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www.ildialogo.org Trieste: la giunta comunale e il regolamento delle scuole dell’infanzia,di Augusta De Piero

Trieste: la giunta comunale e il regolamento delle scuole dell’infanzia

Succede a Trieste ma l’abuso dei soggetti che non possono difendersi non si ferma ai confine delle province. Meglio prevenire


di Augusta De Piero

10 novembre 2018 - Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autrice che ringraziamo, dal suo blog http://diariealtro.it/?p=6203
Fra logica negata e incompetenze linguistiche: la giunta del comune di Trieste vs scuole dell’infanzia
Quanto scriverò fa capo a vari articoli che ho letto, che ognuno potrà leggere servendosi dei link in calce che inserisco senza annotazioni punto per punto.
Comunque, tentando di riassumere, comincio dal ‘grembiulino’ che viene proposto come indumento già utilizzato da anni negli ‘asili’e rivisitato ‘quale elemento di appartenenza alla singola scuola’.
Al di là della appartenenza alla scuola (ma che brutta parola “appartenenza”) se ne verranno distinti i colori maschio/femmina si porrà già una solida pietra per costruire una possibile educazione che apre alla distinzione gerarchica di ruoli per i due sessi.
E passo a un elemento ben più importante, se possibile: la denominazione, in altre parole un nome che è identità.
Dai tre ai sei anni ogni bambina e ogni bambino può essere iscritta/o alla scuola dell’infanzia, mentre l’intollerabile termine asilo si trova ancora in parecchie delle fonti che ho considerato, ricollocando la proposta educativa offerta all’infanzia nei tempi in cui questa era beneficenza per i piccoli che non avessero possibilità di venir accuditi a casa.
Segue il limite numerico di stranieri per classe (30%) che potrebbe essere un elemento di positività se poi i bambini cui questa misura desse disagio, per esempio per l’impossibilità di iscriversi alla più vicina scuola dell’infanzia, non venissero sistematicamente identificati fra gli ‘stranieri’.
Se fosse una proposta riferibile a una razionalità rispettosa e consapevole si potrebbe anche dire a rovescio, “in ogni classe i bambini italiani non possono superare il 70% delle presenza”.
E qui casca l’asino: che collocazione trovano i piccoli nati in Italia da genitori di altra cittadinanza?
Sul loro certificato di nascita – e sul documento di identità che ne consegue – c’è scritta la cittadinanza dei genitori, ma questi piccoli spesso parlano correntemente la lingua italiana e non costituiscono quindi ostacolo a una buona didattica.
Se la cittadinanza li esclude allora il principio di collocazione fra gli ‘stranieri’ assume caratteri razzisti (chiedo scusa: etnici). Se invece vengono collocati fra gli italiani si contraddice la formula prevista nel regolamento. Che fare?
Un aiuto potrebbe venirvi per definire la dicotomia dall’asino di Buridano.
La logica, signori amministratori del comune di Trieste, sfugge alle misure etnicamente orientate, la briccona!
Infine una proposta che in tempi meno caratterizzati da un analfabetismo funzionale diffuso avrei considerato una bufala ma sembra invece che non lo sia (la traggo da una comunicato Ansa il cui link si trova in calce) : l’insegnamento della religione cattolica quale principio fondante l’attività nelle scuole dell’infanzia.
Chi ha steso il regolamento si rende conto della improprietà del termina ‘lezione’ per quella età della vita e della foglia di sciocco fico della regolamentazione dell’avvalersi/non avvalersi e dell’uso del silenzio assenso?
Purtroppo nell’ambito dei principi ‘fondanti l’attività’ viene inserito anche il crocifisso previsto in tutte le aule della scuola pubblica dell’infanzia pur non essendo più considerato dal Concordato del 1984.
Personalmente ritengo che l’uso del crocifisso come strumento d’arredo utile per affermare una identità esclusiva sia blasfemo. Finora persino il Ministro che ha sventolato nell’ordine: rosario, Vangelo, statuetta della Madonna di Medjugorje, si è astenuto dal crocifisso. Un soprassalto di decenza? durerà? Vedremo
Lasciate perdere il crocifisso signori del consiglio comunale di Trieste, non merita tanto insulto nemmeno da non credenti che – in anni trascorsi – si chiamavano ‘atei devoti’ e ora non so.
L’opportunismo non appartiene al crocifisso.

ansa.it

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Non abbandoniamoci alla speranza di una insorgente saggezza: la decisione finale spetta al Consiglio comunale e qui la scelta teologica da affermarsi o meno in luogo improprio verrà affidata alla conta di molti incompetenti in materia (non tutti ma quanti?).



Sabato 10 Novembre,2018 Ore: 16:40
 
 
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