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www.ildialogo.org LA CULTURA SERVE A NON RAGIONARE CON LA PANCIA,di Maria Teresa D’Antea

LA CULTURA SERVE A NON RAGIONARE CON LA PANCIA

di Maria Teresa D’Antea

Quando un popolo comincia a scivolare nel degrado politico, economico, civile e morale, qualcuno esce fuori per dire che la cultura non serve a niente, non ci si mangia e non dà lavoro. Da tempo noi stiamo scivolando verso l’incultura, per questo a tanti bambini non si fanno proseguire gli studi, moltissimi rinunciano all’università e ben pochi di quelli che vi si iscrivono conseguono la laurea, le librerie non hanno clienti. Non solo: i primi tagli nelle leggi finanziare vengono fatti proprio alle spese per la cultura. Nei momenti di maggiore crisi si diventa così ciechi da buttare via proprio ciò di cui si ha più bisogno. Un popolo senza cultura diventa facilmente preda dei masanielli che gli si propongono, essendo un popolo che comincia a ragionare pericolosamente con la pancia (spesso associata al bastone), come la storia ci ha sempre insegnato (invano!), specialmente con la follia nazifascista del ‘900. Tutto questo preambolo per dire che mi sono sentita al fianco di don Carlo Prezzolini, uno studioso di arte sacra, messosi in discussione per una amica che lo invitava a occuparsi di “cose serie invece di perdere tempo con la cultura”, come leggiamo nel numero 37 di Toscana Oggi-Confronto. Ma di fronte a un invito così sconsiderato mi son messa anche nei panni dell’amica di don Carlo, per capire da dove potesse venire tanta apodittica sicurezza. E mi sono allora venute in mente Marta e Maria, le due sorelle del vangelo, che, pur amandosi, entrano in conflitto tra loro davanti a Gesù. Marta rappresenta tutti coloro che si fanno il gran mazzo della fatica per pulire, cucinare, apparecchiare e servire, mentre l’altra è talmente innamorata del Maestro da dimenticare tutto e stare in ascolto e contemplazione di Lui. Entrambe amano Gesù, ma in modo diverso. La differenza è nel fatto che Marta è arrabbiata, Maria no. Ora, la rabbia di Marta è molto giustificata perché è la rabbia storica delle donne relegate, in quanto genere femminile, al ruolo molto pesante del servizio e della cura quotidiana delle persone. Giustamente Marta rimprovera la sorella che apparentemente non fa niente ed elude i suoi doveri. Ma se “Lavorare stanca”, secondo il titolo di un noto romanzo, anche pensare affatica, come ogni altra attività intellettuale. E forse è proprio questa fatica a spaventare i detrattori della cultura. La risposta di Gesù non è patriarcale, non invita Maria ad aiutare la sorella, ma dicendo “Maria ha scelto la parte migliore” invita Marta ad uscire dal condizionamento patriarcale, a ritagliarsi, nel grande affanno del lavoro casalingo, uno spazio per la Parola, cioè per la cultura, senza la quale Marta vive arrabbiata e infelice. Penso che l’amica di don Carlo abbia ancora questo condizionamento, senta ancora il peso di un ruolo che non le lascia assaporare il gusto buono della cultura, specie di quella evangelica. A meno che non creda che senza cultura siamo cristiani più autentici. Allora qui dobbiamo aprire una parentesi per chiarire cosa sia cultura. Per cultura non si intende solo un sapere libresco e scolastico, ma qualcosa di molto più profondo che è dato non dai libri letti, ma da quanto si è saputo riflettere e pensare sul proprio vissuto e sul vissuto collettivo, rappresentato da storia, letteratura, filosofia, musica, arti figurative, scienza e tecnica. Oggi, data l’estensione quantitativa del sapere, non si può imparare tutto, ma è necessario ritagliarsi un settore di conoscenza nel quale diventare competenti, per crescere soprattutto sul piano umano, in buona relazione con se stessi e con gli altri. Gesù non era un analfabeta, ma un uomo che conosceva profondamente la cultura del suo tempo e del suo popolo, rappresentata dalla Sacra Scrittura. Su di essa si è formato e conformemente ad essa ha vissuto, operando e pregando, fino all’ultimo istante, quando muore recitando un salmo. Gesù era un uomo colto nel senso più pregnante del termine, giunto ai livelli più alti della sapienza grazie alla cultura, alla riflessione su di essa e all’adesione totale al mistero unico e irripetibile del suo essere venuto al mondo. Per questo sapeva rispondere e mettere in difficoltà i dottori della legge che avevano invece un sapere libresco, un imparaticcio mnemonico, molto estraneo al loro cuore. Uno zelante rabbino non avrebbe mai saputo pronunciare il discorso delle beatitudini. C’è poi una cultura che non è fatta di libri, né di scolarità, ma di esperienza vissuta, meditata ed elaborata, che porta a conoscere le profondità più oscure e non scandagliate di noi stessi e degli altri: questa è la cultura dell’università della vita, alla quale si sono laureati a pieni voti i i giusti, i poveri, i malati, i perseguitati e tutti coloro che vengono guardati come scarti subumani, ossia tutto il popolo amato da Gesù, ieri come oggi. Guai però a non sentire dentro di sé l’amore per la conoscenza, cioè per la cultura, a non avere un minimo di sana e santa curiosità per il nuovo e vecchio testamento, per la storia della Chiesa, per la vita dei giusti e dei santi: per Gesù equivale ad essere morti viventi e a non essere adatti a seguire Lui: “Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”. Non basta essere osservanti, occorre avere l’inquietudine della conoscenza, il desiderio di bussare per avere risposte ai nostri perché, avere il sogno di entrare nel suo regno già da quando si è vivi. Come donna niente mi rattrista di più che il rimprovero rivolto da Gesù alle donne di Gerusalemme, le donne del tempio (oggi diremmo di chiesa) che avevano il compito di piangere sui condannati a morte. Non hanno capito il tempo in cui sono state visitate, non lo hanno seguito da vivo e ora che si avvia alla crocifissione fanno il pianto rituale su di lui. Gesù le solidifica come statue nella loro stoltezza: “Non piangete su di me, ma su voi stesse e i vostri figli”. Donne inette perfino, secondo Gesù, alla trasmissione dei valori femminili nella dimensione creativa della maternità, perché dedite alla ripetizione meccanica tipica dell’incultura. Donne, queste di Gerusalemme, che comprendo e anche compiango, ma non avrei mai voluto essere una di loro.
Maria Teresa D’Antea



Sabato 03 Novembre,2018 Ore: 21:40
 
 
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