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www.ildialogo.org ALLARME DEMOCRAZIA,di Raniero La Valle

ALLARME DEMOCRAZIA

di Raniero La Valle

Lettera a Economia Democratica dell’11 marzo 2013


Cari iscritti e amici di Economia Democratica,

mentre stanno per riunirsi le nuove Camere scaturite dalle elezioni del 24-25 febbraio (i cui risultati, così imprevisti, avrebbero potuto risolversi in promettenti novità) dobbiamo lanciare un pressante “allarme democrazia”. La discussione politica e mediatica ha infatti ormai travalicato la normale dialettica postelettorale, e sta investendo con un furore di distruzione l’intero impianto concettuale e politico della democrazia. Non che l’obiettivo dichiarato e palese sia di distruggere la democrazia; l’obiettivo appare piuttosto quello di distruggere qualsiasi possibilità residua che in un grande Paese dell’Occidente come l’Italia, una sinistra, sia pure non ideologica e non comunista, possa governare la società in alternativa al governo del denaro, delle banche e della finanza internazionale. E anche se questo ostracismo, quasi una nuova “conventio ad excludendum”, riguarda solo una parte, peraltro assai grande, del Paese, è tutto il sistema democratico che viene messo in causa.

Questo attacco alla democrazia prende le forme della invocata distruzione di tutti i partiti, dell’antipolitica, del “non c’è né destra né sinistra”, del “tutti a casa”, del “vaffa” e della rottamazione. Sarebbe sbagliato però intestare al movimento di Grillo l’esclusiva di questo uragano devastante. Tutto il sistema politico-mediatico, compresi accreditati salotti giornalistici e televisivi, hanno negli anni costruito questa macchina da guerra e la stanno usando ora con la massima determinazione o – secondo un’ipotesi non molto migliore – con la massima incoscienza.

È un po’ quello che è successo con le Brigate Rosse: il sistema allora dominante aveva bisogno di stroncare il tentativo delle due forze politiche maggiori di realizzare una “democrazia compiuta” mettendo alla prova di una democrazia condivisa (“il compromesso storico”) la cultura comunista e quella cattolico-democratica; il sistema aveva bisogno di mandare a casa Moro e con lui quanti erano partecipi di quel progetto, perché non ne fossero messi a rischio i vecchi poteri, più o meno “forti”. Le B.R. non inventarono tutto ciò, ma vi aggiunsero altre motivazioni di carattere classista e pseudo-rivoluzionarie, e si proposero, forse anche senza una intelligenza col nemico, come braccio armato dell’impresa. Che purtroppo riuscì, e così bene che quando le cose presero poi la piega tragica e agghiacciante dell’annunciato assassinio di Moro, contro cui tutte le piazze italiane erano insorte con l’impeto di una straordinaria emozione popolare, la linea che passò, il messaggio ovunque veicolato, la cultura che si impose come se fosse l’unica possibile e giusta, fu che “Moro doveva morire”, o più esattamente che doveva essere lasciato uccidere. E uno degli argomenti fu che se erano stati uccisi i cittadini che componevano la scorta, il politico non poteva avere il privilegio di essere salvato a causa delle sue sette legislature.

Subito dopo le Brigate Rosse furono sconfitte, ma gli effetti di quella “fermezza” durano tuttora. Le successive fasi della Repubblica vengono infatti da lì; e poiché l’esito a cui si è giunti è un sistema in cui l’intero corpo sociale è impoverito e dilaniato, oggi si tratterebbe di sanarlo con la grande epurazione liberatoria e ancora una volta sacrificale del “via tutti i partiti”, “nessun governo”, “i cittadini al posto dei politici”.

Se questo è il quadro generale, in concreto la distruzione dei partiti significa oggi la distruzione del Partito Democratico. Gli altri ci hanno pensato da sé: l’UDC, il partito di Fini, il pezzo di AN rimasto con Berlusconi, i partiti della sinistra comunista (Rifondazione e PdCI). Quanto al partito di Berlusconi, nonostante la vantata rimonta, è ormai irrecuperabile come partito, anche se non ne mancheranno residui.

Dunque di fatto la crociata per la demolizione dei partiti è una crociata per la liquidazione del PD, che è quanto resta dello scheletro di una democrazia sempre più teorizzata come liquida. Il PD ha certo grandi responsabilità, fin dalla sua stessa confusa e spensierata fondazione come aggregato di diversi; ma qui non è questione di torti o ragioni di quel partito, è una questione di sistema.

L’operazione è cominciata subito dopo le elezioni quando, sulla scia di una impietosa valutazione politica di Bersani (“non abbiamo vinto”), il coro mediatico ha fatto del vincitore uno sconfitto, anzi il primo degli sconfitti pur con la sua maggioranza di coalizione alla Camera e al Senato, sovvertendo già nel linguaggio ogni possibilità di trasformare il voto popolare in governo. Si è aggiunta la delegittimazione di SEL, come presunta causa antimoderata della sconfitta, e soprattutto quella dello stesso segretario Bersani, di cui si è rimpianto che abbia vinto le primarie; si è dato infatti per scontato che Renzi avrebbe compiuto il prodigio di indurre Berlusconi a battere in ritirata senza neanche combattere contro di lui, e avrebbe altresì compiuto il miracolo di fare il pieno dei voti della destra senza perdere i voti della sinistra che, come si è visto dalla scomparsa delle liste di Ingroia, ha votato in massa per il centrosinistra o il Movimento 5 stelle.

La scelta politica di puntare alla distruzione del PD e, pur di raggiungere questo scopo, alla paralisi delle istituzioni, passa attraverso la provocazione al PD di fare un indecente governo con il PDL, magari senza Berlusconi, e passa attraverso il rifiuto del Movimento 5 Stelle, pena l’abbandono del leader, di qualsiasi mescolanza nella fiducia con i voti dei partiti, cioè concretamente con la coalizione di centro-sinistra.

Ma in Parlamento ci sono i partiti e rifiutarsi di “parlamentare” con loro significa rifiuto del Parlamento. Perciò potrebbe non restare altro che andare a nuove elezioni. Mai come in questo caso bisogna dire che le elezioni non sono una iattura della democrazia, ne sono il normale esercizio; e abbiamo fatto l’esperienza di quali disastri negli ultimi anni abbia provocato la volontà di evitare a tuttui i costi le urne, invocando altre priorità. Se al momento giusto, che era quello dell’unico varco di verità che si era aperto sul governo Berlusconi, non ci fosse stato quell’ “horror vacui” per cui si sono rimandate le elezioni, non avremmo avuto l’ultimo anno devastante per il Paese, e forse oggi non dovremmo lanciare l’ “allarme democrazia”.

Vogliamo aggiungere che la situazione che si è determinata ha mostrato con ogni evidenza la fondatezza delle ragioni per cui è stata presa l’iniziativa di “Economia Deomocratica”. La crisi della democrazia, come si vede, è la crisi dell’economia reale delle persone, delle famiglie, delle imprese e delle nazioni, e la distruzione della democrazia sarebbe la distruzione di ogni possibilità di cambiare il corso dell’economia e di fornirle un volto umano.

Queste sono le motivazioni dell’appello che, insieme ai Comitati Dossetti per la Costituzione, Economia Democratica ha lanciato “agli eletti e all’elettorato del 24-25 febbraio”, che vi uniamo come allegato, e che si può trovare anche sui siti di ED, dei Comitati Dossetti, e di altri soggetti della società civile.

Con i più cordiali saluti

Raniero La Valle
Roma, 11 marzo 2013




Lunedì 11 Marzo,2013 Ore: 23:40
 
 
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