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www.ildialogo.org Una politica per salvare la nostra casa: IMU?,di Michele Zarrella

Otto domande, otto risposte l'otto del mese
Una politica per salvare la nostra casa: IMU?

Fare programmi e porsi degli obiettivi è il compito della politica


di Michele Zarrella

Ferve la campagna elettorale, ma l’argomento più marginale è l’ambiente.

In queste settimane tutti i partiti parlano molto di ridurre le tasse, e poco invece di ridurre la concentrazione di gas serra nell’atmosfera. L’incremento annuale alla concentrazione di gas serra negli anni 2005-2009 è stato di 2,5 parti per milione (ppm). Oggi, dal sito co2now.org si legge che siamo a 394,39 parti di anidride carbonica (CO2) per ogni milione di molecole di atmosfera. Dal 2000 le emissioni annuali globali di gas serra sono aumentate paurosamente e oramai hanno superato abbondantemente i 50 miliardi di tonnellate (Gt). Se non si mette in atto un programma di riduzione delle emissioni ci avviamo in meno di un decennio, alle 500 ppm di anidride carbonica equivalente (CO2e), che comprende anche gli altri cinque principali gas serra (CH4, N2O, HFCs, PFCs e SF6), e in poco più di un decennio arriveremo alle 550 ppm di CO2e. Il livello di concentrazione di 550 ppm comporta, secondo l’Ipcc, aumenti di temperatura superiori a 2 °C considerati molto rischiosi per la nostra società. A cosa serve dunque parlare di ridurre le tasse, di equità, di crescita e tutte le “belle” promesse elettorali se non si tiene conto che la nostra casa sta andando in “ebollizione”?

Cosa deve fare la politica?

Compito della politica è porsi come obiettivo entro il 2030 un livello di concentrazione sostenibile e perseguirne con fermezza la realizzazione. Supponiamo di ragionare in termini di flussi assoluti e di fissare l’obiettivo di 550 ppm di CO2e, il programma allora dovrebbe prevedere che nel 2030 le emissioni si riducessero a 30 Gt di CO2e. Mentre dovrebbero ridursi a circa 20 Gt di CO2e se fissiamo l’obiettivo di 500 ppm. Quindi, considerando l’obiettivo più rassicurante di 500 ppm, per arrivare al flusso di circa 20 Gt dovremmo tagliare il livello di emissioni del 60% rispetto al livello attuale. Ma quale partito ne sta facendo una bandiera della propria campagna elettorale? Stéfan Dion, ex leader del Partito liberale canadese, propose di tassare “quello che la gente brucia, non quello che la gente guadagna”. Una frase come questa, detta dai nostri politici, renderebbe chiaro a noi cittadini come potrebbero essere usate le entrate provenienti dalle tasse “sull’inquinamento”, proponendo in compenso una riduzione delle imposte sul reddito.

Ma quanto costerebbe un programma di riduzione del 60% di emissioni?

Poco, quasi niente. Secondo lo studio McKinsey presentato nel gennaio 2009 la curva dell’abbattimento dei costi delle emissioni globali entro il 2030 consente delle opzioni di diminuzione della concentrazione dei gas serra e contemporaneamente di guadagno economico.

 

