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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org ILCRISTO IN CROCE DI BORGES, E' PIU' DI UN TRATTATO DI TEOLOGIA, IL TESTO E IL COMMENTO DI LUIGI ACCATTOLI, DA “LA SPERANZA DI NON MORIRE”, EDITRICE PAOLINE,A CURA DI CARLO CASTELLINI

ILCRISTO IN CROCE DI BORGES, E' PIU' DI UN TRATTATO DI TEOLOGIA, IL TESTO E IL COMMENTO DI LUIGI ACCATTOLI, DA “LA SPERANZA DI NON MORIRE”, EDITRICE PAOLINE

A CURA DI CARLO CASTELLINI

“C R I S T O IN C R O C E”.
Cristo in croce. I piedi toccano terra. Le tre croci sono di uguale altezza. Cristo non sta nel mezzo. Cristo è il terzo.
La nera barba pende sopra il petto.
Il volto non è il volto dei pittori.
E' un volto duro, ebreo. Non lo vedo
e insisterò a cercarlo fino al giorno
dei miei ultimi passi sulla terra.
L'uomo martirizzato soffre e tace.
La corona di spine lo tormenta.
Non lo tocca il dileggio della plebe
che ha visto tante volte l'agonia.
La sua e di altri. E' la stessa cosa.
Cristo in croce. Disordinatamente
pensa al Regno che, chissà, lo aspetta,
pensa a una donna che non gli appartenne.
Non può vedere la teologia,
la Trinità inspiegabile, gli gnostici,
le cattedrali e il rasoio di Occam,
la porpora, la liturgia, la mitria,
la conversione di Guthrum con la spada,
l'Inquisizione, il sangue dei suoi martiri,
le atroci crociate, Giovanna d'Arco,
il Vaticano che benedice eserciti.
Sa che non è un Dio, sa che egli è un uomo
che muore insieme al giorno. Non gli importa,
Gli importa il duro ferro dei suoi chiodi,
Non è un romano. Non è un greco. Geme.
A noi ha lasciato splendide metafore
e una dottrina del perdono tale
da annullare il passato. (Questa frase
la scrisse un irlandese dentro un carcere).
Cerca la fine l'anima, si affretta.
Si è fatto un poco scuro.
Ecco ora è morto.
Vola una mosca per la carne quieta.
A cosa può servirmi che quell'uomo
abbia sofferto, se io soffro ora?
(Ds “I congiurati”, a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, ed. Mondadori, Milano, 1986, da Luigi Accattoli, in “La speranza di non morire” ).
IL COMMENTO DI LUIGI ACCATTOLI.
Qui commento una poesia di BORGES. Parla di Cristo in croce e dice, sul tempo attuale della fede, più di quanto non sia contenuto in un trattato di teologia. O anche in due. Chi crede che ciò sia possibile mi segua.
Per sapere chi siamo, occorre sempre tornare alla passione di Cristo. La meditazione delle sue sofferenze ha aiutato l'umanità, con penetrazione di secoli, a sentire le sofferenze del prossimo: Ma oggi la passione di Cristo non ci colpisce più. Proprio che oggi siamo sensibili alla comune passione umana.
“A cosa può servirmi che quell'uomo / abbia sofferto, se io
soffro ora?”conclude BORGES nella poesia più emozionante, CRISTO EN LA CRUZ, della sua ultima raccolta, I CONGIURATI. Quell'uomo appunto: oggi se non siamo atei, siamo tutti nestoriani e pensiamo che l'uomo che è morto sulla croce quel pomeriggio poco fuori Gerusalemme era solo un uomo, mentre il Verbo che gli era unito non poteva morire.
Ma più spesso siamo increduli di tutto e neanche osiamo pensare al Verbo. Tuttavia non riusciamo a liberarci da Cristo, specie dal Cristo in croce. Non gli crediamo, ma continuiamo a cercarlo.
“Non lo vedo /
ma continuerò a cercarlo fino al giorno /
dei miei ultimi passi sulla terra”.
Dice ancora BORGES nella stessa poesia,
che ho tenuto per un anno nella borsa
e che ho riletto a ogni attesa di autobus.
A proposito: il 1986 è per me anche
l'anno della morte di Borges. E voglio qui
ripassare verso per verso quella sua poesia sul CRISTO IN CROCE, in segno di gratitudine per il dono
