SULLO E IL BORGHESE:

di Nino Lanzetta

La più scandalistica campagna del fango di un giornale di destra degli anni sessanta contro un Ministro riformista che voleva l’apertura ai socialisti.


 Il Borghese è stato uno dei periodici italiani più famosi degli anni sessanta / settanta. Ha rappresentato un punto di riferimento autorevole della cultura della destra in Italia. Fondato da Leo Longanesi a Milano il 15 marzo del 1950 fu nei primi due anni un quindicinale, trasformandosi, poi dal 1952, in settimanale. Riscosse da subito un buon successo editoriale. Nel 1957 la redazione fu portata a Roma. Primo Direttore, nonché comproprietario della testata, fu Leo Longanesi. Dal 1957 la Direzione passò al giornalista Mario Tedeschi, che rimase direttore responsabile fino alla sua morte, che avvenne nel 1993, che comportò anche la chiusura del giornale. Il settimanale riprese le pubblicazioni nel 1997, sotto la direzione di Daniele Vimercati, che venne sostituito da Vittorio Feltri nel 1998. Dal 1999 fu diretto dal figlio del mitico direttore Tedeschi, Claudio, anch’egli giornalista.
Al settimanale collaborarono giornalisti del valore di Montanelli, di Prezzolini, del giovane Spadolini, di Ansaldo. Dal sesto numero cominciò a collaborare Mario Tedeschi che, alla morte di Longanesi avvenuta nel 1957, ne divenne il Direttore. Con Tedeschi entrò al giornale come capo redattore Gianna Preda che ne doveva diventare una colonna portante e la “persecutrice” tenace e cinica di Fiorentino Sullo che, ben presto, insieme a molti altri politici di sinistra, doveva finire sotto la ghigliottina del giornale con articoli, pettegolezzi, maldicenze, critiche e insinuazioni che si ripetevano ogni settimana. Il periodico ebbe un successo crescente e rimase in edicola fino alla morte di Tedeschi che avvenne nel 1993. Gianna Preda era morta nel 1981. Da allora il settimanale ha avuto vita travagliata con sospensioni e rinascite. Nel 1997 tornò nelle edicole con la direzione di Daniele Vimercati e successivamente di Vittorio Feltri. Dal 2007 uscì come mensile ma ebbe scarso seguito e successo. Oggi è un periodico che esce di tanto in tanto sotto la direzione del figlio di Tedeschi, ma senza alcun peso politico o culturale ed è pochissimo letto. Negli anni settanta, invece, è stato un punto di riferimento della destra conservatrice qualificandosi politicamente e culturalmente come area di destra, vicina al MSI. Nel 1972 Tedeschi fu eletto senatore del MSI.
Il Borghese non ricalcava le sembianze del rotocalco, del quale non aveva né la forma né l’impaginazione. Non pubblicava fotografie né disegni se non – a partire dal 1958- l’inserto fotografico messo al centro del giornale, che divenne uno dei suoi punti di forza e uno dei suoi tratti più distintivi. Le foto, infatti, spesso erano irridenti ed equivoche e sbeffeggiavano i malcapitati con satira violenta e maligna. Anche i disegni della copertina erano elaborati con un procedimento speciale ed innovativo. Veniva usata carta comune, color giallo canarino, che ne facevano un giornale particolare ed innovativo per quei tempi. Mario Tedeschi, divenne, in breve tempo, un mitico direttore per trentasei anni facendo avere al giornale un grande successo di lettori e facendolo diventare un punto di riferimento della cultura di destra. Insieme con la giornalista Gianna Preda costituirono, per anni un binomio indissolubile, sul quale poggiava gran parte della fama del giornale, che pure si avvantaggiava di firme eccellenti nel campo del giornalismo e della cultura di destra, che in quei tempi era interpretata politicamente dal Movimento sociale e dal partito monarchico. Al giornale collaboravano eccellenti giornalisti come Alberto Giovannini, Piero Buscaroli, Giovanni Ansaldo, Giane Accame, Giuseppe Prezzolini.
Il giornale fece una grande battaglia contro la partitocrazia, una degenerazione anche allora molto diffusa, e soprattutto contro la sinistra, dai socialisti ai comunisti e non solo ma anche contro coloro, che pur non essendo “social –comunisti” come allora venivano chiamati, manifestavano idee riformatrici e interessi per il mondo del lavoro e lo stato sociale. Anzi contro di loro, la cosiddetta sinistra democristiana, si lanciarono - per tutti gli anni del successo del settimanale, violentissimi strali. Uno dei bersagli preferiti del giornale insieme a Fanfani, Moro, Donat Cattin fu l’allora emergente Ministro democristiano Fiorentino Sullo.
