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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org L'EMOZIONE DEL PAESAGGIO NELLE DECORAZIONI E NEI QUADRI DI ETTORE DONINI.,DI CARLO CASTELLINI

L'EMOZIONE DEL PAESAGGIO NELLE DECORAZIONI E NEI QUADRI DI ETTORE DONINI.

UN CAMMINO STRAORDINARIO NATO DA ESPERIENZE DI PROVINCIA E ARRIVATE NEL CUORE DELLA PARIGI MONDIALE.


DI CARLO CASTELLINI

HANNO PARLATO DI LUI.
PAOLA BUIZZA.
“La pittura è l'unico motivo di vita che mi permette du andare avanti”.
Ettore Donini nasce a Corticelle Pieve il 10 giugno 1917. E' in questa piccola frazione di Dello che trascorre le giornate della sua infanzia. Un'infanzia che presto si trasforma in adolescenza senza lasciare tracce particolari nella sua biografia. A quel tempo c'è poco da pensare scuola e lavoro nei campi, per aiutare la famiglia nelle faccende agricole. Ettore, terzo di otto figli non nutre particolari ambizioni: eravamo “cani sciolti” suole ripetere ripensando alla sua infanzia. L'idea della pittura e della decorazione non gli era mai appartenuta e tanto meno la consapevolezza della sua predisposizione alle discipline artistiche anche se, frugando nei suoi ricordi più lontani, emergono pomeriggi dedicati al disegno, appartato nel silenzio della campagna.....”.
LUCIANO SPIAZZI.
Ettore Donini vien da lontano nella pittura bresciana, dai tempi di GIUSEPPE TRAININI, zio di Vittorio, entrambi affrescatori di vaglia. La decorazione si sa, è una scuola severa che richiede l'assimilazione lenta ma necessaria del mestiere. Poi arrivano anche i vantaggi, il colore netto senza cincischiamenti, la luce viva, la mano agile nel tratteggio. Da questo mestiere proviene una buona fetta dell'arte di casa nostra.......”.
MAURIZIA PASINI.
ROBERTO TANGHETTI, VILLA BADIA PICCOLA. LA GENESI DI UN RAPPORTO ARTISTICO – AFFETTIVO TRA UN UOMO E LA SUA DIMORA.
“.......E' il 1986, quando Roberto Tanghetti intraprende l'avventura di un percorso esistenziale definibile come un nuovo corso. Il tutto nasce da un bisogno di trovare una dimora; aspirava a qualcosa di particolare, cercava una villa in grado di offrirgli spazi nei quali riconoscersi......”. Nella villa stavo ritrovando la bellezza della mia anima. E mi riavvicinavo alla bellezza della natura che avevo assaporato da giovane, quando steso sull'erba, mi perdevo ad osservare il cielo.......” Ma di questa storia parleremo a parte, perchè merita un suo spazio particolare..
ADRIANO PAROLI, EX SINDACO DI BRESCIA:”Donini muove dalla decorazione, imparando da subito a organizzare lo spazio, e con le spiccate capacità dell'artigiano affina le sue arti, senza dimenticare il mestiere, lo stesso he continuerà a fare nei giorni della guerra quando rincasando a Corticelle Pieve offriva il suo impegno alla famiglia per scampare ai rigori di quelle difficili stagioni......”.
ANDREA ARCAI, EX ASSESSORE.
“Donini abbraccia con passione la corrente dell'impressionismo, frequenta il Louvre, legge Corot e assapora tutto ciò che può dell'arte d'oltralpe si accompagna sia ai pittori che ai decoratori.....”.
ALBERTO CAVALLI, PRESIDENTE
VILLA BADIA PICCOLA è un gioiello “architettonico” dell'Ottocento a lungo celato ai Bresciani. Il suo recupero esemplare, che si deve alla sensibilità dell'attuale proprietario ROBERTO TANGHETTI, ha riportato alla luce le meraviglie pittoriche che l'intonaco ricopriva da decenni, ha tenuto conto con amore, delle strutture originarie, non ha alterato i caratteri di questa villa del primo contado, ai confini della città tra vigneti e frutteti......”.
