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www.ildialogo.org “LA FIDUCIA IN DIO” DI GIUSEPPE GIUSTI*,di Sebastiano Saglimbeni

“LA FIDUCIA IN DIO” DI GIUSEPPE GIUSTI*

di Sebastiano Saglimbeni

Voglio scrivere, non dimentico degli studi e delle lezioni di docente di materie letterarie, del sonetto “La fiducia in Dio” di Giuseppe Giusti, nato a Monsummano Terme 1809 e morto di tisi a Firenze nel 1850 in casa dell’amico Gino Capponi.
La sua opera poetica sino alla seconda metà del secolo scorso era molto nota pure ai semplici lettori. I docenti nelle scuole la parteciparono ai discenti. Che appresero, oltre al breve componimento, un sonetto, “La fiducia in Dio”, “Affetti di una madre” e “Sant’Ambrogio”, il corposo testo dal tono meditativo, che commuove per quella cristiana manzoniana fraternità.
Per “La fiducia in Dio”, il Giusti si era ispirato all’omonima statua in marmo bianco del 1835 dello scultore toscano Lorenzo Bartolini (1777-1850), allievo ed amico di Antonio Canova, statua che configura una donna in pieno abbandono alla fede cristiana. Oggi si può ammirare nel Museo Poldi Pezzoli di Milano. Una delle più belle opere plastiche di Bartolini.
Il Giusti, forse prevedendo la fine della sua giovane vita, travagliata dalla tisi, aveva ammirato la statua ed aveva composto nel 1837 il sopraddetto sonetto. Di seguito, per i nostri lettori, vale trascriverlo.
Quasi obliando la corporea salma,
Rapita in Quei che volontier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Un dolor stanco, una celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
E par che dica: se ogni dolce cosa
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
Signor, fidando, al tuo paterno seno
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno.
Un’altra statua qui, non di marmo bianco, ma di 14 versi che sono endecasillabi musicali esprimenti meditazione di straordinaria intensità, dove il tema metafisico si intreccia con quello della fede. Il filologo e narratore Pietro Fanfani, strenuo difensore della purezza della lingua, commentò questi versi una “schietta ed elegante semplicità, le più gentili e soavi immagini poetiche”. Non un ossequio di un tosco ad un tosco, mi pare di osservare, ma un puro giudizio sul poeta noto ai lettori come satirico ma in effetti un acutissimo osservatore delle azioni umani del suo tempo. Ritornando agli endecasillabi, il lettore si soffermi soprattutto e mediti, mediti sulle due terzine che emettono un sentimento di alta religiosità cristiana.
*A Nadia Ferroni, che, fra l’altro, cura la scrittura poetica e l’arte.



Martedì 15 Gennaio,2019 Ore: 09:24
 
 
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