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www.ildialogo.org IL CINQUANTENARIO DELLA PACEM IN TERRIS E LA NONVIOLENZA IN CAMMINO NELLA CHIESA CATTOLICA,di <i>Raffaello Saffioti</i>

CONTRIBUTO ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE SULLA “PACEM IN TERRIS”
IL CINQUANTENARIO DELLA PACEM IN TERRIS E LA NONVIOLENZA IN CAMMINO NELLA CHIESA CATTOLICA

ROMA, 6 aprile 2013


di Raffaello Saffioti

FOLLIA DELLA GUERRA

RAGIONE DELLA PACE

SAPERE CONCRETARE L’UTOPIA

ma ogni politica deve piegare le ginocchia davanti alla morale

e solo così sperare che essa pervenga, sia pure lentamente,

a un grado in cui potrà brillare di durevole splendore.

IMMANUEL KANT, Per la pace perpetua, 1795

Io non biasimo chi, considerando i mali dello stato, comincia a disperare

della salute dell’umanità e del suo progresso verso il meglio:

ma io mi affido al rimedio eroico che dà Hume

e che potrebbe produrre una cura rapida.

Quando io vedo oggi” egli dice “le nazioni in procinto di farsi la guerra tra loro,

è come se vedessi due brutti figuri ubriachi,

che si battono con bastoni in un magazzino di porcellane.

Non solo essi metteranno molto tempo a guarire

dalle ammaccature che si sono fatte reciprocamente,

ma dovranno anche pagare tutti i danni che hanno procurato”.

Sero sapiunt Phryges.

Senonché le conseguenze funeste della guerra attuale

possono strappare al profeta politico la confessione

di un imminente rivolgimento dell’umanità verso il meglio,

che fin d’ora può essere intravisto.

IMMANUEL KANT, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, 1798

Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera.

Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile ed inevitabile:

dobbiamo porre fine alla razza umana

oppure l’umanità dovrà rinunciare alla guerra?

Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani:

ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto.

Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso,

altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale.

ALBERT EINSTEIN, 1955

Sapere concretare l’utopia chiede, col denunciare,

un annunciare capace di lottare e costruire frontiere

che valorizzino ognuno:

l’educazione è rivoluzionaria se si matura valorizzatrice,

dunque maieutica.

DANILO DOLCI, 1996

  1. IL POPOLO DI DIO IN CAMMINO NELLA STORIA

SULLA VIA DELLA PACE E DELLA NONVIOLENZA

Memoria creativa della Pacem in terris

“L’enciclica della dignità umana”

L’Assemblea nazionale convocata per ricordare la Pacem in terris avrà luogo mentre si respira un’aria nuova nella Chiesa dopo l’elezione del nuovo Pontefice. Lo stile di Papa Francesco sta suscitando attese e speranze di rinnovamento della Chiesa.

Possiamo sperare che sia questo l’inizio di una nuova primavera per la Chiesa e per il mondo, mentre il nostro Paese sta vivendo una stagione di gravissima crisi a vari livelli?

Sono degni di nota, sia per numero che per qualità, i gruppi, le riviste e le associazioni che hanno sottoscritto la Lettera di convocazione della prossima Assemblea. La Lettera può essere interpretata come documento e segno della coscienza che è maturata nella “base” del Popolo di Dio, per il sensus fidei e per il sensus Ecclesiae, nei cinquant’anni trascorsi dall’inizio del Concilio e dalla pubblicazione della Pacem in terris.

Nel vivo della riflessione si colloca anche il Congresso nazionale di PAX CHRISTI che avrà luogo alla fine di questo mese col titolo “E’ l’ora della nonviolenza”, a venti anni dalla morte di don Tonino Bello. Pax Christi è la prima associazione che ha sottoscritto la Lettera di convocazione dell’Assemblea e si distingue per la sua attività all’interno della variegata e complessa realtà ecclesiale italiana. Il suo Congresso nazionale può essere considerato come sviluppo dell’Assemblea sulla Pacem in terris.

Oggi, dopo cinquant’anni, l’ Enciclica è da ricordare per la sua novità come documento tra i più importanti della storia della Chiesa cattolica e del mondo del XX secolo.

Ha segnato una svolta fondamentale nel magistero della chiesa sulla pace” (Giovanni Turbanti).

Fu letta come il testamento spirituale di Papa Giovanni e fu definita da Giorgio La Pira, considerato tra i principali ispiratori dell’Enciclica, come “il manifesto del mondo nuovo” (Giorgio La Pira, “Un’enciclica per il nostro tempo”, nella rivista “Mosaico di pace”, n. 3, marzo 2003, pp. 19-20).

La ricordiamo oggi perché la sua carica profetica la rende non solo attuale, ma protesa verso il futuro.

Machiavelli, cinque secoli fa, nel Principe scrisse: “Tutti i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno”. Ma quella sentenza che vuole esprimere il realismo della politica non vale nell’era atomica. Il vero realismo è ormai divenuto, proprio per l’esigenza emersa dal grembo della storia, quello dei profeti disarmati.

Ricordiamo che l’Enciclica, quando venne pubblicata, ebbe in tutto il mondo un’enorme risonanza, tanto da far dire allo stesso Papa nella sua penultima udienza generale del 15 maggio 1963, pochi giorni prima della sua morte: “Per la Pacem in terris anche le pietre, lo si potrebbe affermare, si sono scosse e sollevate”.

Siamo chiamati a proseguire sulla scia tracciata dall’Enciclica, cercando i nuovi segni dei tempi.

