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Ultimo aggiornamento: February 01 2012 13:26:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/1/2012 12.59
Titolo:Vedeva lontano, il Presidente.
Il «chirurgo di Caporetto» e il vuoto della politica


di Ida Dominijanni (il manifesto, 31 gennaio 2012)


Non sarebbe piaciuto, a Oscar Luigi Scalfaro, essere definito come il Presidente a cavallo fra due Repubbliche, prima e seconda, come accade in molti dei commenti che gli sono stati dedicati. Non per il passaggio, s'intende, di cui egli fu effettivamente protagonista e guida, ma per la numerazione delle Repubbliche. La Repubblica, per lui, era una sola, quella della Costituzione; e non pronunciava mai il lemma "seconda Repubblica" senza premettere un "cosiddetta" o simili
("maldefinita", disse una volta in un'intervista al manifesto).

La pignoleria linguistica, va da sé, aveva una ragione politica: non solo per il fatto che soltanto una nuova Costituzione può dare luogo
a una seconda Repubblica, ma perché Scalfaro non si piegò mai all'idea - e all'ideologia - dell'"eccezionalismo" di Berlusconi, ovvero al racconto della sua "discesa in campo" come inizio di un'era nuova e come riscrittura fattuale, anche se non formale, delle regole del gioco politico.


Questo spiega perfettamente la sua decisione che resta tutt'ora oggetto di controversia (e astio, da parte di Berlusconi e del Pdl), quella che lo portò nel '94 a cercare una soluzione parlamentare della
crisi del primo governo del Cavaliere (provocata dall'uscita della Lega dalla maggioranza), senza ricorrere alle elezioni come invece Berlusconi - convinto allora come adesso che l'unica legittimazione che conta sia quella popolare, e che i vincoli costituzionali non esistano - riteneva ovvio.

Del resto, non siamo ancora e sempre allo stesso punto, sospesi fra le norme del parlamentarismo scritto in Costituzione e la prassi di una quasi-investitura diretta del premier? Se
due mesi fa Berlusconi ha ingoiato la soluzione Monti con minor riottosità di quanto fece allora con Dini non è solo perché allora Dini fu sostenuto da una maggioranza diversa da quella uscita dalle
urne (il famoso "ribaltone") e Monti oggi è sostenuto da tutti; è anche e banalmente perché stavolta un ritorno alle urne non l'avrebbe premiato, e la sua baldanza del 94 non c'è più.

La correttezza della procedura seguita allora dal Presidente nulla toglie, ovviamente, alla sua acclarata allergia politica al Cavaliere, quanto di più lontano e marziano potesse piombare sulla scena per uno che avesse la biografia di Scalfaro, e quanto di più insidioso per uno che, da costituente, la Carta del '48 la sentiva come una creatura da difendere.

Non smise di farlo, del resto, dopo il settennato, come dimostra il suo impegno militante al referendum del 2006 contro la riforma
costituzionale voluta dal centrodestra.


«Io ho dovuto fare il chirurgo a Caporetto, non in una Asl modello», disse una volta in risposta a chi lo accusava di aver favorito una deriva presidenzialista interpretando in modo troppo "interventista"
la figura del Capo dello Stato. Quell'interventismo, in verità, non avrebbe fatto difetto ai suoi successori, ma non va dimenticato soprattutto che era stato ben più marcato nel suo predecessore
Francesco Cossiga. Quanto alla Caporetto, come non ricordare, e come restituire a chi non può ricordare, che cosa fu la stagione che va dal '92, anno dell'insediamento di Scalfaro, al '94?

Non c'erano solo Tangentopoli e Mani pulite a far crollare uno dopo l'altro come birilli i pezzi del sistema politico; c'era stata Capaci, ci fu via D'Amelio, ci furono suicidi eccellenti e meno eccellenti
per le inchieste anticorruzione, scoppiarono le ultime bombe non firmate. C'era, alle spalle, il sisma mondiale dell'89 con i suoi riflessi interni.

C'era, emergente, una "nuova destra" a cui nel frattempo abbiamo fatto l'abitudine, ma che allora pareva un alieno spuntato non si sa come da non si sa dove, e che nella rottura del patto fondamentale trovava il suo cemento e la sua ragion d'essere. E c'era un centrosinistra in perenne trasformazione interna, che fra il 96 e il '99 riuscì a consumare tre presidenti del Consiglio, Prodi D'Alema Amato, uno dopo l'altro.

Scalfaro tenne la barra. Lo si accusa di essere stato troppo tenero con i magistrati e in particolare con il protagonismo della Procura milanese, quando si rifiutò di firmare i decreti Conso e Biondi
schierandosi di fatto a fianco della protesta della magistratura; ma sono agli atti alcune sue dichiarazioni contro «l'esaltazione soggettiva della propria funzione da parte di alcuni magistrati
che si sono sentiti gli attori principali in scena, e in un certo senso lo erano».

Ma lo erano, aggiungeva, non tanto per un loro eccesso di zelo, quanto per il difetto di moralità e di capacitàdella classe politica. Il vuoto della politica, e l'illusione ingegneristica di risolvere i problemi politici con riforme istituzionali, costituzionali ed elettorali estemporanee lo tormentavano.

