Inceneritori
Come funzionano gli incentivi CIP6

Incentivi CIP 6
Il Gestore Servizi Elettrici compra ad un prezzo maggiorato l'elettricità prodotta dagli inceneritori, in quanto in Italia è ritenuta "energia assimilata alle rinnovabili", contrariamente alle disposizioni europee in materia.

Per quanto riguarda gli incentivi CIP 6 (circolare n° 6/1992 del Comitato Interministeriale Prezzi), chi gestisce l'inceneritore ? per otto anni dalla sua costruzione ? può vendere al GSE (la società cui è affidato il compito di assicurare la fornitura di energia elettrica italiana) la propria produzione elettrica a un costo circa triplo rispetto a quanto può fare chi produce elettricità usando metano, petrolio o carbone.[37] L'importo di questo incentivo è aggiornato trimestralmente e, se nel 3° trimestre 2007 era di circa 54 ?/MWh, per il 4° trimestre è cresciuto a 62,60 ?/MWh. Per il 3° trimestre
2008 l'importo è salito a 68,77 ?/MWh.[38] I costi di tali incentivi ricadono sulle bollette degli utenti, che comprendono una tassa per il sostegno delle fonti rinnovabili. Ad esempio nel 2004 il Gestore Servizi Elettrici ha ritirato 56,7 TWh complessivi di elettricità da fonti "rinnovabili", di cui il 76,5% proveniente da termovalorizzatori e altri fonti assimilate (fra cui il gas dai residui di raffineria), spendendo per questi circa 2,4 miliardi di euro;[39] per il già citato inceneritore di Brescia, la società di gestione (ASM SpA, oggi A2A SpA) ha ricevuto contributi CIP 6 per circa 71 milioni di euro nel 2006 e 78 milioni nel 2007.[40]

A titolo di confronto, nel
2006 a seguito dell'introduzione degli incentivi in conto energia per il fotovoltaico sono stati stanziati solamente 4,5 milioni di euro per 300 MW di potenza.[41]

Sempre il CIP 6 prevede inoltre che gli impianti incentivati godano di un innalzamento della tariffa riconosciuta dal GSE per compensare eventuali spese aggiuntive per l'attuazione del protocollo di Kyoto, annullando così del tutto i benefici della riduzione delle quote gratuite di emissione da
28 a 3,5 Mt/a di CO2 prevista dal Piano nazionale di assegnazione delle emissioni (Pna) 2008-2012, attualmente in fase di approvazione, e rischiando perciò di comprometterne l'intero impianto, giacché gli impianti CIP 6 sono il settore su cui si concentra la gran parte delle riduzioni.[42]

Certificati verdi
Si tratta di certificati che corrispondono ad una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili (petrolio, gas, carbone ecc.) perché "da fonti rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere a industrie o attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.

Il prezzo dei certificati verdi è stato pari a circa 125 ?/MWh nel 2006.
Poiché gli impianti di incenerimento venivano in Italia considerati come "da fonte rinnovabile", le società che li gestiscono sono fra quelle che possono vendere i certificati verdi, ottenendo quindi questo ulteriore tipo di finanziamento.

Il parere dell'UE e la norma italiana
La Commissione Europea ha contestato gli incentivi concessi dalla normativa italiana alle fonti "assimilate" alle rinnovabili, fra cui la combustione della frazione non biodegradabile dei rifiuti negli inceneritori.
In realtà, secondo la normativa europea, solo la parte organica dei rifiuti potrebbe essere considerata rinnovabile; la restante parte può essere considerata esclusivamente una forma di smaltimento del rifiuto, escludendo esplicitamente la valenza di "recupero".[43]

Pertanto, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici considerandoli "fonte rinnovabile".
A tal proposito già nel 2003[44] il Commissario UE per i Trasporti e l'Energia, Loyola De Palacio, in risposta a una interrogazione dell'On. Monica Frassoni al Parlamento Europeo, ha ribadito l'opposizione dell'Unione Europea all'estensione del regime di sovvenzioni europee previsto dalla Direttiva 2001/77 per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili all'incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del Commissario all'energia: «La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
 mercato interno dell'elettricità
, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile». Il fatto che una legge nazionale (v. art. 17, D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387.) includa, nell'atto di recepimento italiano della Direttiva 2001/77, i rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili, ivi compresi i rifiuti non biodegradabili non elimina l'infrazione alla normativa europea, rendendola invece certa e palese.

Chi difende tale impostazione si richiama a una norma della direttiva comunitaria 2001/77/CE apparentemente in contraddizione con le direttive europee nel campo, la quale autorizza in deroga l'Italia a computare l'elettricità prodotta dalla quota non rinnovabile dei rifiuti nel totale dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili ai fini del raggiungimento dell'obiettivo del 25% di produzione rinnovabile nel 2010: proprio questa deroga nel 2006 è stata attaccata in sede di Parlamento europeo coll'emendamento (articolo 15 bis) alla legge Comunitaria 2006.[39].

Eliminando gli incentivi agli inceneritori, si vuole ristabilire un equilibrio di trattamento tale da consentire la piena applicazione della strategia integrata di smaltimento dei rifiuti; a tale esigenza fa riscontro la necessità secondo alcuni di aumentare l'incenerimento in Italia

A tale disputa si contrappone quella fra chi ritiene gli inceneritori antieconomici e chi li ritiene vantaggiosi e minimizza il ruolo degli incentivi, dicendo che il guadagno principale degli inceneritori con recupero di energia deriva dallo smaltimento dei rifiuti e non da tali incentivi: posizione apparentemente smentita dall'intensa attività di pressione politica esercitata sul Parlamento in merito alla cancellazione degli incentivi nella finanziaria 2007. Il testo dibattuto ed approvato in Parlamento, per eliminare l'infrazione alle norme europee, escludeva tutte le fonti "«assimilate»" dagli incentivi alle rinnovabile, concedendo una deroga solo agli impianti «già in funzione», mentre il testo del «maxi-emendamento» approvato con la fiducia ha concesso una ulteriore deroga a tutti gli impianti anche solamente «autorizzati» senza che questa dicitura fosse stata concordata fra le parti.[45] Per regolamentare la questione il 7 febbraio 2007 è stato presentato dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge (n. 1347) passato all'esame delle Commissioni Industria e Ambiente del Senato e finalizzato a limitare gli incentivi «ai soli impianti realizzati e operativi» come originariamente previsto dalla finanziaria 2007.[46] La norma è stata infine approvata nella finanziaria 2008 ma nei fatti rimessa ampiamente in discussione dal Decreto 113 del 30 giugno 2008 che riapre i termini delle autorizzazioni "in deroga".[47] Sono 129 gli impianti che attualmente beneficiano del CIP 6; per 29 il periodo di incentivazione è già scaduto. Gli impianti autorizzati ma non operativi sono 16, di cui 11 sono termovalorizzatori di rifiuti, tra cui gli inceneritori di Torino e di Roma, 4 impianti in Sicilia, 2 impianti in Campania (fra cui Acerra). In ogni caso, il totale degli incentivi CIP 6 erogati si ridurrà progressivamente fino a esaurirsi nel 2015, o al più tardi nel 2021.[37] A seguito di ciò il costo dell'incenerimento dei rifiuti dovrebbe nel tempo aumentare di circa 50 ?/t, facendo diventare decisamente più conveniente il riciclaggio, ma anche la discarica.[48]


Mercoledì 10 Dicembre,2008 Ore: 14:12