“A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso” dice l’Enciclica con i suoi “Richiami pastorali”. Quel compito, quindi, spetta anche a noi se ci consideriamo uomini di buona volontà.

“Perciò quell’enciclica non è solo un oggetto di memoria. Essa non è una stazione da cui siamo partiti, per andare più avanti, ma ancora oggi rappresenta una stazione verso la quale dobbiamo procedere, alla quale dobbiamo ancora arrivare. Essa non sta nel passato, sta nel futuro dell’umanità e della Chiesa. Essa è un futuro al quale noi dobbiamo tornare.

A leggerla oggi, essa svela una freschezza, un’attualità, una preveggenza che il tempo trascorso non ha in alcun modo usurato”.

(Raniero La Valle, Pacem in terris. L’ enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole, 1987, p. 30)

Per la memoria dell’Enciclica vale quello che lo stesso La Valle ha detto icasticamente per la memoria del Concilio:

“Ricordare gli eventi non significa portare indietro gli orologi, ma rielaborarne la memoria per scoprirvi anche significati rimasti nascosti e volgerli al futuro” (nella rivista “Rocca”, n. 19, 1 ottobre 2012).

  1. LA FILOSOFIA DELLA PACEM IN TERRIS

LA PACE, LA RAGIONE, LA STORIA

La storia come criterio ermeneutico.

La grande novità dell’Enciclica.

La prima rivoluzione dell’enciclica è nelle sue prime tre parole, nel suo titolo: Pacem in terris. Qui si parla della terra, della carne, della storia” (La Valle).

E l’Enciclica fu indirizzata anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, senza discriminazione o esclusione: credenti, non credenti o fedeli di altre confessioni e religioni.

Anche questa fu una significativa innovazione.

L’ Enciclica si pone dal punto di vista dell’uomo in ascolto della storia, decifrando “i segni dei tempi”, alla “luce della ragione”. Non si limita a enunciare principi in modo astratto, ma va oltre, seguendo i movimenti storici. Ha una visione ottimistica, animata da speranza per il futuro.

A fronte della rigidità delle dottrine, privilegia la dinamica dei movimenti generati dal travaglio della storia.

L’Enciclica traccia sì delle linee dottrinali, ma anch’esse “scaturiscono o sono suggerite da esigenze insite nella stessa natura umana”.

E’ come un “manifesto”.

E’ da notare la struttura in quattro parti:

“I – L’ordine tra gli esseri umani”

“II – Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche”

“III – Rapporti tra le comunità politiche”

“IV – Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale”

“V – Richiami pastorali”

La locuzione “segni dei tempi”, ripresa dal Vangelo (Matteo 16, 3), è il titolo dato al paragrafo che conclude ognuna delle quattro parti.

I “segni dei tempi” che caratterizzano l’epoca moderna sono diventati una categoria teologica che è entrata nel Concilio e sono la prova del realismo storico che caratterizza l’Enciclica.

UNA CHIAVE DI LETTURA.

L’Enciclica può essere variamente letta e interpretata.

Parole-chiave in essa ricorrenti sono: dignità, rapporti, diritti, convivenza, ragione, natura.

La parola “ragione” può dare una chiave di lettura.

Essa appartiene al dizionario di filosofia, ha una sua storia ed ha pure vari significati. Ma appartiene anche al linguaggio comune con un senso pure comune, valido per tutti gli uomini, di tutti i continenti, di tutte le culture.

Proprio questa parola rende legittima una lettura laica del documento, non integralistica, valida per tutti gli uomini di buona volontà.

Alcuni richiami al testo:

La legge umana in tanto è tale in quanto conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza (30).

.

… al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisce il principio che la vera pace si può costruire soltanto sulla vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità. E’ un obiettivo reclamato dalla ragione. E’ evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante (62).

… non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole e umano (63).

Le linee dottrinali tracciate nel presente documento scaturiscono o sono suggerite da esigenze insite nella stessa natura umana, e rientrano, per lo più, nella sfera del diritto naturale. Offrono quindi ai cattolici un vasto campo di incontri e di intese tanto con i cristiani separati da questa Sede apostolica quanto con esseri umani non illuminati dalla fede in Gesù Cristo, nei quali però è presente la luce della ragione ed è pure presente e operante l’onestà naturale (82).

Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione? (84).

BELLUM ALIENUM A RATIONE

E’ da evidenziare il punto seguente, il più alto e significativo, che è come il cuore dell’Enciclica e serve a qualificare l’intero documento:

nella nostra era, che si vanta della potenza atomica, è fuori della ragione che la guerra possa essere atta a risarcire i diritti violati (67).

Nel testo originale latino:

aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda.

E’ stato già notato che la traduzione ufficiale del documento non rende fedelmente il testo originale latino.

“La traduzione vaticana ufficiale pubblicata dall’Osservatore Romano dell’11 aprile 1963, con interventi e aggiustamenti apparentemente di poco conto , in realtà mirati e significativi, ha in generale teso ad attenuare i contenuti più scomodi del testo di Papa Giovanni. Con scelte lessicali, che fuori contesto sarebbero anche sostenibili, qualche piccolo taglio, o lo spostamento di termini nella struttura della frase, è stato sistematicamente sfumato e, in qualche caso, modificato il tono generale.

