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www.ildialogo.org Cronache di disastri annunciati,di Gerardo Troncone

Il rischio frane nell’Irpinia sud-occidentale
Cronache di disastri annunciati

Cosa si è veramente fatto dopo Quindici?


di Gerardo Troncone

Pubblichiamo il primo di 15 articoli che ci ha messo a disposizione l'amico ing. Gerardo Troncone sul tema del dissestro idrogeologico che il 27 settembre scorso è di nuovo venuto alla ribalta nelle nostra vita a Monteforte. Questo è l'ultimo e risale al 2015, ma sembra scritto il 28 settembre 2020, il giorno dopo gli eventi catastrofici del 27 settembre. Ve lo lasciamo senza ulteriori commenti, a mo di informazione e riflessione su quello che si è fatto e soprattutto su quello che non si è fatto e su quello che si dovrebbe fare. Riflettiamoci e rimbocchiamoci le maniche. 2771 cittadini di monteforte vivono in zone dove e a rischio la loro vita. E non possiamo fare finta di niente.

1.
In questi giorni sull’Italia si è abbattuta un’ennesima piaga. Dalla Liguria alla Sicilia la morte è arrivata dal cielo,semplicemente con la pioggia.
È mai possibile che nel terzo millennio il solo apparire di nuvole all’orizzonte debba far temere il peggio del peggio? È mai possibile che il più prevedibile fra gli eventi naturali debba essere vissuto come l’approssimarsi di una guerra, se non peggio?
Di volta in volta per quello che è accaduto si è data la colpa alle mutazioni climatiche, alla Mafia, al governo-ladro, al complotto internazionale. Forse la verità, sotto gli occhi di tutti, è più banale. Se è vero che nell’ultimo mezzo secolo in Italia è stata realizzato oltre il 90% del “patrimonio” edilizio, è altrettanto vero che si è interrotto quasi ovunque quel lungo filmato che rappresenta la storia del nostro territorio… risultato di una continua e ininterrotta antropizzazione (realizzata) da generazioni di uomini che avevano con la terra un rapporto privilegiato, così come si può scoprire in qualche raro borgo del nostro Appennino (Giampiero Castellucci, La memoria del Paesaggio, Teramo 2011).
Dagli anni Sessanta del XX secolo questo rapporto è venuto meno e la terra, per il nuovo modo di vederla, è diventata solo un’opportunità edificatoria. Se questo è vero, la vera causa di quello che accade non sono tanto le piogge e le frane, quanto l’aver costruito senza criterio, dove non si doveva e non si poteva. A questo aggiungiamo pure malapolitica, pessima amministrazione, ecomafia, cultura del disastro. Ognuno ci ha messo del suo meglio (o del suo peggio).
2.
Venendo all’Irpinia, molti hanno relegato negli annali di cronaca la pagina tragica del 5 maggio 1998. Riviviamola.
Dopo due giorni di pioggia continua, dai fianchi del Monte Alvaro si aprono simultaneamente ben quarantacinque frane. Una valanga di fango travolge Sarno e Quindici, lambendo Siano e Bracigliano. Crollano numerose abitazioni, interi nuclei familiari vengono spazzati via. Solo dopo alcune ore la Protezione Civile riesce a raggiungere i luoghi del disastro, bloccati dal fango che intrappola uomini e mezzi. A Quindici, unico centro irpino colpito, il bilancio sarà pesantissimo: decine di morti e feriti, edifici crollati, centinaia di sfollati, economia locale in ginocchio.
L’interrogativo di fondo era ed è: un evento di così vasta portata era all’epoca prevedibile alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche del momento? Quale ne è stata la causa? Come si è realizzato?
La risposta a questi interrogativi è celata nello straordinario paesaggio di gran parte dell’Irpinia sud-occidentale (conca di Avellino, Partenio, Vallo di Lauro, Valle del Sabato), dove un manto continuo di verde intenso e sfumato ricopre monti e colline, e dal quale solo a tratti e nei punti più ripidi emergono banchi fratturati della sottostante roccia calcarea. Eppure questo paesaggio straordinario nasconde pericoli mortali, come sempre fa la Natura per chi non sappia coglierne l’essenza e rispettarne gli equilibri.
L’ambiente naturale di queste zone, dal punto di vista geologico, ha pochi attimi di vita, come forse in nessun altra parte del mondo, tranne che in Islanda e in Dancalia, le mitiche terre dei vulcani. Anche il paesaggio di questa parte dell’Irpinia è in tutto e per tutto figlio dei vulcani.
