- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (264) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Il dialogo interreligioso e, in particolare, cristiano-islamico nell’enciclica “Fratelli tutti”.,di Pierpaolo Loi

Il dialogo interreligioso e, in particolare, cristiano-islamico nell’enciclica “Fratelli tutti”.

di Pierpaolo Loi

Nella Regola non bollata san Francesco d’Assisi fa una raccomandazione di straordinaria importanza ai frati che vivono in mezzo ai musulmani: «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio»; solo in un secondo momento, «… quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani». La priorità per San Francesco è la testimonianza e il servizio umile dei fratelli per amore di Dio.
Papa Francesco ha voluto aprire la sua Enciclica ricordando l’amore di san Francesco per tutte le creature, da cui nasce la fraternità universale; e, in secondo luogo, l’incontro di Francesco con il sultano Malik-al-Kamil, in Egitto, durante la V crociata nel 1219, esempio di «umile e “fraterna” sottomissione», da cui nasce la fraternità umana e l’amicizia sociale, al di là di ogni credo professato.
Confessa il Papa di essersi sentito stimolato per la sua terza enciclica dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb e dall’incontro di Abu Dabi, incontro conclusosi con la firma del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” nel quale si afferma che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro» (4 febbraio 2019). Non un mero atto diplomatico, dunque, – che in realtà ha creato divisione sia all’interno del mondo musulmano sia all’interno del mondo cattolico - ma «di una riflessione compiuta nel dialogo e di un impegno congiunto» (Cfr. Fratelli tutti, 3).
L’Enciclica si propone di approfondire i grandi temi esposti in quel documento e di rispondere alle sollecitazioni giunte al Papa da tante persone e gruppi di tutto il mondo; e sottolinea la modalità che egli ha utilizzato nel redigerla: «Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà». È evidente l’apertura al dialogo ecumenico cristiano e interreligioso, che ha caratterizzato fino ad ora questo pontificato.
Nel capitolo quarto, dal titolo “Un cuore aperto al mondo intero”, dedicato alla salvaguardia della pluralità delle culture umane e della relazione tra di esse a partire dal fenomeno migratorio, papa Francesco rinomina l’incontro con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb insieme al quale si è fissato lo sguardo sul mondo in maniera aperta, concentrandosi in particolare su Oriente e Occidente: «il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente, evitando l’uso della politica della doppia misura».[Fratelli tutti, 136].
Papa Francesco ripropone per la terza volta il documento di Abu Dabi nel capitolo V dedicato a “La migliore politica”, documento nel quale insieme al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, viene chiesto «agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente». (Fratelli tutti, 192) La “migliore politica” deve essere posta a servizio del bene comune per poter costruire una comunità umana unita nella fraternità e nell’amicizia sociale, nel superamento di nazionalismi e populismi asserviti ai potentati economici mondiali.
Tutto il Capitolo ottavo dell’Enciclica è incentrato sul servizio che le diverse religioni devono offrire alla fraternità universale e alla difesa della giustizia nella società. “Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore»” (Fratelli tutti, 272). Citando il “Discorso ai partecipanti all’Incontro internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio” (30 settembre 2013) il papa afferma: «Talvolta la violenza fondamentalista viene scatenata in alcuni gruppi di qualsiasi religione dall’imprudenza dei loro leader. Tuttavia, “il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. […] Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri dialoganti, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!”» (Fratelli tutti, 284).
L’Enciclica si conclude, infine, con la ripresa dell’ “appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità” fatto insieme al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb nell’incontro fraterno di Abu Dabi; appello preceduto da una dichiarazione sulla necessità di liberare le religioni dalla violenza che spesso hanno veicolato nella storia: «dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini […]. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente» (Fratelli tutti, 285).
Nel riferimento finale a persone che, oltre a san Francesco d’Assisi, lo hanno motivato a scrivere questa enciclica, emerge la figura di Charles de Foucauld, il quale nel deserto africano ha vissuto in mezzo ai musulmani, identificandosi con gli ultimi e ponendosi al loro servizio, divenendo così “fratello universale”. Insieme a Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, personalmente, mi sarei aspettato di trovare il nome di Monsignor Oscar Arnulfo Romero e quello di almeno una donna che ha realizzato nella sua vita la “sororità” universale. Le due preghiere finali, la “Preghiera al creatore” e la preghiera cristiana ecumenica” pongono il sigillo a questa enciclica. Nella prima, soprattutto, si respira un afflato macroecumenico nel “sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace” per tutti i popoli della terra.
Il 27 ottobre si celebra la XIX Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico nata per contrastare l’ondata di xenofobia e, in particolare, di islamofobia scatenatasi all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle e alla conseguente proclamazione della guerra preventiva da parte del governo Usa, dentro il paradigma dello scontro di civiltà. L’appello di quest’anno ha per tema: “Costruiamo una sola umanità! Il dialogo cristiano-islamico nel tempo del covid, delle guerre, delle armi, dell’ingiustizia sociale: un impegno decisivo per curare le ferite di una società malata”. L’appello, a cura del Comitato promotore nazionale e diffuso da www.ildialogo.org , precede di qualche mese (24 luglio 2020) l’enciclica papale e ne anticipa alcuni temi: “La pandemia del Covid -19 è stato un segnale forte per tutta l’umanità. Ci ha detto con chiarezza che non siamo onnipotenti e che abbiamo bisogno gli uni degli altri per costruire una vita degna di essere vissuta. Occorre superare ogni discriminazione e affermare sempre che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”(art. 3 Costituzione). Occorre sviluppare percorsi sociali nei quali donne e uomini siano effettivamente uguali nei diritti e nei doveri e nei ruoli di responsabilità, riconoscendo le differenze che ci arricchiscono. Occorre mettere al primo posto il rispetto dell’ambiente subordinando l’economia alla qualità della vita delle creature. Occorre superare lo sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano, stimolando pensieri di pace e di rispetto per ogni cultura e religione qualunque sia la loro diffusione. Occorre porre in primo piano il diritto inviolabile della persona umana, rifiutando la tortura, la pena di morte, il carcere come luogo di mera punizione, non di riabilitazione. Occorre che le religioni intraprendano percorsi di liberazione e di fraternità per persone, comunità e popoli e smettano di essere “instrumentum regni”.
18/10/2020 Pierpaolo Loi



Lunedì 19 Ottobre,2020 Ore: 22:43
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Dialogo cristiano-islamico

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info