… Infine, c’è l’indebolimento del giudizio radicale sulle armi nucleari. Il grido di dolore che scaturisce dalla considerazione della potenza distruttiva della bomba atomica viene sfumato …

Nella traduzione scompare la condanna sarcastica dell’era atomica, ma soprattutto la forza di quell’ alienum est a ratione. Per il Papa è pura follia pensare alla guerra come mezzo per ripristinare i diritti violati (anche qui troppo disinvoltamente è stato tradotto come ‘strumento di giustizia’). E ancora in questo punto cruciale è evidente l’indebolimento della connotazione esortativa del testo originale. Il Papa non dice semplicemente che ‘E’ lecito tuttavia sperare’ in un incontro positivo tra gli uomini in base alla loro comune umanità, ma chiama a impegnarsi, ribadendo la forza attiva della speranza e della perseveranza nello sforzo di costruire e mantenere la pace (sperandum est, bisogna sperare)”.

(Cristina Mattiello, Traduttori traditori, nella rivista “Mosaico di pace”, n. 3, marzo 2003, pp. 21, 23)

Il disarmo, il bando delle armi nucleari e la liquidazione della dottrina della guerra giusta sono i punti più significativi dell’Enciclica, non superati dai documenti ecclesiastici successivi.

Il Concilio sul tema della pace non ha avuto la visione ottimistica di Papa Giovanni ed ha riportato solo in nota, nella costituzione pastorale Gaudium et spes, il punto centrale dell’Enciclica.

“La Pacem in terris fu lasciata cadere e nella Chiesa successiva rimase questa ambiguità, questa rinuncia al giudizio evangelico e storico sul possesso delle armi nucleari e sulla deterrenza mediante l’equilibrio del terrore” (Raniero La Valle).

  1. LA DIGNITA’ UMANA E I DIRITTI UMANI FONDAMENTALI:

DALLA PACEM IN TERRIS AL CONCILIO VATICANO II

Per proseguire nel cammino intrapreso dall’Assemblea del 15 settembre 2012, i semi del rinnovamento della Chiesa sparsi nei vari documenti del Concilio vanno cercati anche alla luce dei frutti maturati nel cinquantennio trascorso.

E la Pacem in terris si pone “ancora oggi come canone interpretativo privilegiato per la sua comprensione ed attuazione”.

Il titolo che il Comitato promotore dell’Assemblea del 6 aprile ha dato alla lettera di convocazione, “L’enciclica della dignità umana”, richiama alla mente la lettura dell’Enciclica fatta da La Valle nel testo già citato, nel quale aveva dato acutamente rilievo, appunto, alla parola “dignità”, ricorrente nell’Enciclica, ed aveva proposto la definizione “l’enciclica della dignità umana”, oltre quella di “enciclica della liberazione”.

“Non c’è un’altra parola che ricorra più frequentemente nell’enciclica che questa: la parola dignità. Si potrebbe quasi dire che questa non sia un’enciclica sulla pace, ma un’enciclica sulla dignità, e che intanto è un’enciclica sulla pace, in quanto è un’enciclica sulla dignità.

… La dignità è la chiave di tutto. Si parla di dignità della persona umana, di dignità del tenore di vita che deve essere assicurata a tutti, dignità dei lavoratori, dignità delle donne, dignità dei cittadini, dignità dell’autorità politica, dignità dei popoli; (…) è per dignità che gli esseri umani non possono essere obbligati interiormente da altri esseri umani (non a caso la dichiarazione del Concilio sulla libertà religiosa sarà intitolata Dignitatis humanae); è per dignità che essi non possono sottomettersi a un’autorità che li obblighi solo mediante minacce e castighi, è per dignità che devono rifiutare di obbedire ad ordini ingiusti (…).

… E infine c’è una dignità anche degli esclusi, dei vituperati della terra: la Pacem in terris parla egualmente della dignità dei profughi politici, della dignità di ciascun membro dei Paesi più poveri, della dignità degli erranti, di quanti sono considerati in errore” (pp. 36-38).

E’ qui da notare che “DIGNITA’” è stata la parola d’ordine del “Forum Sociale Mondiale”, conclusosi a Tunisi il 30 marzo: è un segno che dimostra l’attualità e l’universalità della lotta per la conquista dei diritti.

Dalla Pacem in terris:

Segni dei tempi

45. Nell’organizzazione giuridica delle comunità politiche nell’epoca moderna, si riscontra anzitutto la carta dei diritti fondamentali degli esseri umani: carta che viene, non di rado, inserita nelle costituzioni o che forma parte integrante di esse. (…)

46. Però le tendenze di cui si è fatto cenno, sono pure un segno indubbio che gli esseri umani, nell’epoca moderna, hanno acquistato una coscienza più viva della propria dignità: coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla vita pubblica, esige pure che i diritti della persona – diritti inalienabili e inviolabili – siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi (…).

Segni dei tempi

75. Com’è noto, il 26 giugno 1945, venne costituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) (…). Le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza.

Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguire da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà.

Su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale. In esso infatti viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani (…).

La Chiesa del Concilio per aprirsi al mondo, assumendo un atteggiamento pastorale, ha riconosciuto il valore della dignità umana e i diritti umani fondamentali, già affermati dalla Pacem in terris.

E’ stata l’Enciclica a dare il fondamento alla Dichiarazione del Concilio Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa.

La Dichiarazione ha questo incipit:

Nell’età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive.

Nella stessa Dichiarazione si legge:

Il fermento evangelico ha pure diuturnamente operato nell’animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la persuasione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa. (12)

“La dignità della persona umana” è il titolo del Capitolo I della costituzione pastorale Gaudium et spes.