RICCARDO MININI, EX ASSESSORE.
“Arte decorativa, stile in evoluzione, eclettismo, vite di Santi e vicende profane, affreschi, ritratti, una classe innata che attraversa il Novecento bresciano che ci appartiene per tradizioni, per nomi, per evocazioni. E' in questi passaggi epocali che ritroviamo il narrare attraverso affreschi e tele di ETTORE DONINI, personaggio di grande spessore, che sublima la decorazione nel paesaggio della storia: tardo gotico, Rinascimento, contaminazioni che arrivano alla promiscuità più feconda. Un raccontarsi umano e profondo, che comincia a CORTICELLE PIEVE, si sviluppa a Brescia, evolve anno dopo anno, fissa sui muri e sulla tela quel trascorrere di tempi e modi che sanno caratterizzare l'uomo, il suo lavoro, i suoi sogni......”.
AGOSTINO MANTOVANI, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE, BRESCIA MUSEI.
“...........La creatività dell'artista – ETTORE DONINI – fissata nei suoi quadri (pittura), ambientata in un edificio di pregio (architettura), a sua volta illustrato da elementi scultorei e da opere d'affresco, riportate all'antico splendore da un paziente e sapiente lavoro di restauro (dello stesso Donini).........”. “L'essenza delle opere di ETTORE DONINI sembra nascere dall'idea di far confluire ogni forma d'arte, in un ipotetico intreccio fatto di sovrapposizioni, di compenetrazione di immagini, che sembrano persino tradursi in suoni illusoriamente a se stanti, ma in realtà legati tra loro ben più saldamente di quanto appaia.....”.
FRANCO TAMBURINI, PRESIDENTE DI ASSOCIAZIONE INDUSTRIALE BRESCIANA.
“......Ma le tele di ETTORE DONINI vanno oltre la padronanza di un “mestiere”, che richiede la conoscenza della forma, del colore, della tecnica, della materia pittorica. Esse ti coinvolgono in uno sguardo stupito e commosso sulla realtà. E infatti l'abilità di decoratore non si riduce mai, nelle opere di Donini, i motivi e i soggetti pittorici a mero esercizio di stile, ma presenta intensi frammenti di realtà. Una realtà amara, prima ancora che osservata, studiata, analizzata. Una realtà che viene interrogata, interpretata ed espressa con dolcezza, quasi con timore, con la solidità di chi ben governa le tecniche del figurativo tradizionale ma al tempo stesso con l'abbandono esistenziale degli impressionisti.....”.
LUCIANO GABURRI, PRESIDENTE.
“......Una mostra antologica dedicata quindi ad un artista capace di cogliere, nell'ambiente naturale della sua terra e che è poi la nostra terra, le suggestioni più intime e genuine, per trasferire nelle sue tele il pathos della propria comunità di appartenenza.......”.
ENRICO MATTINZOLI, ASSOCIAZIONE ARTIGIANI.
“........Perchè anche il mondo dell'artigianato vuole esprimere la propria considerazione sull'artista ETTORE DONINI? Lo facciamo perchè crediamo che l'Arte e il Lavoro siano le due ali dell'uomo. Il lavoro non come condanna biblica, ma come realizzazione personale che assolve alle esigenze economiche materiali. L'arte come ricreazione dello spirito che si solleva sopra i bisogni e gli affanni quotidiani per soddisfare le necessità spirituali......”.
A MO' DI INTRODUZIONE............
Se osservi alcuni dei suoi quadri e ti soffermi sui particolari, ti accorgi subito che nell'aria c'è qualcosa di diverso che tonifica il paesaggio: sono i cieli o l'aria della Bretagna alta, magari con un sole che scalda più che da noi in Italia.
Mi avvicino, per leggere la firma del quadro appeso alla parete di una condotta medica, ed è proprio quella di ETTORE DONINI, cui è stato dedicato un libro antologico, per ricordare la sua avventura artistica e il suo contributo alla pittura, che lui ha onorato in maniera originale e personalissima.
