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www.ildialogo.org DALLA POLITICA DEI POLITICANTI ALLA POLITICA DEI CITTADINI,di Augusto Cavadi

DALLA POLITICA DEI POLITICANTI ALLA POLITICA DEI CITTADINI

di Augusto Cavadi

lunedì 24 settembre 2018
Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autore che ringraziamo, dal suo blog Augustocavadi.com
24.9.2018
SIAMO TUTTI POLITICI
Nel Sessantotto era abbastanza frequente la figura del “cristiano per il socialismo”, attivamente impegnato per la riforma della chiesa e del sistema capitalistico. Oggi, nell’epoca dell’eclissi delle “grandi narrazioni”, è molto più difficile trovare intellettuali impegnati in “utopie concrete”. Tra gli ultimi esemplari di questa specie in estinzione (almeno nel presente e nell’immediato futuro) troviamo Piero Di Giorgi, con il suo recente Siamo tutti politici. Dalla repubblica dei partiti alla democrazia dal basso (Albatros, Roma 2018, pp.234, euro 14,90).
 L’autore, adottando esplicitamente un approccio complessivo e transdisciplinare alla situazione socio-politica planetaria, parte dall’analisi dello status quo: il “fondamentalismo del mercato” provoca danni sociali (“disoccupazione giovanile”), politici (“crisi della rappresentanza”), ambientali (“catastrofe ecologica”). Alla diagnosi dei mali si accompagna la terapia, fondata essenzialmente su una visione antropologica e su una riforma intellettuale e morale (di stampo gramsciano).
 La visione antropologica, superando vecchie contrapposizioni, focalizza un essere umano tendente , per natura, tanto all’autoconservazione egoistica quanto alla cooperazione solidale: un’ambivalenza che sarà l’ambiente, l’educazione, la società (insomma la “cultura”) a sciogliere facendo prevalere – sia pur mai definitivamente – ora la tendenza aggressiva ora la tendenza collaborativa.
  Da questa concezione dell’essere umano si ricava l’importanza decisiva della “politica della cultura” come impegno collettivo – del sistema scolastico ma non solo - a sviluppare il senso critico e a “democratizzare la conoscenza” (Edgar Morin). Solo una cittadinanza più informata sarà in grado, se vince la pigrizia, di evitare la delega ai politici di professione e di partecipare continuativamente alla gestione della cosa pubblica.
  Che effetto può provocare questo saggio sui lettori? 
  Ovviamente dipende dall’età e dalla formazione culturale di ciascuno. 
  Alcuni, soprattutto più giovani, troveranno istruttivo vedere in un quadro riassuntivo d’insieme le idee-guida che sono state elaborate nella seconda metà del XX secolo dai movimenti “antagonisti” rispetto al “pensiero unico” neoliberista dominante. Per altri, soprattutto se meno giovani e più informati, questa sintesi provocherà, in più passaggi, un retrogusto – misto di nostalgia e di tenerezza - di déjà vù.
  Personalmente ho apprezzato varie osservazioni critiche, per esempio sulla degenerazione dello spirito cooperativistico in numerose organizzazioni effettive: “Ricordate la pubblicità <> ? In verità i soci Coop non contano niente e i prezzi sono spesso più alti di altri supermercati e i licenziamenti dei lavoratori anche” (p. 150). Altre considerazioni mi lasciano perplesso, per esempio la tesi che il divieto del “vincolo di mandato” - divieto previsto da tutte le democrazie costituzionali compresa la nostra - sia una “fregatura” (p. 82). Capisco che i cambi di casacca sempre più frequenti fra i parlamentari suscitino rabbia e delusione negli elettori; ma non vedo nella trasformazione dei “rappresentanti” (autonomi per cinque anni) in “delegati” (continuamente revocabili) una soluzione adeguata. Ciò equivarrebbe infatti a vanificare le discussioni parlamentari: se so già di essere mero portavoce dei miei elettori, a che perdere tempo nell’ascoltare le argomentazioni di colleghi parlamentari che espongano punti di vista alternativi? Anche se per caso mi dovessero convincere, dovrei rinunziare alla mia coscienza ed esprimere il voto secondo l’indirizzo imperativo dei miei elettori. Ovviamente, sullo sfondo della tesi di Di Giorgi, si intravede la sua preferenza per la democrazia diretta rispetto alla indiretta o rappresentativa, laddove per me è bene che sia quest’ultima la norma e alla prima si ricorra solo in questioni eccezionali (quali, ad esempio, la dichiarazione di una guerra) sulle quali non è necessaria una competenza tecnica specifica.
 Al di là di occasionali riserve che può suscitare, questo testo possiede il merito indiscutibile di ricordare che – contrariamente all’opinione comune – i giochi non sono fatti. La fisica post-newtoniana insegna che piccole modifiche periferiche possono comportare sconvolgimenti nell’intero sistema: perché escludere che anche nella sfera antropica si possa assistere a fenomeni sorprendenti del genere? Una volta si chiamavano “rivoluzioni”. La teoria che esse non siano più ipotizzabili non solo non è incoraggiante, ma non è neppure scientifica.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com



Martedì 25 Settembre,2018 Ore: 18:58
 
 
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