida con il «bene comune» in modo da evitare i diversi tipi di coercizione della tragica inesorabilità dello Stato? Come i processi politici possono articolarsi strumenti e metodologie sensibili alla complessità? […] Non ci occorrono, ora, laboratori di democrazia che sperimentino come è possibile rovesciare le attuali tendenze dominanti, concretizzando via via l’esprimersi creativo popolare? Come può l’impegno educativo, anche delle famiglie, delle scuole, dei centri religiosi e culturali, conquistarsi rivoluzionaria struttura popolare democratica?
Cosa è il male? Non è, forse, rapporto sbagliato? Non è, forse, non volere ascoltare, non volere comunicare? Non volere salvare, non partecipare creativamente? Fino a scadere nella folle furia che mira a sconnettere, distruggere.
I moderni dominatori non sono riusciti a cancellare il senso di certe parole, non riescono a inibire il sogno della parola democrazia. E utilizzano questa etichetta, con attributi che ne intensificano l’attrazione (cristiano, ad esempio, sociale, liberale e altri), a ricoprire anche infami regimi autoritari.
Esercitare il proprio potere esprime le esigenze complesse dell’affrancarsi, dall’ambito della sopravvivenza fisica a quello psichico, economico-sociale, culturale-prospettico. La parola diritto congettura per ognuno il realizzarsi di questo potere. La democrazia è cresciuta generalmente da relativamente piccoli gruppi (le città greche, ad esempio, ove tutti potevano conoscersi), che hanno cercato di ampliarsi verso un fine mai compiutamente realizzato, anche nella sua qualità. Via via aumentano le dimensioni dei territori, le strutture democratiche conquistate risultano inadeguate, entrano in crisi.
Via via possiamo sviluppare strumentazioni tecniche prima inconcepite, ci occorre rammentare, per risolvere: «Il comandare, l’ordinare, il trasmettere quando ancora è violento, stanno al dominio come il comunicare sta al potere democratico». Non possiamo raggiungere alcuna fraternità, libertà, uguaglianza, senza procedere nel comunicare.
[…] Se avviene, ove avviene, una evoluzione sociale, una crescita democratica, non è caratterizzata essenzialmente dalla qualità del comunicare-partecipare strutturante?4
Mimmo Lucano e la legge. Quale legge?
Mimmo Lucano è indagato dalla magistratura, abbiamo detto, per avere violato la legge.
Quando diciamo “legge”, cosa intendiamo?
L’opera di Dolci col titolo La legge come germe musicale (Lacaita, 1993) ci aiuta a comprendere “l’aperta complessità del concetto e della parola legge, a cominciare dal suo ampio etimo”, attraverso un excursus storico, a partire dal settimo secolo a. C. in Grecia.
Seguono alcuni passi.
Al mitico Pitagora […] gli antichi attribuiscono queste parole:
[…] “L’armonia sociale è necessaria alla città quanto quella delle stagioni e quella che regola le rivoluzioni dei corpi celesti: la si potrà ottenere solo con l’amore e la concordia fra i cittadini. Edificate un tempio alle Muse, poiché esse sono il simbolo vivente dell’ordine e della buona intesa. L’anarchia è il peggior dei mali, porta con sé la sregolatezza e provoca il disordine” (Giamblico).
La legge fa il bene di tutti, bisogna venerarla e trattarla come una madre” (Porfirio e Stobeo).
Democrito:
[…] L’uomo che è sempre portato di buon animo a compiere opere giuste e conformi alle leggi, giorno e notte è lieto e si sente sicuro e sta senza affanni; ma chi non tien conto della giustizia e non fa ciò che si deve fare, ha nel proprio agire un motivo di insoddisfazione ogni volta che ci rifletta sopra, e vive nel timore e si tormenta da sé.
La legge ha l’intento di procurare vantaggio all’esistenza degli uomini; ma può procurarlo soltanto quando gli uomini stessi vogliano adattarsi alle condizioni vantaggiose”.
Per Eraclito, ermetico filosofo, logos è anche legge, ordine cosmico. Dai frammenti di Sulla natura:
“… né prima di udirlo né dopo averlo udito, non intendono gli uomini quel logos che è, sempre, e per cui tutto diviene: agli uomini rimane nascosto quanto fanno da svegli come quanto fanno dormendo.
[…] il popolo deve battersi per la legge come per le sue mura”.
Dai dialoghi socratico-platonici, in cerca “di venire a conclusioni comuni”:
A me pare che per quel che riguarda il corpo, l’ordine si chiami sanità e che l’ordine e la proporzione che riguardano l’anima abbiano nome, leggi”.
