Fratelli maggiori o «perfidos judeos»*?

di prof. Mario Castellano

A proposito della rovente polemica tra il mondo ebraico e quello cattolico in merito ad espressioni contenute nel messale latino ripristinato dall'attuale pontefice dopo un periodo di eclissi postconciliare, pubblichiamo questa nota inviataci del giurista cattolico prof. Mario Castellano.
Questo articolo è stato ripreso dal sito www.islam-online.it
 
I fatti sono noti: l’attuale Papa ha modificato le norme riguardanti la possibilità di celebrare la Messa in latino secondo il rito tridentino, facilitando l’uso della liturgia di San Pio V, che tuttavia non era mai stata proibita dopo la riforma conciliare.
Tuttavia, fin da prima che venisse introdotto l’uso della lingua volgare, Giovanni XXIII aveva espurgato dal rito del Venerdì Santo le espressioni ostili agli Ebrei, cioè la preghiera contro i “perfidos judeos”.
Rimangono tuttavia nel messale in latino, il cui uso torna a diffondersi per motivi che nulla hanno a che vedere con l’antisemitismo, alcune espressioni che i nostri fratelli Israeliti ritengono ugualmente offensive nei loro confronti, e di cui ci uniamo a loro nel richiedere l’abolizione.
Da parte nostra ci associamo modestamente a questo auspicio, dato che tutto quanto è di ostacolo alla reciproca comprensione tra le diverse religioni deve essere rimosso, sempre che non intacchi le verità essenziali della Fede.
La preghiera che si chiede di abolire è una invocazione a Dio perché “illumini” gli Ebrei, facendo loro ammettere che Gesù Cristo era il Messia: esito questo oltremodo improbabile, dal momento che essi persistono nella loro religione proprio in quanto negano questo assunto.
Tuttavia, se anche l’auspicata modifica della liturgia cattolica preconciliare eliminerebbe una asserzione che lede la sensibilità di quanti professano una religione diversa, rimarrebbe tuttavia un problema irrisolto: infatti i Cristiani, quand’anche smettessero di pregare per la conversione degli infedeli, non smetterebbero mai di ritenere che la propria religione sia quella giusta, e lo stesso vale per gli Israeliti, per i Musulmani e per i seguaci di ogni altra fede.
Le nostre divisioni non si possono ridurre alla stregua di normali divergenze su questioni opinabili, perché si originano in ciò che consideriamo rivelato da Dio, di cui non spetta agli uomini mettere in discussione la Parola.
Quand’anche dunque tutti indistintamente i Cristiani riuscissero ad essudare ciò che rimane in loro del pregiudizio antisemita, essi continuerebbero a credere nel Nuovo Testamento come parte integrante della Rivelazione: penserebbero cioè sempre che gli Ebrei commettono un errore nel rifiutarlo; la posizione degli Israeliti è però specularmene inversa rispetto alla nostra, e dal loro punto di vista sbagliamo noi quando consideriamo un rabbino eretico come il Messia.
Le religioni si basano dunque sempre e comunque su verità reciprocamente incompatibili ed escludenti.
Siamo dunque condannati a combatterci in eterno?
Assolutamente no, e questo per tre motivi.
Il primo di essi consiste nel fatto che – secondo la nostra religione – non si salva soltanto chi crede in essa, ma anche chi, non credendo, è in buona fede.
San Paolo dice che quanti sono in buona fede “in novissima tuba resurgent”: questo vale per gli Israeliti, per i Musulmani ed anche per gli atei, sempre che essi possano affermare con sincerità, a proposito della fede, “quaesivi et non inveni.”
Esiste poi, accanto al terreno essoterico su cui si muovono le religioni positive, quello esoterico, quello delle società iniziatiche tradizionali, nelle quali si possono ritrovare tutti coloro che credono in Dio, prescindendo dalla loro adesione o meno all’una o all’altra religione positiva.
Gli iniziati cercano la visione di Dio attraverso il raggiungimento di una condizione spirituale superiore, e se anche le Tradizioni che costituiscono il loro cammino verso una simile meta sono diverse, non si da tra esse quella contrapposizione che esiste nell’essoterismo tra le varie confessioni.
Ciò che conta, nell’esoterismo, è la meta comune che si raggiunge, non la strada percorsa per arrivarvi.
Il paragone più efficace è quello con le diverse cordate di alpinisti che si arrampicano su varie pareti, ma pervengono infine tutte alla vetta di una stesa montagna.
Nella iniziazione, dunque, la differenza tra le confessioni religiose non conta.
Esiste però anche una possibilità di collaborazione tra le varie fedi “telles quelles”, diversa da ciò che possono fare individualmente i fedeli.
Il mondo moderno è in crisi perché è in crisi l’autorità, e questo ci fa oscillare tra una completa anarchia, un “bellum omnium contra omnes” ed un autoritarismo che sa imporsi soltanto con mezzi repressivi.
Qualcuno ritiene che da questa crisi si esca mediante una sacralizzazione dell’autorità.
Se però questa sacralizzazione consistesse nell’investitura conferita da un particolare potere religioso, si riaprirebbe la strada verso una emarginazione, se non verso una persecuzione dei diversamente credenti, ed allora non soltanto si perderebbe il principio della eguaglianza tra gli uomini, ma si aggraverebbe anche irrimediabilmente il conflitto tra le religioni.
Ciò che può risolvere la crisi del potere nel mondo moderno non è dunque la sacralizzazione del potere, bensì la sacralizzazione della responsabilità che l’esercizio del potere comporta.
Questo conferimento sarebbe dunque efficace soltanto se provenisse concordemente da tutte le religioni, che superebbero in tal modo sia la possibilità di scontrarsi tra di loro, sia la giustificazione fornita espressamente o implicitamente ad ogni conflitto tra gli uomini.
In una simile impresa comune risulterebbe inoltre tanto maggiore l’apporto di quelle fedi che non hanno conosciuto la brusca ed irrimediabile rottura che ha subito la Tradizione nel mondo occidentale sia per effetto della Rivoluzione Francese, sia per effetto della fine nel 1918 di quanto restava dell’eredità dell’Impero: fu proprio in quel momento che Karl Kraus parlò non a caso de “Gli ultimi giorni dell’umanità”.
Una utopia? Forse, ma se ci sforzassimo tutti per realizzarla ne trarremmo certamente più profitto che dagli incidenti diplomatici tra le varie confessioni, motivati magari dalle parole di questa o quella particolare orazione. 
 * "perfidos" che in latino, sarà utile ricordarlo, non ha il significato che ha assunto in italiano. Significa infatti che "sono deviati nella fede" (ndr)


Giovedì 27 Novembre,2008 Ore: 14:18