Partiamo da circa 37.000 anni fa, quando un’apocalittica “nube ardente”- mortale miscuglio di gas e rocce incandescenti - prodotta dall’eruzione esplosiva dei Campi Flegrei, dopo aver risalito impetuosa i monti dell’Irpinia, penetrava in profondità nelle sue valli, sconvolgendone il regime idrografico. L’infernale mistura di gas, dopo aver soppresso ogni forma di vita umana e vegetale, si solidificava rapidamente, dando origine a banchi compatti di tufo, spessi alcune decine di metri.
Questi banchi tufacei si presentavano nella loro parte superiore, compatti, ampi e pianeggianti: la grande eruzione aveva definito l’ubicazione ottimale dei futuri centri abitati e delle vie di comunicazione terrestri e fluviali, costituendo la base del futuro assetto territoriale di tutta l’area investita (la stessa città di Avellino, ad esempio, si sarebbe sviluppata, fino agli anni del primo dopoguerra, ricalcando esattamente i confini del sottostante banco tufaceo).
In epoche successive alla devastante eruzione flegrea si susseguono altri eventi vulcanici, meno tumultuosi e dirompenti, ma comunque di straordinario impatto con l’ambiente preesistente.
Questa volta il centro attivo è l’area del Vesuvio-Monte Somma. Quattro grandi eruzioni fanno sentire i loro effetti anche in Irpinia dove, spinte dai venti, ricadono immani quantità di ceneri e pomici: 18.000 anni fa ha luogo l’eruzione detta di Sarno; 8.000 anni fa quella detta di Ottaviano; 3.600 anni fa quella denominata delle Pomici di Avellino; appena nel 472 d.C. quella ricordata come eruzione di Pollena.
Ogni volta la grande colonna eruttiva del Vesuvio viene spinta dai venti dominanti verso l’Irpinia, dove i materiali più pesanti a mano a mano cadono al suolo, stratificandosi (in Irpinia non si trova traccia della più celebre eruzione di Pompei, che pure fu tra le più devastanti: quella volta infatti i venti non spirarono dal Vesuvio verso il Nord-est delle valli irpine, bensì verso Sud, fino alla Penisola sorrentina e ai monti del Cilento).
A ogni eruzione segue un periodo di stasi, il terreno ricco di sostanze minerali viene ricoperto di boschi e campi coltivati, per poi subire, ciclicamente, altre catastrofi ed altre rinascite. Le ceneri e le pomici delle eruzioni vesuviane non si depositano però solo sul fondo delle valli, com’era avvenuto per il tufo d’origine flegrea.Esse si depositano anche sulle pareti calcaree più o meno scoscese delle numerose alture, alterandone profondamente la morfologia. Da queste pareti le terre del Vesuvio in parte sono state dilavate e trasportate verso il fondo-valle, ma quasi ovunque uno strato sottile resta aderente alle rocce sottostanti.
Ovunque, anche sulle pareti più ripide, nel fertile terreno vulcanico attecchisce rapidamente la vita vegetale. Le radici degli alberi traggono forza e vita dal sottile strato di terra sottostante e nello stesso tempo lo ancorano alle sottostanti rocce calcaree, contenendone o arrestandone il dilavamento, la spaccatura, il crollo progressivo, usuale per queste formazioni. Le alture si ricoprono di faggi e castagni, e la sottostante roccia si intravede, oramai, solo in corrispondenza delle pareti verticali o strapiombanti.
3.
In questo giovane paesaggio che connota tante valli dell’Irpinia, che vive nel sottile equilibrio fra la terra piovuta dal cielo, le bianche fragili rocce calcaree e le tenaci radici dei faggi e dei castagni, a un certo punto però s’inserisce maldestramente l’uomo, e lo sfondo incantato si trasforma nella scena di un incubo. Negli ultimi anni la sequenza degli eventi catastrofici è impressionante: dopo Sarno e Quindici, è la volta di Cervinara, Forino, Monte Fagliesi, fra Contrada e Avellino.
In ognuna di queste località il fenomeno è stato lo stesso: hanno avuto luogo quelle che sono denominate “frane da scorrimento a colata rapida”. Il meccanismo ricorrente di tali frane può essere facilmente schematizzato.