La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione (…). (21)

E nella stessa Costituzione si legge:

Contemporaneamente cresce la coscienza della esimia dignità della persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili.

… Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell’uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità. (26)

Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque. (41)

Prima della fine del Concilio, il 4 ottobre del 1965, Paolo VI faceva visita all’ONU, pronunciando un discorso storico che voleva essere “una ratifica morale e solenne di questa altissima istituzione”, e in quel discorso non poteva mancare il tema dei diritti umani.

E’, inoltre, da considerare significativo il Messaggio dello stesso Pontefice per la celebrazione della celebrazione della II Giornata della pace, del 1° gennaio 1969, col titolo “La promozione dei diritti dell’uomo, cammino verso la pace”.

L’apertura della Chiesa col Concilio al mondo moderno segnava il passaggio “dall’anatema al dialogo”.

“La Chiesa si apriva a molti valori della rivoluzione francese, del liberalismo, del modernismo” (Giulio Girardi).

“Non si è trattato solo di ritardi nell’affermare i diritti umani, ma di complicità nel violarli. In particolare attraverso alleanze con quelle monarchie assolute, con quei regimi dittatoriali, con quelle potenze coloniali, contro i quali appunto i diritti umani furono conquistati”. (Giulio Girardi, “La Chiesa e i diritti umani”, in I diritti umani nella Chiesa cattolica, a cura di Franco Barbero, Claudiana, Torino, 1981, p. 61)

  1. I DIRITTI UMANI NELLA CHIESA: UNA QUESTIONE DI CREDIBILITA’ E DI AUTENTICITA’

Vanno pure ricordati due sinodi internazionali dei vescovi, del 1971 e del 1974, che segnarono un altro intervento sul tema dei diritti umani.

“Nel sinodo del 1974 sulla evangelizzazione i vescovi affermarono la ‘loro determinazione di promuovere ovunque i diritti umani e la riconciliazione, nella chiesa e nel mondo contemporaneo’. Essi affermarono che la chiesa ‘[…] crede fermamente che la promozione dei diritti umani è un’esigenza del vangelo, e come tale deve occupare una posizione centrale nel suo ministero’.

‘Per esperienza propria la chiesa sa che il suo ministero a favore dei diritti umani nel mondo richiede un continuo esame ed una continua purificazione della sua vita, delle sue leggi, istituzioni e condotta […]. Nella chiesa come in altre istituzioni e gruppi, la purificazione è necessaria nelle pratiche e nelle procedure interne, e nei rapporti con le strutture ed i sistemi sociali le cui violazioni dei diritti umani meritano biasimo’.

Il principio è stato puntualizzato e reso più esplicito dalla Pontificia Commissione sulla Giustizia e la Pace in un valido documento La Chiesa e i diritti umani (pubblicato il 10 dicembre 1974): ‘Perché la sua missione evangelica sia efficace, la chiesa deve prima e soprattutto stimolare nel mondo il riconoscimento, l’osservanza, la protezione e la promozione dei diritti della persona umana, cominciando con un attento esame di se stessa, una severa considerazione sul modo e la misura in cui i diritti fondamentali vengono osservati ed applicati all’interno della sua stessa organizzazione’”.

(James A. Coriden, “I diritti umani nella chiesa: una questione di credibilità e di autenticità”, nella rivista internazionale di teologia “Concilium”, Queriniana, n. 4, 1979, pp. 113-114).

  1. I DIRITTI UMANI E LA RIFORMA DELLA CHIESA

La carica innovatrice del Concilio e della Pacem in terris rispetto alla dottrina tradizionale della Chiesa risaltano maggiormente se si ricordano alcuni documenti del passato come, per esempio:

  • l’enciclica Quanta cura di Pio IX del 1864, “sugli errori del tempo”;

  • l’enciclica Mirari vos di Gregorio XVI, del 1832, che condannava la libertà di coscienza, di stampa e di pensiero, oltre che la tesi della necessità di un rinnovamento della Chiesa;

  • l’enciclica Vehementer nos, di Pio X, del 1906.

In questa enciclica si legge:

“La Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli della gerarchia, e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente distinte fra loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e che la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i suoi Pastori”.

Il rinnovamento conciliare è riuscito ad annullare il ritardo storico della Chiesa?

Il cardinale Martini, nella sua ultima intervista, ha detto:

“La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio”.

(“Corriere della Sera”, del 1° settembre 2012)

Il tema della riforma della Chiesa in senso evangelico è inevitabile che venga posto nella prossima Assemblea, facendo leva sugli atti che sta compiendo il nuovo Pontefice. Sono atti che stanno creando un clima nuovo all’interno della Chiesa e incoraggiano a sperare che il nuovo Papa favorisca il processo di rinnovamento avviato dall’Enciclica e dal Concilio.

A questo punto due domande sono ineludibili:

  • La costituzione gerarchica della Chiesa è compatibile con il riconoscimento dei diritti umani?

  • La costituzione gerarchica è compatibile col Vangelo?

“Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (…) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (…). Né il clero né il diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo”. (Il cardinale Martini nell’intervista citata)

La parola del Vangelo è stata seme e lievito della coscienza dell’umanità.

La legge fondamentale della Chiesa è il Vangelo, non il codice di diritto canonico.

E la legge divina è superiore alle leggi umane. Il corso della storia ha segnato un progresso, “un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio”, dice don Milani nella “Lettera ai giudici”.

I fedeli non sono sudditi. E possiamo dire che “l’obbedienza non è più una virtù”, neppure nella Chiesa.