“L'EMOZIONE DEL PAESAGGIO”, così recita il sottotitolo del bel volume a lui dedicato. Ero andato da lui qualche mese prima della sua scomparsa, per un colloquio e conoscenza amichevole e avevo portato con me anche la chitarra, per facilitare qualche momento di sollievo: aveva spesso il mal di testa e mi parlava della moglie scomparsa da un po' di tempo.
Mi aveva fatto vedere alcuni degli ultimi quadretti; ma ormai il suo lavoro era spesso interrotto, a motivo di un ricorrente mal di testa, e anche la testa se ne andava e veniva; e nella sua genuinità mi aveva offerto anche un grappino di suo gusto che avevamo gustato insieme.
Poi il discorso era caduto sulla sua storia e aveva incominciato a raccontare e a raccontarsi mentre io prendevo nota, come mia abitudine. Poi ne aveva fatto parola con ROBERTO TANGHETTI, il suo Mecenate, che lo aveva valorizzato nel far rinascere la sua VILLA BADIA PICCOLA. Proprio qui mi avrebbe presentato al signor Tanghetti, che gli aveva affidato la decorazione della Villa, curata per circa un ventennio, negli ultimi anni prima della sua scomparsa.
Vari e di diversa natura i contributi sulla conoscenza del nostro pittore e tra questi mi piace ricordare quello di MAURO CORRADINI, che gli dedica una pagina critica di biografia artistica con “DALLA DECORAZIONE ALLA TELA:IL SINGOLARE PERCORSO ARTISTICO DI ETTORE DONINI”. (Carlo Castellini).
“Solo quando gli si parla di PAUL CEZANNE, Ettore Donini, ha un leggero sobbalzo e gli sfugge un sotterraneo sorriso; come se quel nome e l'opera che il grande provenzale ha costruito avessero la forza di riportare in luce il sogno della pittura, coltivato a lungo nella sua vita assai attiva, anche se in prospettive operative completamente differenti”.
Il richiamo primario per questo pittore chiamato alle pareti, è stato a lungo la decorazione. Ma nasce come imbianchino, e in questa attività, tra realtà e autoironia, Donini si rappresenta in un curioso quadretto, che ha il sapore delle satire goliardiche, e delle caricature scherzose e non troppo mordaci della stagione del CANTINONE di Tita Donzelli.
Il tirocinio decorativo si attua nella nostra città, a Brescia, dove giunge negli anni Trenta, poco più che adolescente dalla natia CORTICELLE PIEVE, dove ha vissuto i primi anni della sua vita. Dal mondo contadino di provenienza viene portato in città proprio dall'amore per la pittura; le uniche opere d'are viste fino ad allora sono state probabilmente le tele della chiesa del borgo, qualche ritratto fotografico e qualche litografia raffigurante la vita dei santi appese nelle pareti delle case di campagna.
Poi l'incanto, l'attrazione per i colori, per il mondo dei ponteggi, la prima attività di imbianchino e il salto verso la città, per tentare la via più alta, quella della decorazione.
Sono gli anni dei cicli decorativi di GIUSEPPE E VITTORIO TRAININI, con i quali inizia a collaborare, partendo dall'umile attività di garzone, cui viene aggiungendo qualità e capacità, apprese e maturate sul campo. Allarga Donini il raggio delle decorazioni, come si legge attraverso i ricordi che la biografia riporta, con impegni più consistenti, con i pittori GIUSEPPE MOZZONI ed ELIGIO AGRICONI; e forse sono proprio i due artisti, attivisti sia in campo decorativo, che in campo pittorico da cavalletto, ad aprirgli la prospettiva della pittura dal vero.
“L'esercizio della decorazione, lo ricordava in una presentazione di un quarto di secolo fa LUCIANO SPIAZZI, è una scuola significativa, un'attività che non offre scorciatoie: va diretta allo scopo. E le qualità della pittura, o ci sono ed emergono, oppure tutto naufraga”.