In concomitanza di piogge insistenti e continue, la coltre costituita dai materiali vulcanici si impregna e si appesantisce, più o meno rapidamente, spingendosi verso il limite di un già precario equilibrio. Nel momento stesso in cui si realizza nella parte più alta il pur minimo innesco (cedimento di strade o piazzali, crollo di qualche metro di una parete, apporto di acqua maggiore del solito), si registra il collasso, dall’alto verso il basso, della coltre piroclastica impregnata e appesantita dall’acqua, spesso senza che vi sia stato alcun segno premonitore.
Segue il distacco repentino della coltre superficiale, costituita dal materiale di origine vulcanica, dal sottostante basamento calcareo. A questo punto una vera e propria cascata di fango e detriti vegetali piomba a valle, direttamente o dopo essersi canalizzata nelle incisioni vallive incontrate sul proprio percorso. Scendendo verso valle la frana, oramai evolutasi in colata di fango, si amplifica come una valanga e travolge tutto. Continua la sua corsa anche dopo aver raggiunto il fondo-valle, accumulandosi e arrestandosi solo a notevole distanza dal piede del versante.
4.
Questo è esattamente quello che è successo quel maledetto 5 maggio nelle valli che dal Pizzo d’Alvano si protendono verso il borgo di Quindici, disteso nella valle sottostante.
Ai primi di maggio, la primavera è bella come bella sa essere solo nel vallo di Lauro, dove colline dal manto verde intenso cingono da tre lati una pianura ammantata di rosa e di bianco dei frutteti. La pioggia è precipitata prima debolmente, poi si è fatta insistente, dal primo pomeriggio del 5 maggio si è trasformata in un susseguirsi di scrosci violentissimi.
In un punto lontano, quasi sulla sommità dell’altura, la sottile coltre di terreno vulcanico che ricopre il suolo si è saturata d’acqua, si è appesantita oltre ogni limite, e di colpo stacca dal banco di roccia sottostante. Vengono di colpo giù terra, acqua, rocce, piante. La colata si ingrossa man mano che avanza, travolge tutto, niente può fermarla. Davanti, solo un pugno di case strette fra di loro: il paese di Quindici.
Quasi contemporaneamente, in altri punti del Pizzo d’Alvano si aprono squarci simili, valanghe di fango e detriti irrompono verso il basso, verso le case e le persone. Il paese è colpito al cuore, il fango si mangia la piccola piazza, irrompe nella Chiesa, nel Municipio, ferisce, terrorizza, uccide.
Nello stesso momento, sugli altri versanti del Pizzo d’Alvano si ripetono le stesse scene: a sud e a ovest le colate di fango spezzano in due Sarno, ad Est e Sud-Est vengono colpiti Siano e Bracigliano, la valle di Solfora viene sfiorata di poco.
5.
A Quindici, come a Sarno, si scrive la stessa storia che sempre si scrive in Italia dopo ogni tragedia, la storia che si nutre della cosiddetta cultura dell’emergenza. Dopo giorni di tragica emergenza, di profondo quotidiano disagio, ancora vivi nel ricordo dei tanti colpiti, arriva il momento della ricostruzione, portando con sé quello che siamo da anni abituati a vedere: soldi, speculazione, corruzione, malaffare e criminalità.
Dopo la tragedia, va detto però che passi importanti vengono fatti anche su un’altra strada: la strada di chi vuol conoscere e capire, in nome di una cultura della prevenzione, del tutto antitetica a quella dell’emergenza, che dovrebbe rappresentare l’unica risposta di un paese civile alle tragedie, per quanto grandi e inaspettate esse siano.
Quindici e Sarno, loro malgrado, diventano innanzitutto uno straordinario e irripetibile laboratorio di analisi e ricerca. Dalle mortali colate di fango si traggono teorie tecnico-scientifiche che inquadrano i fatti, i meccanismi, i livelli di rischio, e soprattutto fissano principi utili a prevenire e proteggere per il futuro uomini e cose.
Una prima acquisizione è la dettagliata individuazione geo-morfologica di tutti gli strati di materiali piroclastici depositatisi nelle aree a rischio (che in Irpinia coincidono con la gran parte del territorio collinare e montane d’origine calcarea).