che Borges – autore di molte poesie sui “doni” di cui non potremo sdebitarci – ha rappresentato per me. (Luigi Accattoli, il testo è sopra riportato).
CRISTO IN CROCE. I PIEDI TOCCANO TERRA.
Il Cristo di Borges ha i piedi a terra: è un Cristo terrestre. Questo particolare, come tutti gli altri elementi della sua visione, contrasta con i Vangeli, con la iconografia e con la cristologia. Come ad avvertire: il mio Cristo non è quello dei Vangeli, dei pittori, e dei teologi. “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”, dice Gesù in Giovanni 12, 32. Il Cristo di Borges contrasta anche con l'archeologia e le fonti letterarie sull'uso della croce come supplizio: il condannato veniva infatti innalzato da terra (“I piedi sovrastavano al suolo di un metro, un metro e mezzo”, dice l'Enciclopedia cattolica), tranne nel caso della “crux humilis”, che si usava per esporre i condannati “ad bestias”.
Ma certamente Cristo fu inchiodato ad una “crux sublimis”: leggiamo infatti che gridando Gesù “Eli, Eli”, umo dei presenti “corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere” (Matteo 27, 46-48). Se avesse avuto i piedi per terra, non c'era bisogno della canna. Borges gli fa toccare terra per abbassarlo alla nostra misura.
“LE TRE CROCI SONO DI EGUALE ALTEZZA”.
“Ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato tra gli empi”, dice ISAIA 53, 12: Così viene interpretata la collocazione di Gesù tra i due ladroni, che la tradizione ha chiamato DISMA (quello buono di destra, uomo con la barba) e GESTA (quello cattico, di sinistra, giovane sbarbato).
Ma Borges che ha abbassato Cristo alla nostra misura lo confonde con i due, dandogli una croce eguale alle altre: e in questo i Vangeli gli darebbero ragione, ché non ci dicono di una simile distinzione. E' la fantasia dei pittori che ha immaginato la croce più alta e dieci altri espedienti per distinguere Gesù dagli altri due che furono crocifissi con lui: costoro sono spesso più piccoli di Gesù, legati invece che inchiodati, su alberi invece che su croci, con le croci a “tau” (senza cioè la sporgenza del palo centrale sopra la testa).
Sulla porta in legno di Santa Sabina, a Roma, c'è una crocifissione del quinto secolo che è forse la più antica con i due ladroni: i tre sembrano avere i piedi a terra, ma il Cristo è di statura doppia rispetto agli altri due.
“CRISTO NON STA NEL MEZZO, CRISTO E' IL TERZO”.
Tutti e quattro i Vangeli dicono che Cristo era nel mezzo: “Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra (Giovanni 19, 17-18). Spostandolo dal centro, ponendolo come terzo, BORGES compie la più audace rivoluzione iconografica della passione tentata dai moderni. Borges prende atto che Cristo non è più al centro delle sofferenze umane. Stava al centro perchè, come Sommo Sacerdote, egli fu “preso di mezzo agli uomini” (Ebrei 5, 1).
Stava al centro, perchè collocato in mezzo all'umanità egli parlava a esoffriva a nome di tutti. Qui, in Borges, soffre e tace. (cf. verso 9) esclusivamente per sé. Contraddicendo l'archeologia (come nel caso dei piedi a terra), o attenendosi a essa, (come per l'eguale altezza delle croci), o contrastando i Vangeli (come per lo spostamento al terzo posto), Borges ci rappresenta un Cristo emarginato e puro uomo. Uno dei mille e mille schiavi, ladri, briganti e traditori ai quali era riservato questo supplizio.
Il terzo di quel pomeriggio d'aprile. Questo è l'ultimo approdo della meditazione di BORGES sul Cristo in croce. In LUCA XXIII, che è del 1960,e che tratta del dialogo tra Cristo e il ladrone, riferito soltanto da LUCA (23, 39-43), il Cristo di Borges è ancopra Dio:
“Nel compito /
finale di morire crocifisso, /
apprese, fra lo scherno della gente , /
che chi stava morendo accanto a lui /