Nelle città che hanno buone leggi altamente onorata è la virtù… La legge viene istituita a vantaggio dello Stato. E senza legge è impossibile avere uno Stato ben governato”.
Più legittimo è ciò che veramente è utile a tutti… entro i termini della verità... Ogni legislatura dovrà sempre dare le sue leggi a nient’altro mai guardando se non alla più alta virtù che è proprio l’unione fedele nei momenti più difficili, che si potrebbe chiamare anche la perfezione del giusto”.
Per Cicerone, legge (si può proporre, promulgare, approvare, ripudiare, abrogare) può essere regola e norma, natura, e qualità, diritto scritto, e altro.
Seneca […]: “La morte è una parte della legge, non una punizione”.
[…] Socrate […] era un esempio insuperato nel procedere da uomo libero fra trenta tiranni. Eppure proprio Atene, nella prigione, lo uccise: la libertà dei tiranni non tollerò la libertà morale di quell’uomo che li aveva sfidati apertamente.
[I saggi] Zenone e Crisippo hanno compiuto imprese maggiori che se avessero guidato eserciti, ricoperto cariche pubbliche o promulgato leggi, perché anzi le leggi le fecero non per una città, ma per il mondo.
[…] La saggezza consiste nel non allontanarsi dalla propria natura, ma conformarsi alle sue leggi.
[…] Le avversità della vita risultano parte della legge di natura”.
Confessandosi Marco Aurelio medita, nel suo silenzio intimo, appuntando:
[…] Come tu stesso sei parte integrante di un sistema sociale, così anche ogni tuo atto sia parte integrante della vita sociale. Quindi ogni tuo atto non vòlto, direttamente o indirettamente, al fine comune, lacera la tua vita impedendone l’unità, ed è un atto di ribellione, come quello di chi, in uno stato democratico, pretende di far parte per se stesso, separandosi dall’accordo comune.
In quanto Antonino, Roma è mia città e mia patria, in quanto uomo, il mondo. Unico bene per me è quindi soltanto ciò che giova a queste due città.
[…] Comune è la ragione che stabilisce che cosa si debba o non si debba fare; come anche la legge… L’universo è come una città in cui siamo tutti cittadini. Da dove mai, se non da questa città comune, ci derivano l’intelletto, la ragione, la legge?... Esisti come parte del tutto
[…] Nessuno potrà impedirti di vivere secondo la legge della tua natura”.
Savonarola: “La legge è una ordinazione di ragione…, una regola che induce li uomini al ben vivere. Quando Moisè volse fare il tabernaculo per serrarvi le tavole della legge…, ognuno offriva prontamente tutte quelle cose più preciose che avevano per tale opera. […] Ecco la necessità di una stretta convivenza sociale. A mantenerne la saldezza s’impone l’uso delle leggi…, elemento di equilibrio e di pace per tutti.
Se le leggi e comandi sono contrari a ciò che è il principio e la radice di tutta la sapienza, cioè a dire, il ben vivere e la carità…, tu puoi veramente essere sicuro che lo strumento dell’autorità è ferro rotto, e non sei tenuto ad obbedire. Le leggi debbono concordare con la ragione e con la carità. Se il fine della legge è il bene, la qualità della legge si conosce dai frutti che porta”.
Giordano Bruno, che il 17 febbraio 1600 sarà bruciato vivo in Campo di Fiori:
[…] Due sono le mani per le quali è potente a legare ogni legge, l’una è della giustizia, l’altra è della possibilità; e di queste l’una è moderata da l’altra, atteso che, quantunque molte cose sono possibili che non son giuste, niente però è giusto che non sia possibile”.
Cesare Beccaria: “Le leggi sono le condizioni colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla.
Non è da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla politica morale se ella non sia fondata su i sentimenti indelebili dell’uomo. Qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una resistenza contraria che alla fine vince”.
Jean-Jaques Rousseau: ‘Chiamo dunque Repubblica ogni stato retto da leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione: perché soltanto allora governa l’interesse pubblico… Le leggi non sono propriamente che le condizioni dell’associazione civile. Il popolo, soggetto alle leggi, ne deve essere l’autore”.
Henry Thoreau, in Disubbidienza civile (1846): “Il cittadino non deve neppure per un momento, neppure in grado minimo, consegnare la sua coscienza al legislatore. Perché allora ciascun uomo avrebbe una coscienza?”.