La coscienza dei cattolici maturata in questi cinquant’anni e divenuta adulta avverte sempre più urgente la riforma della struttura gerarchica della Chiesa in senso evangelico, con la eliminazione, soprattutto della separazione tra clero e laicato, oltre che la diseguaglianza tra uomini e donne.

Le dimissioni di Benedetto XVI hanno riproposto il problema del ruolo del Papa e del potere nella Chiesa.

IL TABU’ DELLA DEMOCRATIZZAZIONE NELLA CHIESA”

Questo è il titolo del numero 5 del 1992 della rivista internazionale di teologia “Concilium”. La Chiesa se ha assunto la struttura gerarchica dalla società feudale, coniugandosi con i comuni, le signorie e l’assolutismo monarchico, ha avuto invece difficoltà a coniugarsi con la democrazia.

Dopo che il Concilio ha definito la Chiesa come “Popolo di Dio” e la sua fisionomia come comunione generata dallo Spirito, è più facile porre oggi il rapporto tra Chiesa e democrazia.

“Monarchia” e “democrazia” sono termini della politica. Come non è corretto dire che “la Chiesa è una monarchia”, così non si dovrebbe dire che “la Chiesa è una democrazia”.

Ma la Chiesa è molto di più della democrazia.

E’ il caso di richiamare il libro “La Chiesa oltre la democrazia”, di Andrés Torres Queiruga (edizioni la Meridiana, Molfetta, 2004).

Sulla copertina si legge:

“La Chiesa non è una democrazia ma è molto di più di una democrazia. Più libera, egualitaria, partecipativa, non autoritaria”.

Nel risvolto della prima di copertina:

“Benché non sia corretto leggere la Chiesa come una democrazia in senso strettamente politico, è difficile negare che nei suoi valori costitutivi, come la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, si racchiuda l’anima più autentica dei principi democratici.

Lo stesso spirito di servizio, che Gesù pone a fondamento della comunità, ha rovesciato il tradizionale schema del potere e impresso al cammino della Chiesa un inequivocabile carattere egualitario, partecipativo, libero, dunque ‘non democratico’ ma molto di più”.

Il problema del potere oggi riguarda non solo la natura, ma anche la missione della Chiesa.

Nel libro citato, in conclusione si legge:

“Siamo davanti a qualcosa che tocca la radice e va a incidere in maniera determinante sulla missione della Chiesa nel mondo. Veramente, non solo la fedeltà al Vangelo, ma anche un minimo di coerenza con le proprie parole esigono che la Chiesa intraprenda con urgenza quanto lei stessa chiede alla società civile.

‘E’ pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture politico-giuridiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente ed attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo della cosa pubblica, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti (Vaticano II, Gaudium et spes, n. 75)’”. (p. 65)

 

  1. LA CHIESA CATTOLICA E LA NONVIOLENZA:

DA DON LORENZO MILANI A P. ALEX ZANOTELLI E A DON TONINO BELLO

Prima della fine del Concilio, don Lorenzo Milani nella “Lettera ai giudici” (18 ottobre 1965) scrisse:

Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. (…) Ma la non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa”.

Possiamo dire con Aldo Capitini che la nonviolenza fu innominata e incompresa dal Concilio.

Capitini fu deluso dalle conclusioni del Concilio, ma seppe riconoscere le sue aperture, pur limitate, e i fermenti di rinnovamento. Scrisse in Severità religiosa per il Concilio (De Donato, 1966), libro “poco letto e presto scomparso” :

“Non capire l’importanza centrale della nonviolenza è proprio, per se stesso, significativo di appartenere al versante del passato e di non essere riusciti, pur con un imponente moto di persone e di mezzi, a salire alla cima per discendere l’altro versante sereno.

Ma gli esseri sono più delle istituzioni; i cattolici, con nuovo fervore, cercano, incontrano, discutono, s’impegnano.

Severità religiosa per il Concilio;

rispetto per la Chiesa;

affetto per i cattolici”.

ALDO CAPITINI è uno dei padri fondatori della nonviolenza moderna, nata al di fuori della Chiesa cattolica.

Capitini nell’autobiografia scrisse:

“Nel campo della nonviolenza, dal 1944 ad oggi, posso dire di aver fatto più di ogni altro in Italia. Ho approfondito in più libri gli aspetti teorici, ho organizzato convegni e conversazioni quasi ininterrottamente, ho lavorato per l’obiezione di coscienza, ho promosso, attraverso il Centro di Perugia per la nonviolenza, i convegni Oriente-Occidente, la Società vegetariana, la marcia della Pace da Perugia ad Assisi del 24 settembre 1961, e poi il Movimento nonviolento per la pace e il periodico “Azione nonviolenta” che dirigo. (…) Sono, insomma, riuscito a far dare ampia cittadinanza, nel largo interesse per la pace, alla tematica nonviolenta. Come teoria e come proposte di lavoro, la nonviolenza in Italia ha una certa maturità.

… quando sono andato due volte a Barbiana, a parlare con Don Lorenzo Milani e la sua scuola, la discussione e l’esposizione non è stata altro che sulla nonviolenza, per la quale egli mi disse di concordare con me”.

(“Attraverso due terzi del secolo”, 16 agosto 1968, in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Perugia, Protagon, 1992, p. 11).

Non va ignorata la storia del rapporto di Capitini con la Chiesa cattolica.

