- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (740) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org CONOSCENZA ED ELEGANZA DOPO L’INDIGENZA,di Sebastiano Saglimbeni

CONOSCENZA ED ELEGANZA DOPO L’INDIGENZA

di Sebastiano Saglimbeni

Durante l’ultimo conflitto mondiale, che vollero quei potenti uomini insani di ritorno, si pativa molto senza scarpe, vestiti appena con stracci. L’indigenza si tagliava con la scure, colpiva soprattutto la classe sociale poco, o per nulla, abbiente. Pertanto, un assioma quella proposizione: “La vita dell’uomo è solitaria, povera, sudicia, bestiale e breve”, che, in seguito, potemmo apprendere, con gli studi, dalla scrittura del Leviatano di Thomas Hobbes. Dopo quella indigenza, durata alcuni anni dopo la guerra, la conoscenza e l’eleganza, ornamenti del corpo e dell’anima, incominciarono a proliferare e a ornare pure i figli delle famiglie miserabili, che intesero come un loro riscatto l’uscita da certo servaggio dei padri e l’elevazione, con il lavoro e il guadagno, tanto sperato. Un sorta di riscatto per la disagiatissima classe sociale si manifestava nella saggezza orale della civiltà contadina, saggezza che pure in versi si andava cantando, come risposta, nelle vie, ad esempio, della comunità di Limina vecchia, con strade sgangherate e case e casupole nere dal fumo della legna che ardeva per ripararsi dal freddo o per cucinare l’erba mangereccia delle campagne o i legumi, quando c’erano. Sì, la saggezza orale della civiltà contadina, esprimente, si ricordava prima, risposta, ma pure sberleffo, difesa, nei confronti di certi tronfi proprietari di terre. Indimenticabile - vale ricordarla- quell’ottava di un autore anonimo liminese che recita: “ Cè cu’iàvi li scappi e li cappeddi,/ cu’ vistiti e cammisi raccamati.// Ogghiù ‘n-birrittu cu li ciancianeddi,/ chiddi ca iànnu li ricchi sfunnati.// Mi la facissi ‘nta Chiànu e vaneddi,/ sempri ridennu e facennu cantati.// No’ cc’è furtuna pi li paureddi:/ su pèggiu di li spichi scappisati”. L’ottava, nella nostra lingua, non tanto differente dall’originale, nel dialetto della comunità di Limina, recita: “ C’è chi possiede scarpe e cappelli’,/ chi vestiti e camicie ricamati.// Voglio un berretto con i sonaglini,/ quelli che hanno i ricchi sfondati.// Mi esibirei in piazza e nei vicoli,/ sempre ridendo e sempre cantando.//Non v’è fortuna per i poveretti: sono come le spighe calpestate”. Da questa conoscenza orale, così ricca linguisticamente e poeticamente, con similitudini eccezionali come “spighe calpestate”, la volta del libro e delle letture di poesie e prose dei poeti e scrittori, nostri e stranieri. Conoscenza l’apprendimento di qualche lingua neolatina, come la francese e la spagnola, e le discipline letterarie e scientifiche e i traguardi raggiunti con quei tanto bramati pezzi di carta, diplomi e lauree. Poi l’assillo, ma per poco, per il lavoro stabile che ci rese eleganti, dignitosi. Eleganti con scarpe, senza sonaglini, con vestiti, cravatte e papillon. La conoscenza ed eleganza, in somma, per esistere e per essere. Va ricordato che chi ha vissuto veramente quella stagione della civiltà contadina l’ha potuto, scrivendo, valorizzare come identità, ricchezza ma senza inneggiare al dialetto come lingua ufficiale come avrebbero voluto alcuni inetti cialtroni politici. La civiltà contadina conserva un grande fascino e l’avevano studiata uomini di grande valore come Antonio Gramsci, di cui, a proposito, fra l’altro, aveva scritto: “Raccogliete il vostro folclore, studiatolo, elaboratelo”.
Ritornando all’eleganza, grazie al lavoro e a certa indipendenza, non piacque a molti apparire, vestiti, ad esempio, come i figli dei benestanti con le braghe lacerate sul sedere e con camicie e giacche di pessimo gusto. Probabilmente, un’ onta al proletariato che aveva prediletto l’eleganza? Li vedemmo questi figli della gente perbene, vuoti, spaventapasseri, negli anni caldi nelle nostre scuole, dove, sempre i figli dei deboli, in cattedra, si distinsero, da docenti, per conoscenza ed eleganza.
.



Domenica 30 Settembre,2018 Ore: 19:52
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Cultura

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info