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www.ildialogo.org TONUTI SPAGNOL, POETA  ,di Sebastiano Saglimbeni

TONUTI SPAGNOL, POETA  

di Sebastiano Saglimbeni

Quando Pier Paolo Pasolini, ventenne, visse a Casarsa, comunità friulana, dov’era nata la madre Susanna Colussi, erano gli anni tragici dell’ultimo conflitto mondiale. Quella permanenza, in una comunità preindustriale povera, fu per Pasolini fertile di grandi occasioni creative, alimentate dalla parlata dei figli dei contadini analfabeti strumentali.
A questi, Pasolini aveva, soprattutto, insegnato come non dimenticare il dialetto, la lingua dei padri, come dovevano farlo rivivere, trascrivendolo nei loro componimenti, mentre apprendevano la lingua di istituzione ed altro. Tra quei figli di contadini, Antonio (Tonuti) Spagnol, da anni vivente in Verona, il quale apprese a leggere, a far di conto e, con sorpresa, a comporre poesie in dialetto friulano e in lingua italiana.
In una mia nota precedente avevo ricordato due sue poesie, una dal titolo “Zovinuta”(Giovanetta), dedicata ad una ragazza contadina, tutta purezza, dal viso delicato nuovo e lucente. Il testo, scritto in dialetto, si può leggere in una traduzione letterale in lingua. L’altro testo in dialetto dal titolo “Glisuta di Versuta” (Chiesetta di Versuta), contempla il suono di una campana che si espande per la campagna ed è - come lo definivano i contadini - la “santa voce di Dio”.
Durante una mia recente conversazione nel Caffè Filarmonico di Verona, Spagnol mi ha ricordato la sua produzione poetica, non poco, fiorita in quegli anni che il giovane Pasolini visse a Casarsa, e dopo.
Trattasi di poesie in lingua e in dialetto che si fanno leggere per la loro leggerezza linguistica e per il loro contenuto, il paesaggio naturale e quello interiore dell’autore. Ne scegliamo, per i nostri lettori, tre: “Notte”, ”Lamento” e “Ѐ inutile”.
“Notte” recita:
“Lontanissimo/ il canto del chiù/ più lontana è la luna;/ faccio la guardia/ a quattro cannoni/ polverosi.// Cammino con sgomento/ su l’erba bruciata/ come i miei occhi.// Solo la luna/ pallidissima può reggere/ questa notte domenicale.// Sento ridere/ ridere sempre più forte/ e più lontano.// Non so se i miei vent’anni/ sono un grido/ questa sera/ o un riso/ lontanissimo”.
Qui, come in altri testi di Spagnol, la lezione della lirica nuova, asciutta, che scrissero i nostri grandi poeti della prima metà del secolo scorso. Qui la notte e il lamentio del chiù e la visione della luna che pare si possa toccare ed invece è lontanissima. I quattro cannoni e quel camminare sull’erba bruciata, come gli occhi del poeta, esprimono la violenza umana e la desolazione di chi inizia a percorrere l’arduo viaggio dell’esistere. Un dubbio colpisce il poeta, che non sa se la sua giovane età di ventenne sia un grido o un riso. La lirica si legge più lirica laddove si sente il canto del chiù”, poesia.
“Lamento” recita:
“Tarda è la sera/ e un lamento / di campana/ mi giunge, lento, lento,/ mentre il mio occhio/ fissa lontano un lume/ di luce vana/ che trema eterno/ nell’umido buio.// Avvolge i boschi/ una nebbia fitta,/ ogni spina ha una lacrima,/ ogni cuore un lamento.//A stento, a stento/ m’arriva ancora/ quel suono/ che non è suono/ ma tormento”.
Qui, sottinteso, una comunità con il luogo della fede cristiana. Il poeta sente il suono di una campana, che gli pare un lamento, forse un martorio per qualcuno che è esalato. Poi un lume, la speranza, che svanisce nell’eterno “umido buio” e la nebbia fitta che intensifica lo stesso buio della giornata conclusa. E quindi l’io del poeta in quella spina con una lacrima e in quel cuore in lamento. La lirica si chiude con il suono della campana che non è un suono, ma l’espressione dell’eterno tormento umano.
“Ѐ inutile” recita:
“Ѐ inutile che cammini/ per queste strade/ aride dal vento/ se il mio esistere/ spazia cieli.// Ѐ inutile/ che il mio sguardo/ fissi l’orizzonte/ se il mio cuore/ è assente/ perduto con l’anima/ che segue.// Ѐ inutile che io gridi/ perché nessuno mi sente.// Ѐ inutile il mio pianto/ nessuno lo ode,/ solo io m’ascolto a stento/ mentre cammino/ per queste strade/ aride dal vento.
Qui certo tono di pessimismo, quello di tutti gli umani, universale, nelle tre iterazioni “Ѐ inutile” nell’incipit delle quattro strofette. La lirica è del 1954. Il poeta, che conta 25 anni di età, si allontana dal suo luogo nativo, dove aveva sbaragliato l’analfabetismo con la cultura impartita da Pasolini. Con altri studi conseguiti si avvia a percorrere vie nuove, quelle del lavoro con completezze e pure con ineludibili delusioni. Tutto, in questi versi, meno felici degli altri delle due liriche, “Notte” e “Lamento”, gli pare inutile, persino lo spettacolo dell’orizzonte.
Spagnol è oggi considerato uno dei puri poeti del Friuli.
Nota una delle sue opere dal titolo La cresima, che rievoca, con la poesia e la prosa, usi e costumi della comunità di Casarsa e di altre limitrofe. Non poche, nel passato, le sue conferenze di testimonianze su quel periodo friulano, segnato dalla presenza di Pasolini.



Martedì 17 Dicembre,2013 Ore: 16:27
 
 
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