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www.ildialogo.org CHIESA COLLUSA CON LA ‘NDRANGHETA? LE POLEMICHE DOPO LE PAROLE DEL PM GRATTERI,da Adista Notizie n. 42 del 30/11/2013

CHIESA COLLUSA CON LA ‘NDRANGHETA? LE POLEMICHE DOPO LE PAROLE DEL PM GRATTERI

da Adista Notizie n. 42 del 30/11/2013

37401. REGGIO CALABRIA-ADISTA. Polemica a mezzo stampa fra magistrati e vescovi calabresi. Da una parte il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri (autore, con Antonio Nicasio, del fresco di stampa Acqua santissima. La Chiesa e la 'ndrangheta: storia di potere, silenzi e assoluzioni, Mondadori), che accusa la Chiesa di omissioni e talvolta collusioni con la ‘ndrangheta, puntando il dito anche contro alcuni vescovi tradizionalmente in prima fila nella lotta e nella denuncia delle organizzazioni mafiose, fra cui mons. Giancarlo Bregantini, già vescovo di Locri, ora a Campobasso. Dall’altro lato mons. Giuseppe Fiorini Morosini, successore di Bregantini a Locri e ora vescovo di Reggio Calabria, che risponde per le rime, accusando Gratteri di aver cercato l’applauso facile «gettando discredito sulla Chiesa». Il risultato complessivo è una polemica tanto violenta quanto inutile, che contribuisce solo a dividere ulteriormente un fronte antimafia, perlomeno in Calabria, già piuttosto diviso.
A dare fuoco alle polveri è Gratteri, con un’intervista al Fatto quotidiano (13/11), nella quale, dopo aver avanzato l’ipotesi che papa Francesco potrebbe essere nel mirino delle cosche per la sua opera di pulizia finanziaria all’interno del Vaticano, entra nel merito delle relazioni fra Chiesa e ‘ndrangheta. «Faccio il magistrato da 26 anni – dice – e non trovo covo dove manchi un’immagine della Madonna di Polsi o di San Michele Arcangelo. Non c’è rito di affiliazione che non richiami la religione. ‘Ndrangheta e Chiesa camminano per mano». E poi si lancia in alcuni esempi recenti: «Il vescovo di Reggio Calabria (mons. Morosini, che rimanda subito al mittente l’accusa: Gratteri «mi dica la fonte di questa sua gravissima accusa», ndr), anche dopo la condanna in Cassazione di un capobastone, ha detto che non poteva schierarsi perché magari si trattava di un errore giudiziario. Il vescovo di Locri (mons. Bregantini, ndr) ha sì scomunicato i mafiosi, ma solamente dopo che avevano danneggiato le piantine di frutti di bosco della comunità ecclesiastica di Platì. Solo che prima di quell’episodio, i boss avevano ammazzato migliaia di persone. Bisogna aspettare le piantine perché i prelati si sveglino?». E ancora: «Qualche anno fa la figlia di Condello il Supremo si è sposata nel duomo di Reggio Calabria. È arrivata pure la benedizione papale. A Roma potevano non conoscere il clan, ma in Calabria tutti sanno chi sono i Condello. Eppure nessuno ha fiatato. I preti, poi, vanno di continuo a casa dei boss a bere il caffè, regalando loro forza e legittimazione popolare. Alcuni dicono che frequentano i mafiosi perché devono redimere tutte le anime, senza discriminare. Capirei se la Chiesa accogliesse chi si pente davvero, ma così è troppo facile: continui a uccidere, a importare cocaina, a tenere soggiogata la gente e io, prete, ti do pure una mano».
Parole estremamente severe, in più di un caso fondate, come l’episodio del matrimonio di Caterina Condello e Daniele Ionetti, figli di due noti boss reggini (v. Adista n. 102/09) o come la vicinanza, di antica data, della ‘ndrangheta al santuario della Madonna di Polsi a San Luca in Aspromonte, spesso luogo di riunione dei capi-mafia (v. Adista Notizie n. 64/10); ma totalmente fuori bersaglio in altri, probabilmente frutto di una sintesi troppo superficiale e semplicistica, poco attenta alle distinzioni e all’impegno di tanti parroci e di tante realtà della Chiesa di base