Investire sull’energia elettrica prodotta da gas di discarica e da piccoli impianti idroelettrici, sull’efficienza dei motori, sulla sostituzione delle lampadine a resistenza con quelle a Led, sull’isolamento delle abitazioni, sulle auto ibride o sul riciclaggio comporta una diminuzione di emissione di gas serra e un risparmio economico. Tutte queste azioni nel grafico vengono presentati come un costo “negativo” per indicare che attuandole si ha un guadagno. Mentre risultano positivi i costi per la riduzione della deforestazione per il rimboschimento dei terreni degradati e dei pascoli e l’uso di nuove tecnologie. Ma nel complesso per una riduzione di 30 Gt il costo totale è poco sopra lo zero, perché i guadagni ottenuti riducendo le emissioni grazie all’aumento dell’efficienza compenserebbero i costi per mettere in atto le azioni di rimboschimento e le tecnologie innovative (fonti rinnovabili, cattura della CO2, ecc.). Questo grafico inoltre – inteso come una curva del costo marginale di abbattimento – ci può aiutare a delimitare il prezzo delle emissioni dei gas serra, con un programma di riduzione attorno a 30 Gt, a circa 40 €/tonnellata. Ciò significa che tutte le tecnologie che hanno un costo inferiore ai 40 € sono da incoraggiare. Questo dato risulta importantissimo per la definizione delle linee di politica economica. Ad esso andrebbe aggiunto la riduzione della probabilità di disastri particolarmente gravi. Cosa ancor più importante di tutto.

Ma il passaggio ad un’economia a bassa intensità di prodotti del carbonio, non creerà gravi scompigli?

Passare da certe fonti di energia come quelle attuali fossili, che vengono estratte ormai dalle profondità più recondite del pianeta (fino a 7000 m) con tecniche pericolose e che stanno alterando pesantemente l’equilibrio che ha consentito la vita della nostra specie, non sarà privo di agitazioni. Il periodo di transizione da un tipo di economia ad alta intensità di prodotti del carbonio a un'altra a bassa intensità, come tutti i periodi di transizione, genera reazione. Anche se le attività umane non cambieranno sostanzialmente è comprensibile che ci saranno gruppi che si opporranno al cambiamento. Ma anche noi stessi, singolarmente, tenderemo a non modificare il nostro “stile” di vita. Questo lo dice anche la fisica: per modificare uno stato di quiete o di un moto uniforme occorre una forza esterna. Ed è questa forza esterna che una politica di contrasto risoluto ai cambiamenti climatici dovrà saper applicare senza creare conflitti pericolosi fra cittadini, ma facendo capire a tutti la sua necessità e convenienza. Inoltre è opportuno pensare che crisi vuol dire cambiamento sì, ma anche opportunità. In cinese la parola crisi è costituita da due idiomi: uno che significa “rottura” (la crisi è una rottura col consueto) e l’altra che significa “opportunità”. Quindi in cinese, crisi = rottura & opportunità. Interessante perché per noi occidentali due cose che si “contraddicono” non possono appartenere ad uno stesso problema. Le crisi sempre presentano delle opposizioni ai cambiamenti, ma anche delle opportunità come l’apertura di nuovi mercati con grossi potenziali in tema di produzione di energia, di materiali isolanti, di trasporti più efficienti, ecc.

Riusciremo a tradurre tutto ciò in realtà? E da dove conviene iniziare?

La distribuzione delle emissioni fra le diverse fonti, secondo il Climate Analysis Indicators Tool, è la seguente: elettricità e calore 27%, cambio d’uso del suolo e foreste 18%, agricoltura 13%, trasporti 12%, edilizia e industria manifatturiera 11%, altre combustioni 9%, perdite 4%, rifiuti 3%, processi industriali 3%. Pertanto la prima azione va fatta sull’uso efficiente dell’elettricità e del calore, senza trascurare la deforestazione e l’agricoltura. Ma ognuno di noi può incidere considerevolmente con un uso razionale dei trasporti, con la coibentazione della propria abitazione, con il riciclo dei materiali, ricordando a se stesso come un mantra: Rifiuto inquinare.

Quando dobbiamo cominciare?