Non va ignorato il Decreto del Sant’Uffizio del 1956 con il quale veniva condannato e inserito nell’ “Indice dei libri proibiti” il libro Religione aperta e che manifesti a stampa affissi alle porte delle chiese di Perugia “davano la notizia della scomunica e invitavano i fedeli a disertare il C.O.R.” (Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita editore, 2005).

Non va neppure ignorata la storia dei rapporti della Chiesa cattolica con altri padri fondatori della nonviolenza moderna (Gandhi, Dolci).

In questi cinquant’anni l’idea della nonviolenza si è fatta strada nella Chiesa cattolica, ma questa storia non va ignorata né rimossa. Ed è ancora da ricostruire.

Manca, se non erro, uno studio organico. Bisogna superare, soprattutto da parte cattolica, imbarazzo, reticenze, e finanche silenzi e omissioni. C’è molto da studiare, in altra sede, con onestà intellettuale.

Ma sono incoraggianti le spinte che vengono dal basso della Chiesa e da alcune sue voci profetiche, rimaste a lungo isolate e inascoltate.

L’incontro a Barbiana negli anni ’60 di don Milani e Capitini, maestri e profeti appartenenti a due mondi diversi e distanti, fu un incontro profetico anch’esso, annuncio di futuro.

Dopo che Capitini si mosse per salire a Barbiana, il mondo rappresentato da Barbiana si è mosso per incontrare il movimento nonviolento e partecipare alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi, inventata da Capitini.

Capitini scrisse sulla prima Marcia Perugia-Assisi:

“Le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare”. (Aldo Capitini, In cammino per la pace, in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Perugia, Protagon, 1992)

All’ultima Marcia, quella del Cinquantenario, giunse la benedizione di Benedetto XVI.

Questi sono particolari che segnano non solo la storia di cinquant’anni della Marcia per la Pace “Perugia-Assisi”, ma anche la storia della nonviolenza in Italia.

Si sta avverando un’altra delle profezie di Capitini che in una lettera a Walter Binni del 26 agosto 1967 scrisse:

C’è bisogno che si delinei in Italia una certa consistenza della scelta pura nonviolenta, dal basso e rivoluzionaria in religione (…) Il mio compito mi pare sia stato e sia questo (se ce la farò!). Se no, faranno altri”.

La scomparsa del trattino, non ancora avvenuta del tutto, nella locuzione “non-violenza”, può significare i progressi avvenuti anche dentro la Chiesa cattolica.

“In questi ultimi tempi si è fatto qualche progresso in Italia nel campo che esamineremo, oltre che per il numero delle persone interessate, anche perché si è cominciato a scrivere nonviolenza in una sola parola, sicché si è attenuato il significato negativo che c’era nello scrivere non staccato da violenza, per cui qualcuno poteva domandare: ‘va bene, togliamo la violenza, ma non c’è altro?’ Se si scrive in una sola parola, si prepara l’interpretazione della nonviolenza come di qualche cosa di organico, e dunque, come vedremo, di positivo” (Aldo Capitini, Le tecniche della Nonviolenza, Feltrinelli, 1967, p. 9).

Dopo il Concilio la nonviolenza continua ad essere assente in importanti documenti del magistero come il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), di Giovanni Paolo II, nella versione definitiva del 1997 e nella versione più breve che è il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, di Benedetto XVI, pubblicato nel 2005.

Ma è un documento dell’episcopato cattolico degli Stati Uniti, pubblicato nel 1993, col titolo Il frutto della giustizia è seminato nella pace, che afferma il valore della nonviolenza. Un modesto richiamo a “forme di difesa non violenta” e al “valore della non violenza” si trova nel Catechismo degli adulti della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) del 1995.

Una particolare importanza, per la strada che apre ai cattolici, è il Discorso di Benedetto XVI all’Angelus del 18 febbraio 2007.

“Il Vangelo di questa domenica contiene una delle parole più tipiche e forti della predicazione di Gesù: ‘Amate i vostri nemici’ (Lc 6, 27). E’ tratta dal Vangelo di Luca, ma si trova anche nel Vangelo di Matteo (5, 44), nel contesto del discorso programmatico che si apre con le famose ‘Beatitudini’.

… Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana … Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”. (Cit. da Rocco Altieri, in Pietro Pertici, “La nonviolenza attiva in marcia”, “Quaderni Satyagraha”, n. 11, 2007, p. 16)

Conversione alla nonviolenza.

La fede nella nonviolenza esige una conversione.

Un esempio eccezionale di coraggio è stato quello di Padre Alex Zanotelli.

“Io sono profondamente convinto. Parlo adesso da uomo, se volete religioso, per me io sono un convertito alla nonviolenza, ci sono arrivato a cinquant’anni. Ho sempre appoggiato tutte le lotte armate anche in Africa, pensando che fosse l’unica maniera, a un certo punto, per ottenere la libertà o altro.

A cinquant’anni, è il momento caldo delle lotte su ‘Nigrizia’, ho cominciato a legare un po’ tutto e ho capito che l’unica salvezza è davvero la nonviolenza attiva.

E’ stato Gandhi che mi ha aiutato a ritornare al Vangelo e a scoprire che è Gesù di Nazareth che l’ha scoperta. Ricordiamocelo, perché è importante come cristiani ricordarcelo.

Purtroppo per molti secoli come Chiesa abbiamo dimenticato una delle verità più profonde del Vangelo. Pensate che per tre secoli le prime comunità cristiane sono state obbedienti a questo insegnamento di Gesù.