La cultura visiva bresciana, in campo decorativo, nel decennio trenta-inizio anni quaranta, è ancora sotto l'influenza dell'eclettismo di fine Ottocento; i riferimenti dei decoratori che si dedicano all'affresco di chiese e palazzi, sono quanto mai vari e liberi tant'è che gli elenchi delle loro opere, sono di solito raggruppati attraverso sezioni stilistiche, approssimative magari, ma utili ad individuare l'impostazione principale: si parla di medioevo, rivisitato in chiave tardo gotica, di recupero del Rinascimento, interpretato soprattutto attraverso i cicli decorativi quattro-cinquecenteschi, si giunge alle macchine sceniche tiepolesche di metà Settecento. Di certo, dominante è lo spirito eclettico di una cultura che aveva visto nell'Art Nouveau, tanto nelle declinazioni più seriali del liberty, quanto nelle accezioni più stimolanti, desunte dalle Secessioni mitteleuropee con l'unificazione delle arti, la promozione della decorazione a rango primario: forma d'arte che si esplicava sui muri e sulle pareti, e raccontava, tra enfasi ed evocazione, le vite dei Santi o le vicende della storia patria. I cicli decorativi sono sempre stati una scuola professionale, una scuola di pittura, una lezione di umiltà e di capacità immaginativa, dal momento che la decorazione insegna da subito l'organizzazione dello spazio.
Il passaggio dalla pittura murale al cavalletto è consueto anche se non diretto; viene esercitato da tutti nei periodi di inattività della professione, nei momenti di svago o di riposo, quando la decorazione porta il pittore in luoghi ameni: si vedano i piccoli oli realizzati da AGRICONI negli intervalli dell'attività lavorativa, per rendersi conto di questo procedere espressivo. E DONINI non si sottrae questo ritmo artistico, entrando a poco a poco anche nel mondo della pittura da cavalletto.
La biografia ci parla di qualche comparsa nelle mostre collettive del periodo; poche le gallerie (Dante Bravo, Campana), pochi i documenti, una presenza certa nella mostra provinciale agli inizi degli anni quaranta; sono una testimonianza della sua volontà di essere presente, di partecipare alla vita artistica della città. Superati gli impacci di un apprendistato faticoso, ricevuto sul campo e senza scuola.
Donini si è probabilmente sentito sicuro o almeno abbastanza sicuro da poter collocare le sue tele a fianco di quelle dei più anziani e preparati maestri, della generazione nata nel giro di boa tra i due secoli, cercando di recuperare lo guardo tonale che l'ultimo Ottocento aveva aveva mantenuto vivo in quella pittura narrativa, o narrativo - evocativa, propria dei grandi decoratori: e basterebbe a Brescia entrare a leggere i miti rinnovati dei gradini pannelli he ARTURO CASTELLI costruisce per l'antica banca Credito Agrario Bresciano di Piazza Duomo, dove le vicende di crescita economica e produttiva di Agricoltura (dominante di necessità, considerata la banca), Industria e Commercio, si esprimono attraverso il ricorso alle mitologie classiche, da Mercurio a Vulcano, fino agli sguardi bucolici di una campagna attiva, e legata ai ritmi delle stagioni.
Non abbiamo opere di quella lontana stagione; forse qualche Donini c'è ancora appeso in qualche parete della nostra città o nella bassa verso Dello, dove è nato e hanno continuato a vivere la sua famiglia, i suoi genitori, i suoi fratelli.
La guerra è una pesante ferita nella Nazione e nella vita individuale; cui si congiunge la necessità famigliare per Donini di tornare a casa, per sostenere con la sua attività i bisogni del gruppo. Solo terminata la guerra, superata l'emergenza familiare, DONINI si sente libero; con l'entusiasmo proprio dell'età (ha quasi trent'anni) e con l'entusiasmo di una società che esce dal buio di una lunga e sanguinosa guerra, decide di andare lontano, di giungere in quella città che nell'immaginario collettivo costituisce la capitale dell'arte contemporanea, Parigi.
