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www.ildialogo.org PER ANTONIO VENEZIANO  ,di Sebastiano Saglimbeni

PER ANTONIO VENEZIANO  

di Sebastiano Saglimbeni

“Il nome di Antonio Veneziano è avvolto, indubbiamente, in una fitta serie di leggende, uomo bizzarro che fu, contemporaneamente, gesuita e guerriero, giureconsulto e poeta, latinista e scrittore vernacolo, egli gode in mezzo al proprio la fama di mago”. Lo scriveva, con questo inizio, il grande folclorista ed etnologo siciliano Giuseppe Cocchiara sul “Giornale di Sicilia” il 15 gennaio 1943. In quella stagione, il nostro Paese, come altri europei, era lo spettro di una nera miseria generata da una infame guerra voluta da despoti governanti insani e criminali. Sterminati cumuli di macerie ovunque, che nello stesso anno 1943 a Padova aveva denunciato agli studenti il latinista e rettore, per poco, dell’Università, Concetto Marchesi. Non ci stanchiamo di ricordarlo. Giuseppe Cocchiara, fra l’altro, certamente di interessante e di nuovo, pure rischioso, allora si occupava di un uomo singolarissimo. E mentre ne scriveva consultava il suo corregionale, lo scrittore ed antropologo Giuseppe Pitrè, che nel suo testo, riguardante la leggenda popolare, contemplata nel XIX volume dell’Archivio Storico Siciliano, fa “appunto del Veneziano un mago”. “Io non so se Antonio Veneziano”, scrive il Pitrè, “abbia dato lezione a Padova prima del 1562 contando appena egli diciannove anni. Non so se abbia occupato l’ ufficio di Segretario del Comune di Palermo (o non piuttosto sia stato adibito quale uno dei soliti scrivani o in qualche occasione)”. Proseguendo, con dei dubbi, il Pitrè scrive che non sa “neppure se sia stato amico del Tasso e se abbia carteggiato con lui, né tampoco se quando egli fu preso dai barbareschi e condotto schiavo ad Algeri, sia stato riscattato con ingenti spese dal Senato di allora”.

Antonio Veneziano - prendendo ancora come guida il testo del Cocchiara - in realtà fu ad Algeri come schiavo e che riscattato tornò a Palermo. Qui venne, secondo una cronaca del tempo, festeggiato. Ad Algeri gli fu compagno di ventura e di sventura un uomo, “non meno di lui bizzarro, poeta anch’egli e soldato” che sarà uno dei più grandi autori della Spagna, Miguel De Cervantes. Il Veneziano tentò più volte la fuga, ma venne riscattato dai frati trinitari “in particolar modo da Antonio de La Bella (che svolse le trattative)”. Veneziano era finito in quella prigione, che divise con il futuro autore del Don Chisciotte, in seguito ad una disperazione, cagionata da un amore non corrisposto, e alla decisione di scomparire dalla sua terra e di partire al seguito del Presidente del Regno di Sicilia, Don Carlo di Aragona diretto alla corte di Spagna. Accadde che alcune galere algerine scopersero in alto mare altre galere siciliane che vennero catturate. Don Carlo di Aragona riuscì a salvarsi, ma la gente del suo seguito fu fatta prigioniera e venne condotta ad Algeri. Fra questa gente, v’era Miguel De Cervantes, pure al seguito di Don Carlo di Aragona.

De Cervantes nella prigione simpatizzò subito con Veneziano che pure parlava e scriveva bene la lingua spagnola. Pure piacque a De Cervantes quanto Veneziano aveva scritto nel suo lavoro Celia, una scrittura intrisa di patimenti struggenti d’amore. Nell’ozio della reclusione, i due prigionieri scrivevano poesie. A quel periodo risalgono i due sonetti che De Cervantes dedicò a Bartolomeo Ruffino, “anteposti al di lui lavoro Sopra la desolazione della goletta e forte di Tunisi e la “epistola poetica a Matteo Velazquez”. Pure di quel periodo sono le dodici ottave composte “in omaggio alla Celia; ottave queste che nel 1861, l’Alceri pubblicò nelle Opere del Veneziano ma di cui soltanto un certo ispanista, Eugenio Mele, (nel suo saggio De Cervantes y Veneziano edito nella ‘Rivista de Archivio Bibliotecas y Museos’ del 1924) ci ha dato il testo esatto”. Secondo il Cocchiara, che si rifà al Mele, “risalgono a qualche mese prima di quando lo stesso De Cervantes tentò l’ultima fuga, infruttuosa come le precedenti”. Accompagnava quelle ottave una missiva nella quale De Cervantes scriveva parole di lodi al Veneziano e si dichiarava un “amigo” e “servidor”. Sin qui dalla fonte di Giuseppe Cocchiara.

Vennero, in seguito, divulgati altri scritti su Veneziano, scritti che dicono (non sempre condotti alla luce di consultazioni di fonti attendibili) della sua grande fama in Italia e all’estero, della sua vasta opera, prevalentemente in lingua siciliana, di cui Celia resta la più nota e ricca, di circa 300 componimenti. In essa vennero identificate alcune figure muliebri: una nipote, la vice regina di Sicilia, Isabella La Turri e Franceschella Porretta. Dopo quel rientro in Sicilia nel 1579, festeggiato, come sopraccennato, Veneziano subì - come De Cervantes, una volta libero - altre amare vicende. Venne imprigionato nel 1588 per aver divulgato un libretto osteggiante il governo. Morì nel 1593, in seguito ad uno scoppio di una polveriera, nel carcere di Castello a Mare (Palermo), all’età di 50 anni. Era nato a Monreale nel 1543.

Si accennava ad altri scritti sull’uomo. Aurelio Rigoli, studioso di tradizioni polari e di altro sulla sua Sicilia, nel 1967 dedicò un testo al Veneziano dal titolo Ottave. Scrissero altri sull’uomo, come Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo e Aldo Gerbino. Quest’ultimo in Sicilia poesia dei mille anni (Caltanissetta, 2001) dedicò sette pagine al Veneziano con la riproduzione di alcuni testi poetici in dialetto siciliano e rispettive traduzioni. Un gran lavoro, nel quale viene ricordata l’opera Antonio Veneziano, a firma di U. A. Amico, edita a Firenze da Barbèra nel 1894.

Matteo Steri, bibliofilo, fondatore dell’ “Archivio Concetto Marchesi” a Cardano al Campo, vuole sapere che cosa in vero dicono quelle 12 ottave che De Cervantes dedicò a Veneziano. Mentre vive un’ attesa ansiosa spera che qualche ispanista volga nella nostra lingua quelle ottave dello spagnolo per ricavare un opuscolo ed editarlo. Quelle ottave vogliono dire certamente qualcosa di rilevante in quanto lo stesso De Cervantes ne aveva inserito una settantina di versi nella commedia El trato de Argel.

Ci chiediamo, infine, se giova riscoprire questo uomo dalle scritture pregevoli, non coincidenti - ma non è una colpa - con la sua vita tempestosa. Rispondiamo che giova, in quanto si può bene intendere quanto Veneziano e il suo compagno “di ventura e sventura” De Cervantes avessero interpretato una epoca di grave crisi che aveva investito il mondo europeo. Allora maledettamente come adesso.




Martedì 12 Febbraio,2013 Ore: 09:21
 
 
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