Quindi vengono elaborate cartografie dettagliate utili a individuare natura, caratteristiche fisico-meccaniche, giaciture e spessori delle coltri piroclastiche a rischio; vengono messe a punto teorie utili a determinare l’entità dei volumi di terra in condizioni di mobilitarsi in caso di eventi critici, il loro possibile dislocamento, il loro impatto con l’ambiente circostante e di conseguenza il livello di rischio di ogni singola zona, pervenendo alla realizzazione delle oramai ben note carte della pericolosità; vengono dettate regole per il progetto e la realizzazione di adeguate opere di presidio e salvaguardia, sulla base delle caratteristiche geometriche dell’area interessata, degli impluvi presenti, della distribuzione spaziale e stratigrafica delle coltri piroclastiche, delle coperture vegetali, dei valloni, della presenza di elementi critici (strade, tagli di versante, fratture, discontinuità morfologiche,ecc.).
Soprattutto - ed è uno dei risultati più significativo degli studi intrapresi – viene finalmente individuata in modo inoppugnabile la relazione matematica che lega l’entità delle precipitazioni piovose alla probabilità d’innesco dell’evento franoso, in base alla quale è sufficiente acquisire, con i tradizionali metodi della pluviometria e meteorologia, attendibili previsioni sulla pioggia, per poter prevedere e quindi prevenire gli eventi franosi.
Applicando a ritroso queste teorie, si scopre che Sarno e Quindici in passato erano più d’una volta arrivate sull’orlo di una tragedia identica a quella del 5 maggio del 1998. Difatti, sulla base dei dati delle vicine stazioni pluviometriche, è stato possibile determinare data e ora in cui la catastrofe è stata sfiorata, nonché il residuo margine di sicurezza. Semplificando al massimo l’esposizione dei dati, assunto pari a 1 un parametro oltre il quale si supera la soglia di stabilità e si innescano le frane, è a dir poco sconvolgente leggere il prospetto che segue, relativo alla zona di Sarno (sostanzialmente analoga a quella di Quindici, come la contestualità degli eventi di maggio ‘98 ha drammaticamente dimostrato): il 18 febbraio 1964, alle ore 22, si era arrivati al valore di 0,91; il 1° dicembre 1971, alle ore 18, si era arrivati al valore di 0,93; il 1° gennaio 1973, alle ore 20, si era arrivati al valore di 0,97; il 17 novembre 1985, alle ore 10, si era arrivati al valore di 0,89; il 10 gennaio 1997, alle ore 6, si era addirittura arrivati al valore di 0,99.
Arriviamo al fatidico 5 maggio del 98: alle ore 14 si registrava il valore di 1, che corrispondeva al valore della soglia oltre la quale si poteva scatenare la catastrofe. Quella catastrofe che si è ineluttabilmente scatenata. Pur nella scontata sommarietà, si vede come, pur essendosi avvicinati più volte a meno di un soffio dalla tragedia, nessuno abbia mai compreso, se non col senno di poi, la gravità e la vastità di quanto poteva accadere o che sarebbe di lì a breve accaduto.
6.
Sarno e Quindici, col loro dramma, hanno però segnato un momento di svolta, costituendo un vero e proprio spartiacque fra l’assenza di ogni ricerca specifica sul fenomeno delle frane per colata rapida di fango e l’avvio di un’analisi scientifica utile e seria in materia.
Dopo un decennio o quasi di letargo, fra liti di bottega e spartizioni politico-clientelare, dalla Regione Campania sono state messe in moto le cosiddette Autorità di Bacino, preposte alla salvaguardia dal rischio idrogeologico. Sono state anche apprestate le prime cartografie ufficiali delle zone a rischio, il cosiddetto Piano straordinario, approssimativo e impreciso quanto si voglia, ma che proietta una luce inquietante sulla situazione in atto. È seguito il cosiddetto Piano stralcio, redatto fra mille resistenze e difficoltà, ma di buona attendibilità, ed è questo ancor oggi un documento che dovrebbe rappresentare un punto fermo per qualunque intervento sul territorio, dal tracciamento di un piccolo sentiero alla redazione degli strumenti urbanistici.
Permane però nella classe politica, oggi più che mai, l’indifferenza quasi totale al problema, a volte per semplice ignoranza, più spesso per colpevole malafede. è stata ancora una volta la cultura dell’emergenza a spuntarla sulla cultura della prevenzione.