"C'è un vuoto enorme di politica- disse al manifesto subito dopo la scadenza del suo mandato - e la politica non sopporta vuoti: qualcuno li occupa, varie forze e molteplici, quelli che siamo soliti chiamare 'i poteri forti'...C'è anche una rinuncia a far politica, che più che alla pace assomiglia a un mortorio». Vedeva lontano, il Presidente.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2012 13.26
Titolo:Scalfaro, tre volte padre della patria
Scalfaro, tre volte padre della patria

di Domenico Gallo (il manifesto, 1 febbraio 2012)

Adesso che è stata consegnata all’eternità, risplende la bellezza dell’avventura umana di Oscar Luigi Scalfaro, un uomo a cui spetta di diritto il riconoscimento di padre della patria.

Molti grandi uomini hanno dato il loro contributo nell’Assemblea costituente per definire i caratteri universali di quel progetto di democrazia che si è incarnato nella Costituzione ed ha definito il volto ed i caratteri della Patria repubblicana. Scalfaro, giovanissimo magistrato, proiettato nel ruolo di costituente ha respirato, assieme a Calamandrei, Dossetti, Basso, La Pira, Togliatti, Bozzi, Terracini, quell’aria di libertà, di pulizia morale, di risorgimento civile che spirava dalle montagne dove la resistenza aveva testimoniato la fede nell’avvento di un mondo nuovo, liberato per sempre dalle tirannie e dal ricatto della violenza e del terrore.

A differenza di altri, Scalfaro non ha mai perduto la fede nei valori repubblicani che i padri costituenti hanno donato al popolo italiano ed il destino gli ha dato la possibilità e l’opportunità di difenderli come un leone. Scalfaro è stato padre della patria in quanto ha contribuito ad edificare quella Costituzione che ha dato sostanza e contenuto di patria alla comunità politica degli italiani.

Dopo aver contribuito al parto della Costituzione, Scalfaro ha svolto un ruolo fondamentale, in due occasioni, per impedire che il patrimonio della democrazia, così faticosamente conquistato, venisse disperso dalle tempeste di vento nero che hanno attraversato l’Italia. La prima è stata quando, da presidente della Repubblica, nel 1994/1995, affrontò la crisi conseguente alla caduta del primo governo Berlusconi, che, sebbene dimissionario, in quanto sfiduciato dalle camere, non aveva alcuna intenzione di abbandonare il potere e pretendeva di punire, mediante lo scioglimento anticipato, il Parlamento che gli aveva tolto la fiducia, impedendo che potesse succedergli ogni altro governo.

Scalfaro difese in modo fermissimo ed intransigente le prerogative del Parlamento ed avvertì la necessità di un riequilibrio della competizione politica, chiedendo che si ristabilisse la «par condicio» prima di affidarsi nuovamente alle urne. Per questo fu accusato di golpismo da Berlusconi e fu oggetto di una campagna durissima di ingiurie, minacce e pressioni di ogni tipo, con esclusione soltanto dell’aggressione fisica e della defenestrazione. Però il cancro del berlusconismo fu estirpato dalla testa delle istituzioni e le elezioni del 1996 diedero la possibilità alle forze democratiche di mantenere aperti gli spazi della democrazia, soffocata dai tentacoli del partitoazienda.

Ma di fronte alla ignavia dei leader del centro-sinistra e di Rifondazione neanche Scalfaro poteva farci nulla. Così nel 2001 Berlusconi riuscì ad impadronirsi del governo e a portare avanti il suo progetto di fare la pelle alla Costituzione. Fino al punto che il 16 novembre del 2005 una maggioranza parlamentare, dominata da Forza italia e dalla Lega, decretò la morte della Costituzione, introducendo un nuovo ordinamento che trasformava la Repubblica democratica in un sultanato.

Nel silenzio della politica e degli sventurati partiti del centro sinistra, Scalfaro si ribellò. Non poteva accettare che il frutto dei sogni e delle passioni che avevano guidato la mano dei costituenti, che avevano deposto i sovrani ed avevano consegnato al popolo italiano una promessa perenne di libertà e di giustizia, venisse spazzato via dal vento nero di Arcore.

Fu a capo del comitato «salviamo la Costituzione» che chiamò a raccolta migliaia di persone. Persone che professavano diverse fedi, che appartenevano a diversi ceti sociali ed esprimevano diversi orientamenti politici, ma tutti si mobilitarono ed accorsero per esercitare l’estrema possibilità di salvare la Repubblica costituzionale costruita in Italia come alternativa al fascismo. Il referendum di giugno del 2006 cancellò l’ignobile riforma e salvò la Costituzione.

Dopo averla fatta nascere, la sorte ha assegnato a Scalfaro il compito di salvare, quaranta anni dopo, quella creatura preziosa - la democrazia costituzionale - per la quale la migliore gioventù europea aveva dato la vita, testimoniando nella resistenza il valore della dignità umana.

Scalfaro ha portato a termine la sua missione con onore e coraggio indomabile. A noi è rimasto ilcompito di fare tesoro della sua testimonianza e di trasmetterla alle generazioni future.