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www.ildialogo.org LA DISARMONIA IN GENESI 3 COME FALLIMENTO DELLA LIBERTA' UMANA, DI CLAUS WESTERMAN, BIBLISTA. IN “RIPENSARE LA FEDE NELLA FEDELTA' A CRISTO E AL PROPRIO TEMPO, DI VITTORIO MENCUCCI E LUIGI GIANANTONI, DA “IL POZZO DI GIACOBBE”,A CURA DI CARLO CASTELLINI

LA DISARMONIA IN GENESI 3 COME FALLIMENTO DELLA LIBERTA' UMANA, DI CLAUS WESTERMAN, BIBLISTA. IN “RIPENSARE LA FEDE NELLA FEDELTA' A CRISTO E AL PROPRIO TEMPO, DI VITTORIO MENCUCCI E LUIGI GIANANTONI, DA “IL POZZO DI GIACOBBE”

A CURA DI CARLO CASTELLINI

“Il racconto che tradizionalmente va sotto il titolo: “Il peccato originale”, ha assunto nella chiesa cristiana, anzi nell'antropologia occientale, un significato così profondo ed esteso, che qui si rende necessario interrogare con particolare accuratezza e avvedutezza il testo per conoscere che cosa realmente dica. Si può già a priori affermare che nell'Antico Testamento il testo non ha questo significato così ampio. In nessun altro passo dell'Antico Testamento si cita o si presuppone questo testo; il suo significato è ristretto agli avvenimenti primitivi. Non si può affatto sostenere che l'Antico Testamento parlì di una caduta dell'uomo, come conseguenza del peccato qui narrato, in uno status corruptionis o che dopo di esso egli sia divenuto “uomo decaduto”. Nel giardino fu dato all'uomo e alla donna un comandamento che non esige alcuna rinuncia; si possno mangiare tutti i frutti a sazietà (Gen. 3, 2). La proibizione riguarda “frutto dell'albero che è in mezzo al giardino: non toccatelo per non morire” (Gen. 3, 3); la proibizione ha lo scopo di preservare l'uomo e la donna dalla morte. E che cos'è questo frutto così proibito? E' quello che rende coloro che lo mangiano “come Dio, conoscenti (il) bene e (il male)” (Gen. 3, 5). Dunque la provocazione è molto intrigante, trattandosi di voler decidere nell'autonomia più assoluta, al pari di Dio appunto, “ciò che è bene, e ciò che è male”! Ogni persona umana è da sempre allettata da questa proposta. Soltanto se l'uomo ha fiducia che il Legislatore gli vuole bene potrà osservare il precetto. Il comandamento apre dunque una possibilità di risposta libera. E questo è di fatto il senso vero e proprio dei comandamenti nella Bibbia. Il narratore vuole così affermare che ciò appartiene all'essere umano, anzi che tale libertà è un ampliamento delle sue possibilità di esistenza. Attrraverso le domande viene fatta ribaltare la responsabilità dell'uomo il quale deve rispondere di ciò che fa (il serepente non viene interrogato!). Un'etica individualistica e idealistica ha privilegiato la coscienza alla responsabilità.
La coscienza può essere molto importante per il singolo e per la sua autocomprensione; ma per l'equilibrio di ordine e libertà in una comunità non basta l'appello alla coscienza. La coscienza non può mai sostituire la responsabilità.
Dunque questo precetto non è giogo estraneo alla umanità, bensì legge intrinseca all'ethos di una coscienza umana educata alla responsabilità. Il comandamento apre una possibilità di risposta libera al Legislatore. Il sospetto e la sfiducia si è ormai insinuata nell'uomo e nella donna. L'uomo ha travalicato il proprio limite creaturale pretendendo di usurpare il ruolo divino, e si è trovato “nudo”!
Dio però non lo abbandona in potere della morte, ma gli va incontro e fa un all'appello all'”adam” nascosto e impaurito infondendogli un futuro, la speranza di redenzione. Così l'ermeneutica aiuta a cogliere il senso del testo in profondità e in novità. Questa dinamica di dubbio e sospetto è l'origine del “peccato”.
UNA RIFLESSIONE SUL “PECCATO ORIGINALE” OPPURE SUL PECCATO?