Siamo nell'ottobre 1947: inizia una vita nuova per il giovane trentenne, che sottolinea ancora oggi quell'evento cruciale per la sua storia pittorica. Non va a Parigi, come pittore, ma come decoratore; a Parigi incontra la pittura, l'aura di una grande stagione, lontana ormai oltre mezzo secolo, ma ancora percepibile.
Troppo lontano dalle formulazioni picassiane che transitavano in larghe schiere nella pittura giovane, incapace probabilmente di misurarsi tanto con le materie emozionanti dell'informe, quanto con i segni espressionisti del gruppo CoBrA, che a Parigi aveva una discreta diffusione, Donini si immerge nella pittura di paesaggio dell'impressionismo e dei post impressionismi; frequenta il JEU DE PAUME, che raccoglie la pittura impressionista, ma anche il POUVRE; legge COROT, si accosta a certe pagine paesaggistiche di COURBET, e probabilmente si sofferma attento ai paesaggi corotiani che hanno il sapore della quotidianità. Di certo, è attraverso il contatto con la pittura impressionista che comprende l'uso dei colori, la forza emotiva e incantata dell'insieme armonico dell'immagine.
Ci vuole del tempo; un paesaggio giunto fino a noi dagli anni cinquanta (datato 1955) documenta un Donini ancora “lombardo”, ben calato nei colori malinconici del Sebino, negli orizzonti lunghi di grigi, con i verdi cupi che sembrano risalire al realismo ottocentesco.
Ci vorrà la luce dell'impressione a risvegliare in lui i colori. E soprattuto il richiamo a tutta quella pittura che sull'eco dell'impressione prosperava nelle strade di Parigi. Le sue Parigi sono da collocare all'interno di una veduta di moda, relativamente consueta. Solo le cromie, lievi inizialmente, e via, via sempre più forti, ci danno il senso di una lenta conquista della pittura, cui va collegato un episodio minore, ma significativo, l'incontro e la conoscenza casuale con BERNARD BUFFET.
Donini a Parigi frequenta più l'ambiente dei decoratori che quello degli artisti; frequenta per conto suo le gallerie, visita i musei, attinge dalle immagini altrui stimoli e richiami; ma di certo la pittura rimane attività residuale nei confronti di quella principale, la decorazione. Anche a Parigi è il pittore che, come un tempo a fianco di AGRICONI O MOZZONI, nel riposo dell'impresa decorativa, si dedica al cavalletto. Vengono ancora conservate le sue immagini “parigine” che hanno goduto di notevoli apprezzamenti al rientro in città. La scelta del paesaggio è in Donini aspetto dominante; e da “parigino”, qual si ritrova ad essere e diventare per necessità, basilare diviene per lui la scelta del paesaggio urbano, ILE DE LA CITE', NOTRE DAME, il LUNGO SENNA, luoghi esemplari di tanta iconografia, così diffusi che appaiono come nostri da sempre.
L'incontro con BUFFET costituisce per i pittore bresciano, la conferma della semplicità della grandezza; da BUFFET stilisticamente Donini deriva quasi niente; non gli interessa quel segno insistito, che gli dà sostentamento e qualche successo. Ma la pittura dalla fine degli anni cinquanta inizio decennio sessanta, comincia ad apparire come forza segreta, come sogno ed evasione, come viaggio nello spazio dei colori.
LA TERZA FASE DI ETTORE DONINI.
