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www.ildialogo.org IL DIALETTO COME IDENTITÀ  ,  di Sebastiano Saglimbeni

IL DIALETTO COME IDENTITÀ  

  di Sebastiano Saglimbeni

Ѐ stata divulgata di recente la Rivista italiana di letteratura dialettale, anno 1, n. 1, un periodico trimestrale diretto da Salvatore Di Marco, educatore, poeta e noto dialettologo vivente a Palermo. Un periodico di 32 pagine, curato con acribia, con testi di alto livello. Alcuni di questi fanno rimpiangere il dialetto che Pier Paolo Pasolini aveva definito “come la mammella di una madre a cui tutti hanno succhiato, e ora ci sputano sopra…”. Pasolini stravedeva per il dialetto, difatti, giovanissimo, a Casarsa, dove era nata la madre Susanna, aveva istruito un gruppo di ragazzi, figli di contadini, con composizioni in dialetto friulano e in lingua. Tra i ragazzi, Tonuti Spagnol, che oggi, ottantenne, fa leggere orgogliosamente ai suoi amici e conoscenti le sue poesie in friulano. Alla mia generazione degli anni Trenta, la lingua d’istituzione ha sottratto il dialetto dei nostri umili genitori, dialetto che non andava rifiutato, ma parlato, scritto, studiato. Quel dialetto andava confrontato con la lingua italiana che imparavamo per esprimerci e per inserirci nel mondo del lavoro.

Di Marco, che firma la nota editoriale, fra l’altro, scrive, a proposito: “ C’è ancora bisogno di una rivista aperta e combattiva, agile competente, che rappresenti la poesia dialettale di tutte le regioni italiane, che ne discuta la storia e le questioni del presente, che pure si ricolleghi alle dinamiche della letteratura italiana per un verso e agli studi di dialettologia, per altro verso, non trascurando né la poesia popolare né la nostra tradizione culturale”. Questo suo discorso oggi mi fa meglio riflettere su quanto aveva scritto il famoso saggista e giornalista Ugo Ronfani sui canti popolari siciliani che avevo trascritto in appendice alla mia silloge poetica Catàbasi e lezione di umiltà, edita da Guanda nel 1977. Ronfani parlava di “dialetto come identità” ed aveva certamente inteso come il sottoscritto si fosse identificato con il ricorso alla cultura subalterna della comunità di Limina. Pure Paolo Volponi, che aveva scritto l’introduzione alla silloge, aveva visto in quel mio dialetto un valore di purezza linguistica. A parte questo inciso autobiografico, gli interessi sul dialetto sono tuttora vivi, anzi, vivissimi. Non pochi autori italiani scrivono in dialetto, soprattutto, poesia di non poco valore creativo e contenutistico, pure con traduzione a fronte in lingua.

Dalla rubrica “Saggi” della sopraddetta rivista, il testo di Gian Luigi Bruzzone, dal titolo “Graziadio Isaia Ascoli e Giuseppe Pitrè”, nutrito di note bibliografiche, rievoca due grandi studiosi, uno del nord, l’altro del sud isolano. Graziadio Isaia Ascoli fu un esponente della glottologia e della dialettologia. I suoi contributi, scrive Bruzzone, “ sulla fonetica e sulla grammatica comparata indoeuropea, grazie ai quali sostenne la parentela delle lingue europee con quelle semitiche, quelli sul ladino, quelli sul franco-provenzale, furono caposaldi della disciplina”. L’Ascoli era nato a Gorizia nel 1829 e morto a Milano nel 1907. Giuseppe Pitrè, laureato in medicina, “per quanto insegnasse latinetto nelle scuole”, fu un grande folclorista della Sicilia, la sua regione, ragione di esistere. Non ignorava il lavoro, riguardante i dialetti, di Ascoli. Era nato a Palermo nel 1841 ed ivi morto nel 1916. Ed altro, di molto dotto, in questo intervento di Bruzzone. Segue a questa scrittura, un testo di Di Marco, dal titolo “Le ventisette lettere di Maria Messina ad Alessio di Giovanni”. In questo, gesto che più vale, è stata rinfrescata la memoria della scrittrice siciliana, che la manualistica letteraria non menziona. Un’ autrice di prosa, Maria Messina, nata a Palermo nel 1887 e morta a Pistoia nel 1944. “La grande critica italiana”, ricorda Di Marco, “teneva da tempo in buona considerazione quella dirompente scrittrice palermitana: basti pensare ad Antonio Borgese, Eugenio Donadoni, Ida Finzi, Emilia Formiggini Santamaria, Giuseppe Lipparini, Carlo Villani”. Alessio Di Giovanni era nato a Cianciana nel 1872 e morto a Palermo nel 1946, fu poeta e drammaturgo. Aveva parlato della scrittrice durante una conferenza su Giovanni Verga. Non pochi nomi in questo testo, nel quale vengono ripresi tratti di lettere della scrittrice, non sfuggita ad Elvira Giorgianni, l’anima dell’editrice Sellerio, che ha pubblicato dal 1981 al 1998 una diecina di titoli. Un grande premio di una donna ad una donna, autentica scrittrice. Questi testi come esempio. Altri, sono a firma di Gabriele Ghiandoni, Benedetto Di Pietro, Pietro Civitareale, Sergio Spadaro. Seguono testi poetici di Mariella Pisani, Di Alessandro Angelo Guasoni, Luigi Bressan, Dante Cerilli, Maria Lancillotti, Vito Moretti, Salvatore Di Natale e due recensioni.

Che viva un organo culturale del genere, perché rispecchia il concetto sui dialetti che intesero, ad esempio, due uomini come Maksim Gorkij e Antonio Gramsci.

Il primo, un vagabondo, un emarginato, un incarcerato più volte, assurto, poi, a grande scrittore russo, scriveva: “Raccogliete il vostro folklore, studiatolo, elaboratelo”. Il secondo nelle galere infami fasciste scriveva nei Quaderni del carcere: “Il folclore non dev’essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa seria e da prendere sul serio”.

Rivista italiana di letteratura dialettale si può definire una seria cosa scritta.

Un’immagine di Giuseppe Pitrè




Mercoledì 03 Luglio,2013 Ore: 17:48
 
 
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