era Dio, e gli disse ciecamente: /
“Ricordati di me quando verrai /
nel tuo regno”.
In un”'altra poesia dei doni”, che è del 1964, Borges non menziona più la divinità di Cristo, ma attribuisce ugualmente un significato forte a ciò che Cristo fa e dice sulla croce, quando propone un ringraziamento “per le parole che in un crepuscolo furono dette / da una croce all'altra”.
In quest'ultimo volume del 1985 Cristo è soltanto “il più strano degli uomini, quello che morì un pomeriggio su una croce” (Qualcuno sogna, p. 47 dell'ediz. Cit.).
“IL VOLTO NON E ' IL VOLTO DEI PITTORI.
E' UN VOLTO DURO, EBREO”.
Il vecchio Borges tratta duramente l'immagine di Cristo. La cancella e la ridipinge, ansioso di trovare il Redentore, ma confessa subito dopo:”Non lo vedo”. DOMENICO PORZIO, traduttore e divulgatore di BORGES, ha scritto di quest'ultima raccolta:”A chi sospetta un Borges, con gli anni, ripetitivo, appena segnaliamo la disperata violenza con cui egli rilegge, nei Vangeli, il mistero della crocifissione” (nel risvolto di copertina della Mondadori, op. cit.).
Sì: è la violenza di un vecchio, fatta estrema dal poco tempo a disposizione per una ricerca che appare interminata. E quella violenza non è certo ripetitiva: mai Borges era stato così violento con Cristo. Leggendo questa poesia ho la stessa sensazione di quando entro nella capella Paolina, in Vaticano, affrescata dall'ultimo Michelangelo. Borges era cieco quando scriveva di Cristo “non lo vedo”. MICHELANGELO era quasi cieco e altrettanto vecchio. (morì a 89 anni, Borges a 87).
Quelle due pareti michelangiolesche sono le muraglie dell'ultima luce. A destra la crocifissione di Pietro, nel chiarore del tramonto. A sinistra la Conversione di Paolo, nei bagliori che precedono il temporale. Un Michelangelo che insegue a tentoni, su quelle mura, la luce che se ne va, mentre si fanno avanti la notte e la tempesta
NON LO VEDO / E INSISTERO' A CERCARLO FINO AL GIORNO / DEI MIEI ULTIMI PASSI SULLA TERRA”.
E' il cuore del componimento. Qui Borges parla a nome dell'umanità del nostro tempo: che crca il volto di Cristo e non lo trova. Che si sente divisa tra credenza religiosa e sua negazione. Una volta LEONARDO SCIASCIA ha scritto che Borges è “il più grande teologo del nostro tempo, un teologo ateo” (Un affascinante teologo ateo, in Corriere della Sera, 30.9.1979). In questi due versi Borges riassume la sua teologia atea, che a sua volta riassume la nostra epoca – teologica e atea come nessun'altra – e la interpreta. Perché chi dice la verità parla a nome di tutti.
E qui Borges coglie una verità: quella di un'epoca incredula, che insiste a interrogarsi su Cristo. Insoddisfatta delle risposte dei teologi, seccata dalle affermazioni degli atei. In attesa di un giorno diverso. “Verrà forse un giorno in cui mistica e laicità non parranno parole contrapposte, né i segni di realtà incomunicanti. E si comprenderà che la mistica nasce nel profondo dell'uomo che cerca il senso e ha qui la sua laicità originaria. E si comprenderà che ogni uomo, nella sua realtà di persona, sta innanzi a un'esperienza che lo trascende.
L'Occidente avrebbe un gran giorno se riuscissimo ad andare oltre la confusione della fede con una formula e della razionalità con la mondanità. Potrebbe essere questo diverso da una nuova lettura del volto di Gesù, il fondatore della specificità dell'Occidente, del valore infinito dell'io?” (GIANNI BAGET BOZZO, IL CRISTIANO GUTTUSO, in La Repubblica, 23.1. 1987). (LUIGI ACCATTOLI, La speranza di non morire, Editrici Paoline, a cura di Carlo Castellini).



Giovedì 09 Aprile,2020 Ore: 17:43
 
 
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