Ci vuole la terza fase, il terzo periodo della sua vita, quando Donini ha ormai sessant'anni, per dare finalmente sfogo al cavalletto; e segnerà questa presenza della pittura ad olio con la dizione ANNI FELICI, ben evidenziata sul retro delle tele, per altro quasi mai datate e non sempre titolate. A PARIGI si è sposato, ha avuto un figlio che vive ancora in Francia, anche se non più nella capitale; da Parigi ha mantenuto e arricchito i contatti con la sua città. Quando ritorna a Brescia, nella seconda metà degli anni settanta, il clima è profondamente mutato rispetto agli entusiasmi del secondo dopoguerra. La sua generazione quella degli autori che aveva frequentato e conosciuto, è attiva, ma ritirata. L'attività decorativa è fortemente diminuita; in ambito pittorico sono dominanti tendenze nuove, che poco interessano il nostro artista. Anche le polemiche che avevano animato il secondo dopoguerra tra innovatori e tradizionalisti, sono ormai sepolte nel dimenticatoio. Donini si accosta alla GALLERIA SAN GASPARE, che raccoglie ed espone la pittura di tradizione, o di “realtà” come si diceva allora con una formula ancora in voga in quegli anni, dialoga con GIGI CREMONESI E con gli amici che di sera si riuniscono in galleria a parlare di opere e progetti; forse in quelle occasioni parla di Parigi, racconta quella storia di ricerca e di innovazioni con cui è stato a contatto. Proprio nella SAN GASPARE tiene una MOSTRA PERSONALE con le tele realizzate tra la Francia e i primi contatti con la realtà della sua città. Propone il proprio fare espressivo, che è venuto maturando con i piccoli passi che abbiamo intravisto; propone un sogno d'immagine che si manifesta attraverso i ritmi intensi del paesaggio. Rimane tuttavia decoratore, e questa mostra antologica e questo stesso volume derivano e costituiscono l'esito di una lunga produzione, quasi terminale e conclusiva, di Donini decoratore; presentandolo come artista questo volume presenta contemporaneamente l'opera decorativa che si esprime attraverso il recupero e l'invenzione di figure e allegorie legate al mondo agricolo in una villa di periferia della nostra città. Tornato a casa la pittura può ormai esprimersi liberamente; Donini ha mantenuto una fedeltà alla visione esteriore, ha spostato il suo accento in direzione delle soluzioni post-impressioniste – e il suo amore per CEZANNE, da cui siamo partiti ne è un'indiretta conferma – è venuto attingendo alle migliori energie interiori, quasi che, dopo aver tanto lavorato come decoratore sentisse ormai giunto il momento di essere solo pittore, e pittore per sé, anche se non riuscirà mai ad abbandonare del tutto il ponteggio, il muro, la forma che illumina un'intera stanza. A lungo ha descritto ciò che la committenza gli chiedeva; cerca ora, attraverso la piccola tela (il formato è normalmente quello classico della pittura en-plein-air), di esprimere quel che a lungo ha tenuto dentro. Non sembri casuale quel riferimento alla felicità di anni intensi nella sua ritrovata città, né sembri casuale se realizza, tra le prime opere della sua terza stagione, un ritratto del Padre (1978), desunto da un'immagine fotografica; si noterà in questa tela la forza espressiva ancora di uno stile lombardo, quasi che Donini non voglia utilizzare la lezione francese, per rievocare a sé l'immagine dell'antico mugnaio-contadino. I colori sono più asciutti, meno squillanti, meno succosa la pennellata; la stesura è piatta sobria, e tuttavia è facile cogliere come nell'immagine, ai lineamenti che gli vengono dalla fotografia, si sovrappongano i colori che gli vengono dall'anima. Il nostro pittore rimane sostanzialmente un appartato; non ama molto mescolarsi ai gruppi; continua a lavorare in solitudine, come in fondo aveva bresciana e la Bretagna; dove si reca ogni anno a ritrovarvi suo figlio, è una pittura che parla di quotidianità, di sensazioni, di emozioni. E quando gli manca il modello esterno, quando la stagione non consente la lunga escursione all'aria aperta per realizzare il Paesaggio, si dedica, con la cultura propria della sua generazione , alla Natura Morta, all'immagine solare di intense cromie con grandi vasi di fiori, in fattispecie dell'autoritratto:”Se nessuno posa per me, mi basta osservarmi allo specchio”. E la carrellata di autoritratti non ci documenta solo un trascorrere del tempo ma anche un attento mutare dei ritmi interni della sua pittura. (LUCIANO CORRADINI, a cura di Carlo Castellini).



Martedì 29 Gennaio,2019 Ore: 12:52
 
 
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