Pensate che oggi gli storici ci dicono che a ogni maschio che si presentava chiedendo il Battesimo, gli si diceva: ‘Fratello, scegli: o l’esercito o il Battesimo’.

Basterebbe che come Chiesa ritornassimo a questa pratica e metteremmo in crisi un sistema radicalmente, ed è giunto il momento di farlo, riscoprendo davvero che questo è il cuore del Vangelo. Almeno questo.

Ecco perché sono qui stasera, proprio perché anche per me è stata una lunga marcia, sofferta, quella della nonviolenza attiva, che mi ha portato proprio a una conversione radicale e a capire che il cuore di quel Vangelo – io non sto qui adesso a spiegarvi tutto il resto – e lì. E quindi diventa per me una doppia sfida, sia come uomo, sia come cristiano, nel tentare di vivere questo”.

(Intervento di Padre Zanotelli nell’incontro a Napoli, l’11 settembre 2007, organizzato dalla rivista “Quaderni Satyagraha”. Il testo è tratto dalla registrazione di Radio Radicale e non rivisto dall’Autore)

LA TESTIMONIANZA DI PADRE ERNESTO BALDUCCI

Altro esempio emblematico nel percorso della nonviolenza nella Chiesa cattolica fu quello di Padre Ernesto Balducci, considerando il rapporto con i padri fondatori della nonviolenza moderna, accolti anche nelle pubblicazioni delle Edizioni Cultura della Pace, editrice da lui fondata.

“Nel lontano 1958 accolsi a Firenze due ‘laici’ che allora facevano spesso saltare i nervi alla società benpensante e alla chiesa, anche a quel settore aperto della chiesa a cui appartenevo. Ebbi con loro un pubblico dibattito, durante il quale e dopo il quale, nei commenti che ne scrissi, non fui cortese con loro, anzi detti segni evidenti – me ne resi conto più tardi – di non aver compreso il valore profondo della loro scelta gandhiana. La storia, se così posso dire, mi punì, perché appena quattro anni dopo toccò a me sedermi sul banco degli imputati e ascoltare una sentenza che mi ha messo per sempre, accanto a Danilo, tra i cittadini senza la fedina penale pulita. Ma quella mia incomprensione ha sempre pesato in me come una colpa e oggi sono lieto che le Edizioni Cultura della Pace propongano al pubblico italiano i messaggi di Aldo Capitini e di Danilo Dolci, col quale oltretutto ho ormai rapporti di amicizia e di collaborazione”.

(Prefazione a Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni Cultura della Pace, 1992, p. 7)

E pensare che l’atto più clamoroso della ostilità contro Dolci da parte della Chiesa gerarchica era stata la lettera pastorale “Il vero volto della Sicilia” del 1964 del Cardinale Arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini, che aveva bollato Dolci come uno dei mali della Sicilia!

La teologia cattolica e la nonviolenza. Padre Bernhard Häring

Un compito importante per la ricerca sul tema della nonviolenza spetta alla teologia.

E’ d’obbligo ricordare Padre Bernhard HÄRING (1912-1998), considerato il più grande teologo morale del secolo scorso, che diede un grande contributo al rinnovamento della Chiesa e della teologia morale, prima, durante e dopo il Concilio. Häring ebbe la nonviolenza al centro della sua riflessione e della sua ricerca.

“Il nostro secolo era stato segnato da grandi contestatori non violenti, come Gandhi e Martin Luther King, che hanno pagato di persona. Il rinnovamento biblico ci dimostra la centralità della non-violenza che sappia raccogliere tutte le energie dell’amore, per un mondo più umano, più giusto, meno violento.

La nostra tesi è: la contestazione ci farà del bene, se in essa vincerà lo spirito di non-violenza, cosicché la contestazione violenta si smascheri da sé, nella sua ingiustizia, ma ne siano accolte le critiche giuste e le intuizioni valide.

(…) E bisogna ricordare che vi è una violenza dell’immobilismo e del potere ingiusto. E’ proprio essa che provoca la contestazione violenta.

(…) La non-violenza dà una nuova anima e una nuova forza alla contestazione, la fa una testimonianza profetica.

(…) La dottrina della non-violenza è una componente essenziale del Discorso della Montagna”.

(Bernard Häring, La contestazione dei non violenti, Morcelliana, 1969, pp. 9-10, 21, 24)

E’ da notare che ad oltre dieci anni dal Concilio, Häring, nonostante la stima degli ultimi Papi, dovette subire l’umiliazione di un processo dell’ex-Sant’Uffizio, pur superandolo senza incorrere in alcuna condanna, per le posizioni assunte dopo l’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae”.

“Oggi la morale deve essere concentrata sui problemi della pace e della nonviolenza. Per noi teologi morali è prioritario l’obbligo di lavorare per salvare il seme dell’uomo sulla terra. (…) la missione dei cristiani a servizio della pace, della nonviolenza e della riconciliazione sta al centro della vocazione cristiana. E non solo questo. Il cammino sulla via della pace e della nonviolenza richiede il dialogo e la cooperazione fra tutte le religioni del mondo.

(…) Ci si domanda anche perché così pochi cristiani s’impegnano a fondo nei movimenti per la nonviolenza. Nei nostri paesi si trovano specialisti competenti per ogni problema sociale, economico, ecc. Ma perché non li troviamo quando si tratta della missione per la pace e per la giustizia che guarisce, per la nonviolenza attiva e creativa? Perché il nostro grido angosciato tocca così pochi cuori tra i credenti?”