Gandhi: “La vera legge è: verità anche nei confronti del malvagio. La legge del nostro essere…, la legge del genere umano…, la legge della nostra vita…, è realizzare… attraverso un lento processo di evoluzione… la nostra unità con il resto del mondo… sviluppando a livello di coscienza quella forza nonviolenta che è latente in ciascuno di noi.
[…] Soltanto dove vi è amore c’è vita. Una necessità bene ordinata e una vita degna di essere vissuta sono pensabili soltanto nella legge dell’amore. Più mi concentro in questa Legge, più sento il piacere della vita, il piacere dell’ordine cosmico. Allora nasce in me una gran pace”.
Vaclav Havel, dalla resistenza di Praga (Il potere dei senza potere, 1978):
“…La legge è sempre – anche nel caso più ideale – solo uno dei modi imperfetti o più o meno esteriori per tutelare ciò che è meglio nella vita rispetto a ciò che è peggio: però non crea il meglio da se stessa. Ma quello che conta è sempre la vita: le leggi sono al suo servizio o invece la reprimono?”.
Concepire la legge come musica nutriente, e la musica una legge probabile da ampliare, può giovare a concretarci musica vivente. E vivificare – approfondendo, elevando – anche la sovente sclerotica coscienza umana.
La legge esprime regolarità particolari (il ciclo delle stagioni, delle vegetazioni; i percorsi degli astri; l’ordine ricorrente dei fenomeni; la nascita, la crescita, la morte delle creature): interpreta e prevede – denunciando violazioni – necessità e il dover essere trasparente. L’espressione universo sottintende la speranza di riunificare le varie leggi in una sola Legge.5
Don Lorenzo Milani, la legge e la “Lettera ai Giudici” (1965)
Anche don Milani fu processato, come Balducci, e condannato per aver difeso l’obiezione di coscienza.
Nella “Lettera ai Giudici” scrisse:
[] io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio delle fortune militari non può essere dogma di fede né civile né religiosa.
Nella “Lettera ai Cappellani Militari Toscani” (dell’11 febbraio 1965) aveva scritto:
Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
[…] Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo.
[…] Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Parole di Mimmo Lucano, per concludere
“Oggi, in questo luogo di frontiera, in questo piccolo paese del Sud italiano, terra di sofferenza, speranza e resistenza, vivremo un giorno che sarà destinato a passare alla storia.
La storia siamo noi.
Con le nostre scelte, le nostre convinzioni, i nostri errori, i nostri ideali, le nostre speranze di giustizia che nessuno potrà mai sopprimere.
Verrà un giorno in cui ci sarà più rispetto dei diritti umani, più pace che guerre, più uguaglianza, più libertà che barbarie. Dove non ci saranno più persone che viaggiano in business class ed altre ammassate come merci umane provenienti da porti coloniali con le mani aggrappate alle onde dei mari dell’odio.
[…] Non dobbiamo tirarci indietro, se siamo uniti e restiamo umani, potremo accarezzare il sogno dell’utopia sociale.
[… ] Ci dobbiamo augurare di mantenere viva la certezza che è possibile essere contemporanei di tutti coloro che vivono animati dalla volontà di giustizia e di bellezza, ovunque siamo e ovunque viviamo, perché le cartine dell’anima e del tempo non hanno frontiere”.6
Palmi, 17 novembre 2018
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi – PALMI
raffaello.saffioti@gmail.com
NOTE
1 E. BALDUCCI-P. ONORATO, cittadini del mondo, Principato, Milano, 1981, pp. 146-147.
2 Con un pensiero di E. Balducci ho concluso lo scritto precedente, col titolo “Riace Mimmo Lucano e il risveglio della coscienza dell’umanità dall’intima Calabria terra di utopia e profezia Il tribunale e la storia”, pubblicato da “il dialogo”, il 26 ottobre 2018 (ildialogo.org) Questo nuovo scritto è sviluppo e approfondimento del precedente.
3 ERNESTO BALDUCCI, “Le città della pace”, 1991, in “Ernesto Balducci e le città della pace” (a cura di Flavio Lotti e Severino Saccardi), p. 11 (pubblicazione a cura del Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace, Perugia, 2002).
4 DANILO DOLCI (a cura di), Variazioni sul tema Comunicare, Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991, vol. 1, passim.
5 DANILO DOLCI, La legge come germe musicale, Piero Lacaita Editore, 1993, Manduria-Bari-Roma, passim.
6 Dal messaggio di Mimmo Lucano alla manifestazione di solidarietà – Riace, 6 ottobre 2018.



Sabato 17 Novembre,2018 Ore: 21:02
 
 
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