calabrese, impegnate sul fronte anti-‘ndrangheta. Come per esempio le accuse a mons. Bregantini, molto attivo contro la criminalità negli anni, dal 1994 al 2007, in cui è stato vescovo di Locri, dove ha anche dato vita ad un consorzio di cooperative sociali di lavoro, il Goel, finalizzate fra l’altro al recupero degli ‘ndranghetisti fuoriusciti. Tanto che l’episodio, richiamato da Gratteri, quello della scomunica ai mafiosi «solamente dopo che avevano danneggiato le piantine di frutti di bosco della comunità ecclesiastica di Platì» non è affatto isolato e si colloca all’interno di un percorso coerente di lotta alla ‘ndrangheta da parte del vescovo (e fra l’altro le piantine di frutti di bosco danneggiate non erano quelle «della comunità ecclesiastica di Platì», bensì quelle di due aziende agricole, “Frutti del sole” e “Agrisole” di Platì, che facevano parte del Consorzio Goel, v. Adista n. 53/02).
A Gratteri, con un lungo articolo pubblicato sul quotidiano L’Ora della Calabria (17/11), replica pochi giorni dopo mons. Morosini, respingendo ogni accusa – sia personale che generale, anche riportando parole di encomio pronunciate qualche hanno fa dal magistrato proprio nei suoi confronti – ma anch’egli senza distinguere, nella complessità ed eterogeneità che esiste nella Chiesa, i diversi atteggiamenti nei confronti delle mafie che vanno dalla denuncia senza tentennamenti ai silenzi più o meno colpevoli; e alzando un po’ troppo i toni, tanto più nei confronti di un magistrato molto esposto sul fronte del contrasto alla ‘ndrangheta. «Signor procuratore – scrive Morosini –, ho letto il suo ennesimo intervento a proposito dei rapporti Chiesa-mafia sui quali ama ritornare nei suoi interventi e pubblicazioni, offrendo all’opinione pubblica l'immagine di una Chiesa unica responsabile della ‘ndrangheta in Calabria». Ma «si ferma su indicazioni generiche: preti che vanno a prendere il caffè a casa dei mafiosi o che ricevono contributi per restauri di chiese. Lei, come un fiume in piena, travolge tutto al suo passaggio: il caso di un prete diventa la Chiesa. Eppure lei, come magistrato, ha un immenso potere investigativo e punitivo, inviando avvisi di garanzia, arrestando gli ecclesiastici che camminano tenendosi per mano con i mafiosi. No, preferisce gettare fango su tutti i sacerdoti, colpevoli solo di esercitare il loro ministero in Calabria». «Ma non si accorge di quale fango sta gettando sulla Chiesa? Tanto più sporco perché gettato da un uomo delle istituzioni qual è lei?», chiede Morosini, che poi conclude: «Signor procuratore, gettando discredito sulla Chiesa lei potrà strappare qualche applauso, ma non certo contribuire alla lotta comune contro quel male che lei chiama “la mala pianta”».
A riportare un po’ di equilibrio nella polemica è don Ennio Stamile, parroco di Cetraro (Cs), più volte oggetto di intimidazioni mafiose per il suo impegno anti-‘ndrangheta (v. Adista Notizie n. 5/12). «Non è corretto estendere alla Chiesa comportamenti che riguardano alcuni suoi membri, con l’elementare equazione consacrato=Chiesa», scrive il parroco sul Quotidiano della Calabria. «Se dovessimo applicare questo concetto anche alla magistratura», anche qui «dovremmo di conseguenza distinguere una magistratura “ammazza sentenze”, collusa e corrotta, da un’altra che invece compie il suo dovere fino in fondo, usque ad sanguinem». Piuttosto è vero «che membri dell’una e dell’altra a volte tradiscono con le loro devianze l’essere servitori dello Stato e figli e servi della Chiesa. Anche per tale motivo i padri della Chiesa hanno ribadito che essa è semper reformanda». (luca kocci)
Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it


Martedì 26 Novembre,2013 Ore: 21:20
 
 
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