(Cit. da Luciano Benini, in convertirsi alla nonviolenza? a cura di Matteo Soccio, Il Segno dei Gabrielli editori, 2003, p. 49)

  1. IL MOVIMENTO PAX CHRISTI

Il Movimento PAX CHRISTI e la sua rivista “mosaico di pace”, fondata da don Tonino Bello continuano a segnare il percorso della pace e della nonviolenza nella Chiesa cattolica.

E’ da sottolineare nello Statuto del Movimento l’articolo che disciplina “oggetto, scopi e finalità dell’associazione”, con il richiamo al “metodo attivo della nonviolenza” e alle “azioni nonviolente”.

Dal sito web di Pax Christi:

“Il Movimento deve far sentire la sua voce nella Chiesa sia a livello di gerarchia, sia riguardo all’intero popolo di Dio, per provocarne il cambiamento nella direzione della cultura della nonviolenza evangelica.

(…) promuovere le forme di ‘diaconia della pace’ nelle diocesi e nelle parrocchie …

(…) rilanciare temi e campagne per una ‘Chiesa di pace’ (parrocchie disarmate, cappellani militari, teologia della Pace, ecc.), anche stringendo legami più stabili con altri gruppi pacifisti dell’area cattolica (Beati i costruttori di pace, riviste missionarie, ecc.);

rafforzare la capacità di stimolo e d’influenza di Pax Christi in ambito ecclesiale in direzione di una Chiesa che faccia dell’impegno per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato un proprio tratto caratteristico;

costruire una rete di vescovi, con cui avviare un dialogo e un confronto costanti, …

E’ necessario coltivare la spiritualità della pace e teologia della nonviolenza: è un campo ancora poco esplorato, ricco di itinerari e di scoperte, che si intreccia all’educazione alla pace, all’ecumenismo, al dialogo interreligioso, alle tematiche interculturali e intraculturali, alla costruzione di una nuova famiglia umana, al bene comune universale e alla vita quotidiana”.

E’ da segnalare il libro di Sergio Paronetto, Tonino Bello maestro di nonviolenza, con la Prefazione di Luigi Bettazzi e la Posfazione di Salvatore Leopizzi (Paoline, 2012).

E’ pure da segnalare il numero 1, gennaio 2013, della rivista “mosaico di pace” col titolo “Beati gli operatori di pace”.

Sia il libro che la rivista sono utili strumenti ai fini della prossima Assemblea sulla Pacem in terris.

Nell’articolo apparso nella rivista col titolo “Testimoni in ricerca” Sergio Paronetto ha scritto:

“E doveroso rivolgere un grato pensiero a Tonino Bello nel 20° anniversario del suo ‘giorno pasquale’, in concomitanza con il 50° della Pacem in terris. Don Tonino non è stato un generico uomo di pace o un suo bravo attivista. E’ tra noi presente come amico e maestro di nonviolenza. … don Tonino va inserito nella più alta tradizione ecclesiale come padre della Chiesa di Cristo ‘nostra pace’. Il suo magistero ha un rilievo mondiale, si collega alle più avanzate ricerche di nonviolenza attiva in campo sia formativo-teologico che etico-politico. Ha curato il germe di una teologia trinitaria della nonviolenza che va coltivato con amore. Il suo nome (con quello di tanti beati operatori di pace) va inciso nei cuori e negli itinerari pedagogici e civili di tutti i luoghi di formazione. Nelle comunità cristiane. Nella nostra vita”.

CONCLUSIONE

La riflessione in corso sul Concilio e sull’Enciclica è destinata a divenire sempre più intensa e profonda, occasione per porre temi e problemi che vanno al di là degli anniversari.

Dalla precedente Assemblea è emerso chiaro il bisogno di proseguire sulla via del rinnovamento, ma è rimasta anche la difficoltà di rispondere alla domanda di riforma della Chiesa.

L’esigenza di riformare in senso evangelico la struttura gerarchica della Chiesa-istituzione è sempre più sentita come urgente, per superare l’era della Chiesa costantiniana e concordataria.

Va ribadito che la struttura gerarchica non è compatibile col Vangelo, perché viola la fondamentale legge della eguaglianza e della fraternità. Non è accettabile la diseguaglianza tra clero e laicato, come la diseguaglianza tra l’uomo e la donna.

E’ sentita l’esigenza del rispetto della dignità umana e dei diritti umani anche all’interno della Chiesa, perché questa sia credibile.

E’ sentita l’esigenza del superamento dei limiti e delle ambiguità dei documenti del Concilio, come quelli, in particolare, riguardanti la dottrina sulla guerra e sulla pace.

Va rilanciato l’Appello “No al Concordato, no ai Cappellani militari” del 18 febbraio 2012 (promosso da Cipax, Cdb San Paolo, Pax Christi Roma, Noi Siamo Chiesa-gruppo romano).

Va ripresa la dichiarazione del cardinale Giacomo Lercaro al Concilio:

La Chiesa deve dire a tutti i possessori di quelle armi, che non è lecito produrle e conservarle e che hanno l’obbligo categorico, assoluto e immediato, senza possibili dilazioni, di distruggerle totalmente”.

Per finire.

Abbiamo avuto una Enciclica sulla PACE.

Quando avremo una Enciclica sulla NONVIOLENZA?

Palmi, 31 marzo 2013

Raffaello Saffioti

Centro Gandhi

raffaello.saffioti@gmail.com




Martedì 02 Aprile,2013 Ore: 10:47
 
 
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