Dobbiamo pur chiederci – dopo Quindici e Sarno - cosa si sia fatto per evitare, a oltre 8-9 anni di distanza - i fatti di Cervinara, di Forino, di Avellino.
Va detto a chiare lettere che se è vero, come è vero, che gran parte delle cognizioni tecnico-scientifiche in materia non era disponibile nel ‘98 (salvo studi di nicchia relegati nei recinti della pura accademia), è pur vero che alla data dei successivi eventi catastrofici di Cervinara, Forino, Avellino le conoscenza acquisite erano ben sufficienti a “prevevedere, prevenire ed evitare”.
Sarebbe stato sufficiente acquisire in tempo reale, con i semplicissimi metodi della pluviometria, i parametri di pioggia (intensità e durata) e relazionarli con la morfologia delle singole zone, per poter scongiurare i danni più gravi, in particolare la perdita di vite umane.
Sarebbe stato poi certamente possibile, grazie alle cartografie disponibili, informare correttamente la popolazione residente nelle zone a maggior rischio e prevederne l’allontanamento quanto meno temporaneo.
In fondo non dimentichiamo, per chi fa spallucce ed elargisce sorrisi di compatimento, che nella carta ufficiale degli Scenari di Rischio del Piano stralcio sono capillarmente indicate le famigerate ZONE ROSSE, la cui didascalia suona lugubre e inquietante come non mai:
AREE A RISCHIO MOLTO ELEVATO, nelle quali sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche.
Tutto ciò in caso di pioggia più intensa, non di terremoto o di guerra nucleare!
Come non chiedersi se si doveva e poteva fare qualcosa, prima che le montagne si liquefacessero crollando giù, a Cervinara, Forino, Avellino? La vita degli uomini vale meno di qualche millimetro di pioggia? Un solo morto non basta? Quanti ce ne vogliono? È sempre la natura matrigna a colpire? Infine e non ultimo, c’è un giudice a Berlino?
7.
Concludiamo tristemente con quello che (non) si fa oggi e con quello che si annuncia per un domani forse non tanto lontano.
Come detto, oggi – e in questo senso almeno le morti di Sarno e Quindici non sono occorse invano – si sa perfettamente cosa fare per prevenire e fronteggiare gli eventi: delocalizzazione degli edifici ubicati nelle zone a rischio, opere di presidio e canalizzazione delle acque, controllo rigoroso delle attività umane, informazione corretta alla popolazione, istituzione di presidi di vigilanza e quant’altro. È quanto già si fa da tempo in alcune aree, che però sono esclusivamente quelle ove già si sono manifestati dei fenomeni di dissesto (il primo pensiero corre a Santa Chiara, ma comunque questo è già meglio di niente).
Chiediamoci se da parte di chi dovrebbe e potrebbe fare qualcosa sia stato almeno abbozzato un quadro dei cittadini esposti a perdere vita e beni in caso di pioggia intensa. Chiediamoci se questi cittadini, trattati dai politicanti come figli di un Dio minore, siano stati correttamente informati del rischio. Chiediamoci perché quasi ovunque si faccia poco o niente, con l’alibi pappagallesco che mancano i fondi (per l’informazione, almeno per quella, non è che occorrano tanti soldi, magari basta una piccola frazione di qualche tangente). Chiediamoci di nuovo: c’è un giudice a Berlino?
Né ci consoli pensare che quanto avviene in Irpinia sia solo parte di un più vasto e “infermo” imprevedibile e incontrollabile quadro nazionale.
Qui come altrove sono le tante negligenze sommate insieme a comporre il quadro complessivo di un territorio che, dalle Alpi liguri ai Monti Nebrodi, dovremmo solo vergognarci di consegnare alle future generazioni.

 
Gerardo Troncone
Rivista dell’Ordine degli Ingegneri - 2015

 
Legenda:
1 Ignimbrite campana
2 Nube ardente
3 Eruzione del Vesuvio
4 Aree investite dalle ultime eruzioni del Vesuvio
5 Paesaggio tipico dell’Irpinia sud-occidentale
6 Schema di frana per colata rapida
7 Alcune frane a Quindici
8 Frana di Monte Fagliesi (Contrada – Avellino)
9 Frana fra Monteforte e Forino
10 Planimetria dei depositi piroclastici sui monti di Quindici
11 Planimetria della aree a rischio frana nella zona sud di Avellino
12 Planimetria dei depositi piroclastici sui monti di Sarno



Mercoledì 07 Ottobre,2020 Ore: 19:30
 
 
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