Il settimanale aveva lettori fedeli e impegnati in politica e nella società civile, per i quali le battaglie contro i politici di “sinistra” continuavano in periferia e trovavano linfa nelle polemiche che, quasi settimanalmente, il Borghese riservava loro. Si crearono circoli del Borghese e l’attività giornalistica si fondeva con quella politica. In quegli anni quello del Borghese fu un tentativo – anche se più modesto nella quantità e nella qualità- di contrapporre alla organizzazione comunista della cultura marxista un paritetico impegno politico di quella parte della cultura e degli intellettuali che si rifacevano ai valori della destra conservatrice e perfino autoritaria. Punti di forza del settimanale erano le inchieste, l’inserto fotografico e le lettere di Gianna Preda, il nome più illustre del settimanale accanto a quello di Tedeschi.
Tedeschi – che fu anche parlamentare- schierò politicamente il giornale con il Movimento sociale italiano e, dopo la scissione, con Democrazia Nazionale. Nel 1981 moriva Gianna Preda ed il giornale non fu più lo stesso e nel 1993, quando moriva anche Mario Tedesco, il settimanale sospese le pubblicazioni. Nei momenti d’oro, quando c’erano articoli, notizie, pettegolezzi e fotografie su Sullo, in Irpinia il giornale andava a ruba anche se veniva letto in privato e non veniva mai esibito nelle continue passeggiate lungo il corso di Avellino dove i commenti alle notizie del settimanale erano d’obbligo e duravano fino alla prossima uscita. Non si poteva mai sapere: in Irpinia ci si conosceva un po’ tutti e le notizie correvano veloci ed arrivavano al potente ministro! In quegli anni la battaglia politica era più forte di oggi e la battaglia giornalistica altrettanto violenta ed impietosa come lo è ancora oggi. I pettegolezzi assumevano spesso gli onori della cronaca; si sguinzagliavano reporter e fotografi in giro per l’Italia; si spulciavano atti e provvedimenti di personaggi vicini ai politici che si volevano colpire e si scriveva di tutto e di più. A Fiorentino Sullo era dedicato grande spazio e rilievo e un paio di redattori erano messi alle sue calcagna, a tempo pieno, per raccogliere notizie, pettegolezzi, inciuci.
OO o OO
Le annate del settimanale, che prendiamo in considerazione per tratteggiare la linea dell’offensiva contro Fiorentino Sullo, sono quelle del 1960/1964: gli anni di maggior splendore della carriera politica del Ministro. In quegli anni Fiorentino Sullo era il politico che, sulla scia di un “cavallo di razza” quale era Amintore Fanfani, rappresentava una delle menti più lucide del partito che tracciava il più organico progetto riformatore che si richiamava al cattolicesimo democratico, e che era in grado di competere con quello dei partiti di sinistra, dai socialisti agli stesi comunisti. Il riformismo sulliano che si raccordava alle tesi dei vari Saraceno, Vanoni, La Malfa, trovava resistenze ed ostilità nelle correnti più conservatrici del partito (i dorotei), nei partiti di destra e in molti ambienti della Chiesa cattolica. Il cardinale Ottaviani coniò per lui il famoso epiteto “comunistello di sagrestia”, che gli restò appiccicato addosso per tutta la vita. Le leggi sul lavoro, sulla Previdenza e sulla Cassa mutua lo avevano già reso famoso. L’essersi recato a Torino per stare accanto agli operai in sciopero, nel Natale del 1960, quando era ministro del Lavoro del III Governo Fanfani, avevano chiaramente indicato all’opinione pubblica da che parte stava. Ma se da un lato la sua attività politica e legislativa gli faceva acquisire maggior consenso popolare, che si traduceva in termini di voti, dall’altro la sua coerente e graduale azione riformatrice gli attirava maggiori antipatie da parte delle forse conservatrici e reazionarie, non solo della destra ma anche dai liberali e da una parte della stessa Democrazia cristiana. Nel 1960, nominato, per la prima volta, ministro dei trasporti nel Governo Tambroni non esitò un minuto (e ben prima dei sanguinosi fatti di Genova) a dimettersi dall’incarico insieme con gli altri due ministri della sinistra democristiana, Bo e Pastore, perché il governo aveva ottenuto la fiducia con i voti determinanti del Movimento sociale italiano.
