Personaggi Irpini famosi
Augusto Guerriero.
di Nino Lanzetta
Augusto Guerriero è stato un grandissimo giornalista: il “Walter Lippmann italiano”, come lo definì un famoso giornale americano negli anni sessanta. Era noto con lo pseudonimo di Ricciardetto che Longanesi, prendendo lo spunto dall’omonimo poema burlesco di Niccolò Forteguerri, gli diede nel 1937, quando gli affidò la redazione di una rubrica fissa di politica estera su Omnibus, primo settimanale italiano a rotocalco.
Scrisse sui maggiori quotidiani e settimanali italiani a cominciare giovanissimo, nel 1917, dal Mattino di Napoli diretto da Edoardo Scarfoglio, alla Stampa diretta da Curzio Malaparte, per finire al Corriere della sera, con articoli di terza pagina, e dove rimase fino al 1972.
Collaborò, poi, a vari settimanali da Omnibus, Settegiorni, Oggi, Tempo, il Mondo per finire a Epoca, il diffuso settimanale di Mondatori, nel quale tenne, fino alla fine, la famosa rubrica fissa di note politiche, seguita da una Conversazione con i lettori.
Augusto Guerriero nacque ad Avellino il 16 agosto 1893; fu conterraneo di Guido Dorso e suo compagno di liceo al Colletta. Si laureò in Legge a Napoli discutendo una tesi sull’”Anarchismo di Leone Tolstoi”.
Cominciò il mestiere di giornalista mandando al Mattino di Napoli articoli contro l’interventismo nella prima guerra mondiale. Un suo articolo su questo tema fu pubblicato anche da Filippo Turati su Critica sociale.
Fu inviato al Fronte con il grado di sottotenente. Alla fine della guerra, vinse un concorso nell’Amministrazione dello Stato e vi rimase fino alla pensione. Da funzionario statale si barcamenò nel ventennio fascista, riuscendo a non sporcarsi le mani e senza intrupparsi nell’esercito degli zelanti fascisti. Anzi nel 1924 scrive sul Mattino di Napoli articoli non favorevoli al regime; subisce la prima inchiesta ed è costretto ad abbandonare l’attività giornalistica e a trasferirsi in Tripolitania.
Nel 1929 era al Ministero delle Corporazioni, alle dirette dipendenze del Ministro Giuseppe Bottai, che lo protesse e lo difese da attacchi e delazioni di colleghi fascistissimi ed invidiosi. Nel 1933 entrò alla Corte dei Conti e vi rimase fino al 1957, arrivando al grado di Presidente onorario di Sezione.
Nel 1943 uscì una sua raccolta di articoli, “Guerra e dopoguerra”, scritti nel periodo del fascismo, nei quali riuscì a non parlare né di Mussolini né di Hitler. Intanto dal 1938 aveva cominciato a scrivere sul Corriere della sera, articoli per la terza pagina, che allora ospitava le firme più importanti della letteratura e del giornalismo internazionale, divenendone, ben presto, il commentatore principe di politica estera.
Nel 1950 iniziò la sua fortunata collaborazione al settimanale Epoca che durò fino alla morte. Scrisse articoli sdegnati contro i crimini di Hitler e di Stalin; fu un convinto sostenitore dell’interventismo americano, anche se espresse riserve sull’intervento in Vietnam del quale previde l’insuccesso; si battè in difesa degli ebrei e dello Stato di Israele, ma anche contro le nazionalizzazioni e l’istituzione delle regioni, contro la vivisezione e a favore di un controllo demografico; trattò il rapporto tra comunismo e religione e, negli ultimi anni, si dedicò a studi e ricerche sulle origini del cristianesimo e del Gesù storico. La raccolta di questi suoi articoli diede luogo a due volumi di successo: “ Quaesivi et non inveni” e”Inquietum est cor nostrum”.
Passò gli ultimi anni della sua vita sulla sedia a rotelle, per una grave malattia alle ossa e fu anche afflitto da un’acuta sordità. Morì l’ultimo dell’anno del 1981.
Indro Montanelli ne scrisse la biografia nel “Dizionario biografico degli italiani” dell’Enciclopedia Treccani. Di Ricciardetto, Montanelli sottolineò “il rigore, l’asciuttezza, la vivacità dell’argomentazione, il sottile senso dell’umorismo…” e ricordò “ che non c’era giornale o settimanale che non chiedesse i suoi articoli, i più documentati ed informati, i più brillanti e meglio argomentati che apparissero sulla nostra stampa”.
Ricciardetto fu uno dei giornalisti più brillanti della sua generazione. Fu conversatore brioso, curioso ed eclettico. Fu anche uno scapolo impenitente e un po’ snob.
Per anni fu un assiduo ospite di uno dei salotti più in vista della Roma bene del tempo, quello della principessa Colonna solo perché -diceva- “ nu salotto come quello, pè ‘nu cafunciello d’Avellino come me, rappresenta nù punto d’arrivo”.
E’ stato sicuramente il più famoso giornalista che mai abbia avuto Avellino.
Nino Lanzetta Domenica 19 Aprile,2009 Ore: 13:09 |