Riassumendo la risposta di CLAUS WESTERMAN a tale interrogtivo (180-183), diciamo che questo titolo, saldamente ancorato nella tradizione cristiana occidentale, esprime una certa interpretazione del racconto biblico. Tale interpretazione fu fissata nella dogmatica delle chiese cristiane mediante la dottrina della della condizione originaria, del peccato originale e della sua ereditarietà. L'interpretazione in essa inplicita non nacque per la prima volta nella chiesa e nella tradizione cristiana, ma ebbe origine nella tradizione del tardo giudaismo. Ciò appare chiaramente nel IV (7, 118) Libro di ESDRA : “Ah! Che cosa hai fatto, ADAMO! Se tu hai peccato non sei caduto da solo, ma siamo caduti anche noi che discendiamo da te”. Qui ADAMO è considerato come individuo storico, il cui “peccato” passò attraverso di lui ai suoi discendenti. Su questa interpretazione tardo-giudaica poggia la dottrina del peccato originale e della sua ereditarietà. Essa non è fondata sul racconto biblico.
L'interpretazione paolina di Gen. “2-3 in Rm, 5, 12-6, 23 è anch'essa in connessione con l'esegesi tardo-giudaica, che ha come presupposto la convinzione che il peccato di Adamo ha causato l'ingresso del peccato e conseguentemente della morte nella storia umana. Con AGOSTINO la dottrina del peccato originale raggiunse la sua piena formulazione.
Oggi non si può più dire che questa concezione di AGOSTINO, che esercitò un influsso determinante nella tradizione cristiana occidentale, corrisponda al senso inteso dall'autore del racconto biblico della GENESI. Il principio basilare errato di questa concezione è il presupposto che la nostra storia attuale cominci con il peccato originale, mentre prima di questa caduta ci sarebbe “uno stato originario”paradisiaco di innocenza: ma l'intero racconto biblico è da intendersi come avvenimento da collocarsi al di là della nostra storia. La storia primordiale scritta in GENESI non è stata composta in presa diretta degli avvenimenti mentre accadevano, bensì è una risposta ai problemi spesso drammatici dell'umanità intera.
Nelle premesse ermeneutiche abbiamo già detto che la BIBBIA è il risultato proveniente da varie tradizioni orali ebraiche sorte da una lunga riflessione umana sulla vita e sul destino dell'umanità, tradizioni ri-scritte – pur sotto l'impulso della ruah/spirito del Signore – tuttavia attraverso immagini “mitiche” non scientifiche e letterariamente datate ma splendide -, come si conviene a descrizioni di eventi vitali che sono fondamento perenne per esprimere il senso del vivere e del morire. PAOLO VI rivolgendosi ai teologi convocati a Roma per un simposio sul peccato orifinale, diceva:
“I vescovi e i sacerdoti non possono degnamente adempiere la loro missione di illuminazione e di salvezza del mondo moderno, se non sono in grado di presentare, difendere e illustrare la verità della fede divina con concetti e parole più comprensibili alle menti formate alla odierna cultura filosofica e scientifica (11 luglio 1966”.
Nel sistema di pensiero paleontologico e teologico theilardiano, derivato dallo studio della Realtà umano/cosmica e dalla riflessione sulle Scritture e che rappresenta un ribaltamento di paradigma teologico. THEILARD DE CHARDIN intuisce che il BENE non è all'origine di una vicenda umana che lo ha rifiutato con il cosiddetto “PECCATO ORIGINALE”, ma è piuttosto “alla fine” di una evoluzione cosmica e umana che lo “costruisce” anche mediante la sofferenza; quindi la morte non come condanna frutto del peccato, ma come “via di accesso ad una sfera sovrumana di autocoscienza di personalità: morte come nuova nascita.
Nell'ambito teologico cristologico, la rivoluzione theilardiana significa il passaggio da una concezione amartiocentrica (passione di Cristo come riparazione del peccato) a quella cristocentrica (il Cristo condivide, fino alla morte di croce, lo sforzo dell'umana evoluzione a partire dall'iniziale dolorosa imperfezione. Cristo è il motore e il mezzo tramite cui il processo evolutivo cosmico giunge a compimento. Più che riferirsi al passato, questi testi guardano al futuro dell'Umanità! Chissà se l'umanità sarà capace di correre questa avventura!(CLAUS WESTERMAN, a cura di Carlo Castellini).



Martedì 03 Marzo,2020 Ore: 18:09
 
 
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