Nel 1962 era Ministro dei lavori pubblici nel IV Governo Fanfani, confermato nel 1963 nel I Governo Leone. E fu proprio la Legge urbanistica che Sullo aveva preparato che gli costò il posto di Ministro, avversato in modo irragionevolmente violento all’interno del suo stesso partito. Moro, allora segretario del partito, che pur condivideva lo spirito della legge, fu costretto a scaricarlo. La reazione dei proprietari d’immobili fu vigorosa. Il Borghese fu il settimanale che cavalcò, ingigantì e sfruttò le proteste per distruggere, anche nella vita privata, un avversario politico di prima grandezza. Questi erano i tempi nei quali si sviluppò, per la prima volta in grande stile la macchina del fango che doveva diventare famosa negli anni del berlusconismo a cura di un giornale di destra. Si imbastì la più vergognosa campagna diffamatoria di inusitata violenza, alimentata da elementi legati alla grossa proprietà fondiaria e ingigantita dal giornale che tutte le settimane riportava notizie, pettegolezzi, insinuazioni, malignità, foto ritoccate che si prestavano a facili equivoci. La sua vita privata fu rivoltata come un calzino e il pettegolezzo più becero e privo di fondamento sbattuto in prima pagina. Il Borghese fu uno dei pochi giornali, sicuramente il più violento, che sulla presunta diversità del Ministro ne fece un punto stabile della sua battaglia contro. La giornalista Gianna Preda, ne fu l’ispiratrice e la più spietata e cinica esecutrice. Eppure la vita del Ministro, al confronto di come vivono oggi i politici, era di una esemplarità francescana e vissuta cristianamente, lontano da scandali, fuori dai salotti, avventure, cene a ostriche e champagne.
Ma chi era Gianna Preda? E’ stata sicuramente la giornalista più pungente, polemista incallita degli anni sessanta/settanta. Era la Maxwell del giornalismo italiano. Irriverente e sprezzante verso i potenti specie socialisti, comunisti e democristiani di sinistra. Una Oriana Fallaci ante litteram, più passionale e meno “aristocratica” per la frequenza agli ambienti bene, di una Camilla Cederna. Per il resto fu una giornalista autentica ed originale, che faceva dello scoop il suo pane quotidiano. Aveva sposato un gerarca fascista che aveva aderito alla Repubblica sociale di Salò e stette dalla sua parte, ma - a quanto ella stessa diceva- era divenuta di destra con Almirante ed il suo Movimento sociale. Aveva cominciato a scrivere per il Resto del Carlino, poi per Epoca e per Il Giornale d’Italia. Nel 1954 entrò al Borghese chiamata da Longanesi e vi rimase una vita diventandone Vice direttrice con Mario Tedeschi, che fu il mitico direttore dal 1957 al 1993, quando, dopo la sua morte il giornale venne chiuso. Il sodalizio con Tedeschi fu pieno e durò fino alla sua morte. La sua Posta con i lettori fu un icona del giornale e sicuramente il pezzo più seguito. Attaccò i potenti, soprattutto quelli politici, e sotto la sua scure finirono uomini come Fanfani – che anche a causa delle sue critiche ed attacchi, fu costretto a dimettersi, ma anche Andreotti e Berlinguer e naturalmente - la sua vittima preferita – Fiorentino Sullo, che fu letteralmente scorticato vivo. Lei stessa, anni dopo, si accorse di aver esagerato e, forse, di essersi prestata ad un gioco manovrato da altri. Di lui diceva: “Poveretto! L’ho perfino costretto a sposarsi!”
Nei suoi Appunti proibiti del 12 maggio 1960 scriveva sotto il titolo di L’autista del “basista”: “Ho rivisto il “basista” Fiorentino Sullo, dopo le sue dimissioni. Aveva ritrovato la consueta scontentezza che però, nel suo viso di latte e di rose, non riesce mai a sembrare ribellione. Soltanto per un attimo ho visto ravvivarsi quel volto corrucciato. E’ accaduto quando l’autista, un giovanotto bruno e piacente, gli si è avvicinato chiamandolo confidenzialmente per nome. In quel momento, notai che gli occhi di Sullo brillavano, teneri e vivi. Rievocando quel fuggevole episodio, provo ancora oggi un senso di imbarazzo: come se fossi stata testimone di qualcosa che non avrei dovuto vedere” Siamo semplicemente entro i confini della diffamazione, raccontando un “fatto” che è solo una sensazione, con occhi cattivi, per giunta, che non dice assolutamente nulla. La campagna scandalistica fatta di allusioni, di pettegolezzi, di accenni, di malignità è durata per anni fino alla fine della sua carriera politica. C’è da ristabilire una verità che era nota anche allora a tutti quelli che lo conoscevano e l’apprezzavano. Fiorentino Sullo non è stato un ”diverso” e ciò è, per così dire, storicamente accettato. Le dimissioni cui allude lo scritto della giornalista sono quelle date da ministro dei Trasporti del Governo Tambroni per il sostegno dato a quel governo dalla destra di Almirante e di Covelli. % continua
NINO LANZETTA



Lunedì 30 Marzo,2015 Ore: 21:06