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www.ildialogo.org APPRODO AL NORD,di Sebastiano Saglimbeni

APPRODO AL NORD

di Sebastiano Saglimbeni

Più nessuno mi porterà nel Sud
(S. Quasimodo)
Non era nei nostri sogni di ragazzi, che crescevamo sani, spesso fuori di casa, nelle strade, o c’era caldo afoso o c’era freddo e neve, lasciare la nostra piccola ed arroccata comunità Limina, in Trinacria, e approdare negli alti Paesi, come la Norvegia, la Svezia, la Finlandia, o in altri più in basso. Avevamo visto disegnate le loro strane forme sul testo l’atlante quando, con lo studio della geografia, apprendevamo i loro confini con altri Stati, le loro città con la capitale e le loro risorse economiche. Volevamo, invece, approdare al Nord del nostro Paese, a Firenze, Genova, Torino, Milano, Verona, nonostante le nostre famose città Palermo, Catania, Messina, Agrigento e Siracusa. Una volta cresciuti, con la conquista di un pezzo di carta in tasca, diploma o laurea, con soldi in prestito, alcuni, approdammo a queste città della penisola, intensificando, assieme ai molti artigiani e disoccupati, quell’ antica fuga dall’Etna.
Io volli approdare, dopo una breve stagione a Treviso e a Pordenone, a Verona, da dove, insegnante, per cinque anni, mi ero traferito a Milano. Sono ritornato, conosciuta un po’ questa metropoli industriale e della cultura, nella città scaligera, ancora insegnante per più anni ed autore di scritture. Mentre scrivo trascorro un’età avanzata, minata da una neoplasia che, aggredita da tempo con terapie di veleno, mi fa sopravvivere pure motivato da letture e da scritture che hanno costituito, lungo l’arco della mia esistenza, una certa conoscenza, un ideale.
Negli anni del mio approdo a Verona leggevo e invogliavo a leggere i miei alunni a scuola due quotidiani e un settimanale e qualche romanzo di autori del nostro tempo. Ricordo che nel quotidiano l’“Arena” venivano pubblicate ogni settimana sulla pagina culturale recensioni, che erano piccoli saggi ad opere letterarie e che ne favorivano il loro acquisto nelle librerie. Le scriveva e pure le faceva scrivere ai collaboratori il mantovano Elia Paganella, che si firmava Jean Pierre Jouvet. Anche il “Gazzettino” di Venezia, di poche pagine, e “Verona Fedele” curavano la cultura letteraria. Oggi, tranne il “Gazzettino”, di cui non esiste da anni la redazione, si leggono, oltre ai quotidiani nazionali, l’ “Arena” con consistenti pagine nazionali, di economia, cronaca, sport, cultura e spettacoli; si leggono il settimanale “Verona Fedele” e il “Corriere della Sera” con le pagine che riguardano la città.
Voltiamo pagina. Oggi In Piazza Bra e in Piazza delle Erbe, dove spesso riesco un po’ ad attardarmi non rivedo quei conoscenti che erano con me nel tempo delle mostre d’arte, delle serate culturali, delle recite poetiche delle feste dell’ Unità, delle cene in alcune trattorie e delle visite alla libreria “Catullo” che gestiva Marisa Benini e Bruno Ghelfi. Tanti se ne sono andati per sempre. La grande natura li ha sostituiti con un nuovo fronte umano che è cresciuto, cadendo, alzandosi, salvandosi e può, fra l’altro, prediligere tanto il mal di caffè e quell’invenzione che consulta e vi trova tempestivamente ciò che noi un tempo dovevamo trovare con fatica consultando libri. Pure questo fronte umano studia, combatte dignitosamente in nome del lavoro. Quell’invenzione… Non la dileggio, perché fruisco quanto è nuovo, nuovissimo ed utile. Se oggi in casa, prossimo agli 87 anni, non avessi il computer, non sorriderei, non scriverei più nulla, non mi vedrei, da autore, a cui ho fermamente creduto, nelle immagini che mi ritraggono e non vedrei i miei libri che sostano presso rivenditori in attesa che qualcuno, “usati, in buone condizioni, nuovi con la firma”, li acquisti.
Verona è ricca di storia affascinante, come non poche nostre grandi e piccole comunità italiane. Tanti giovani del Meridione vi vorrebbero vivere nonostante la disoccupazione e non solo per quella storia d’amore, più popolare del modo, di Giulietta e Romeo o per il Teatro romano e l’ Anfiteatro l’Arena. Mi esprimo con dell’altro. A Verona, dipendente dal Ministero della pubblica istruzione, ho potuto crescere, curare una piccola attività editoriale e scrivere. Ho potuto seminare e quanto è nato è stato osservato e vagliato. E in memoria il proverbio: “Non fare niente che niente si sa”. Avevo descritto in questa città un’avventura trista ed angosciosa in un libro che avevo intitolato La ferita nel Nord editato nel 1973 da Guanda quando aveva sede a Parma. Un raccontaccio. Non sfuggì al giornale “L’Arena” che ne aveva scritto, come pure per altri miei libri e per quelli delle Edizioni del Paniere, editrice fondata per pubblicare alcuni discorsi e molte lettere spedite ai parenti dal primo parlamentare comunista siciliano Francesco Lo Sardo in carcere. La storia di quest’uomo, eletto nel 1924 e fatto arrestare nel 1926 dal regime fascista, piacque molto a Jean Pierre Jouvet che scrisse una piena pagina sul quotidiano veronese, piacque ad altri redattori di quotidiani nazionali. Lo Sardo, per la memoria, morì in carcere dopo cinque anni di detenzione, per mancanza, studiata, di cure. Il suo compagno di partito e di sventura Antonio Gramsci nel reclusorio di Turi di Bari l’aveva consigliato, avendolo visto ridotto miseramente, di presentare la domanda di grazia perché aveva dato tanto al partito. E Lo Sardo in risposta: “Preferisco morire in carcere”. Così pure in risposta alla moglie Teresina Fazio che aveva pronta la domanda di grazia ma che doveva firmarla il marito. Uno storico, giornalista de “Il Giorno “ a Milano, Guido Gerosa, scrisse una lunga pagina facendo sapere ai lettori che il sottoscritto a Verona aveva lavorato per anni “a scavare materiali su quella luminosa figura”. E che aveva ritrovato “i discorsi di Lo Sardo alla Camera, i suoi memoriali, le lettere inviate dalle varie carceri del regime” ed altro. Il Nord, il Nord, quello della conoscenza, sa intendere e valutare chi è venuto dal Sud italico, dove resta aperta l’annosa questione meridionale, nonostante il grande, il più autentico contributo della letteratura. E concludo questo scritto con una citazione, che qualche altra volta ho adoperato perché efficace. Autore Concetto Marchesi, che ho riscoperto qui a Verona ed ho pubblicato alcune sue opere. La recitazione recita: “Questo importa nella vita: avere una fede e improntarla del proprio spirito e cercare quel che possa giovare al confronto della comune esistenza, e non essere passati invano su questa terra”. Si esprimeva così il grande umanista in un suo testo dal titolo: “Resistenza come Risorgimento”, che fa parte di una sua opera che ho curato con il titolo “Liberate l’Italia dall’ignominia” e con una testimonianza del filosofo Norberto Bobbio.



Sabato 17 Novembre,2018 Ore: 20:04
 
 
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