Presto, subito, ora, perché anche se ci comporteremo immediatamente in maniera giudiziosa, con l’imperativo quotidiano del “Rifiuto inquinare”, evitando il più possibile gli sprechi, all’accumulo delle passate emissioni si aggiungeranno quelle che immetteremo necessariamente nell’immediato futuro. Questo ci porterebbe a un aumento medio della temperatura di 2-3 °C e forse più rispetto all’inizio dell’era industriale. La relazione fra concentrazione di CO2e e temperatura ha un andamento approssimativamente logaritmico, quindi difficilmente apprezzabile in breve tempo come potrebbe essere la durata di una vita. Con un tale aumento della temperatura i cambiamenti climatici si faranno sentire molto più drasticamente di quanto sta avvenendo ora. A quel punto prenderemo coscienza e necessariamente metteremo in atto gli interventi che saranno diventati più urgenti, più pressanti e molto più costosi. Non c’è un minuto da perdere. Nel suo intervento allo Human Development Report 2007-2008, l’arcivescovo Desmond Tutu discutendo del potenziale di devastazione dei cambiamenti climatici concluse: “Non dobbiamo permettere che ciò possa accadere. Alla fine l’unica vera soluzione al problema dei cambiamenti climatici è cominciare subito a ridurre le emissioni. […] invito i leader dei paesi ricchi a mettere l’adattamento ai cambiamenti climatici al centro dell’agenda internazionale sulla povertà, e di farlo subito, prima che sia troppo tardi.” Sì perché i problemi della povertà e dei cambiamenti climatici sono le due sfide fondamentali del XXI secolo che la politica deve affrontare.

A questo punto il cambiamento dei nostri comportamenti diventa urgente e indispensabile.

Si. Nell’ultimo secolo abbiamo inquinato tantissimo e nell’ultimo ventennio abbiamo vissuto al di sopra delle possibilità offerte dal pianeta, aumentando la concentrazione dei gas serra e modificando l’equilibrio di Gaia: il pianeta che vive. Ora il clima ci presenta il conto con costi, dei quali pur occorre tener conto altrimenti i cambiamenti non si faranno. Però più tardi si metteranno in atto e peggio sarà sia in termini di spese che in termini di deterioramento ambientale. La città di Londra usa il sistema di protezione antimarea della Thames Barier con una frequenza di utilizzazione divenuta molto più alta di quanto si fosse pensato di usarla in fase di progetto. La desertificazione nel pianeta avanza come sta avvenendo nel Sud-ovest degli Stati Uniti, la scarsità dell’acqua potabile inizia a creare conflitti fra nazioni come in Darfur, mentre gli uragani e le tempeste diventano sempre più forti e frequenti, come l’uragano Katrina, l’inondazione monsonica verificatasi un mese prima a Mumbai, in India, con circa mille vittime, il ciclone Sidr, in Bangladesh che ha costretto alla fuga sette milioni di persone uccidendone tremila. Solo per ricordarne alcuni soprattutto a chi rimuove con leggerezza questi ricordi, quasi rifiutandone l’esistenza perché essi pongono dei problemi. E la gente, si sa, non vuole problemi.

Cosa possiamo concludere?

L’Homo sapiens deve ritrovare la sua saggezza interiore ora che sta toccando i propri limiti. Ora che è in crisi. La sua “bravura” sta nel saper trovare gli stimoli giusti da questa situazione. Ognuno di noi è responsabile del riscaldamento globale e ognuno di noi può cercare di ridurre le proprie emissioni con comportamenti e scelte responsabili. Compito della politica è rendere tali scelte facili e accessibili. Allora ognuno di noi, in quanto votante, può esercitare la propria pressione scegliendo quei partiti che promettono di adottare politiche risolute sulla povertà e sul clima. È opportuno ricordare che in tema di cambiamenti climatici qualsiasi decisione prenderemo la prenderemo anche a nome delle future generazioni che oggi non possono decidere. Pertanto ogni elettore deve assolutamente pensare anche a questo: sta decidendo anche per figli e nipoti. La casa, la nostra casa, l’unica casa che abbiamo, questo granello di sabbia che viaggia vorticosamente nell’universo, la stiamo “bruciando”. Altro che IMU.

Gesualdo, 8 febbraio 2013

Michele Zarrella

Per contatti

zarmic@gmail.com

sito web: digilander.libero.it

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Venerdì 08 Febbraio,2013 Ore: 08:42
 
 
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