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www.ildialogo.org UNA LETTERATURA IMPONENTE,di Sebastiano Saglimbeni

UNA LETTERATURA IMPONENTE

di Sebastiano Saglimbeni

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Conosciamo da parecchio tempo l’uomo, il poeta, il saggista, il docente, ora emerito, Carmelo Aliberti, nato a Bafia, una comunità dei Peloritani, in provincia di Messina, più volte insignito di meritati guiderdoni. Per quest’uomo crediamo di affermare che ha vissuto in nome della cultura letteraria. Egli l’ha costantemente, caparbiamente, studiata, l’ha partecipata nelle Scuole e ha creduto di scriverne, sin da giovanissimo. Pertanto, in lui si è generato un vivo sentimento critico, grazie al quale, meditato, rigoroso e limpido, leggiamo molti autori, ormai classici, ed autori poco noti e sconosciuti trattati, non in ordine di tempo, nella sua ultima elegante ed imponente fatica, in due tomi, dalle 1400 pagine e dal titolo Letteratura e società italiana/Dal secondo Ottocento ai nostri giorni (Edizioni Terzo Millennio, 2018).
Il primo tomo, dopo i due agili profili, “Lineamenti storici” e “Quadro culturale”, si apre con un autore molto letto dagli italiani nella seconda metà del secolo scorso. Trattasi di Carlo Cassola, il cui famoso romanzo “La ragazza di Bube” appassionò, soprattutto, certo pubblico che aveva vissuto, intus et in cute, l’ultimo conflitto mondiale e la conseguente Resistenza. Seguono pagine riguardanti gli autori che hanno scritto sulla lotta di liberazione dal nazifascismo.
Pure in apertura dell’opera riappare un prosatore di rara raffinatezza, da tanto dimenticato. L’autore, di cui ora Aliberti ha rinfrescato la memoria, si chiama Nino Savarese, nato nella mitica cittadina siciliana Enna nel 1882 e morto nel 1945. Si era formato tra le famose riviste del secolo scorso, “La voce” e “ La ronda”. Può giovare, pertanto, scrivere che si dovrebbero ristampare le sue opere come “L’altopiano” del 1915, un piccolo capolavoro. Ora Savarese rivive dentro l’opera di Aliberti e il lettore della nuova generazione potrà sapere che “la sua produzione letteraria comprende una trentina di titoli che Enrico Falqui nel 1961, in forma antologica, riunì con il titolo La goccia sulla pietra e altre operette”.
Il secondo tomo si apre con Maria Luisa Spaziani, la cui vita è trascorsa invero in nome della poesia; segue Dacia Maraini, che la critica ha giudicato “la migliore scrittrice italiana vivente”. In questa parte dell’opera, forse la più intesa e sofferta da Aliberti, si leggono alcune pagine che sono brevi saggi che l’autore in precedenza aveva divulgato e, preso da certo assillo, per offrire del meglio, ha voluto rivedere.
Si può affermare che il capitale letterario nei due tomi è molto denso e gli autori, poeti e scrittori, sono un centinaio e non si può escludere che abbiano inteso lo stimolo della “febbre”, del “furore” e del “fiele”, per dirla con il saggista siciliano Giuseppe Zagarrio, ma pure la speranza, la fede in questa nostra sfera dove resta perennemente in agguato il male. Dunque, un travagliato ed orgoglioso impegno di Aliberti saggista che non può non generare certe critiche per gli esclusi che nel nostro Paese hanno firmato opere di pregio sotto ogni profilo. Ma le scelte, in imprese culturali del genere, sono scelte e, come tali, vanno rispettate. Aliberti, che ha soggiornato nella Trieste mitteleuropea dove ha conosciuto gli uomini della letteratura, vive, con la febbre del libro, in Sicilia, che con i suoi grandi e minori autori ha fatto ingresso in questa sua fatica. La Sicilia con i suoi uomini, la Sicilia “luogo di strazio ed anche di rovina”, nella definizione di Claudio Magris che pure ha inneggiato a scrittori come Federico De Roberto.
Della Sicilia, Aliberti, in un’appendice ad una sua vecchia intervista dedicata ad un poeta menziona Concetto Marchesi, “grande umanista e politico”. Questi, autore della famosa “Storia della letteratura latina” in due volumi che si leggeva, anni or sono, come si può leggere un bel romanzo, è pure un narratore, per due opere, soprattutto, “Il cane di terracotta”, edito da Cappelli, e “Il libro di Tersite”, edito da Mondadori. Se Aliberti avesse avuto nella sua biblioteca questi due titoli ne avrebbe scritto e collocato nella prima metà del secolo scorso l’umanista come uno scrittore di spicco.
Senza dilungarci, si deve concludere che per allestire quest’opera, di una complessa indagine, il saggista-poeta Aliberti, ha letto e riletto molti nostri scrittori e poeti, li ha interpretati e reinterpretati ed ha imparato a conoscerli nei loro vizi e nelle loro virtù, impresa non agevole, per divulgarli meglio con le loro opere. Solo così ha potuto completare la sua azione critica di uomo libero e desideroso di lasciare, fra l’altro, non poco, un lavoro che si chiama scrittura, letteratura, l’espressione più alta che continua ad essere o a esistere e a nutrire le buone menti umane da quando apparvero nel nostro Paese, sostituendosi alla lingua dei padri latini, i primi linguaggi di lingua volgare, come il Placito di Capua del 960.



Lunedì 17 Dicembre,2018 Ore: 14:55
 
 
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