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Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo,di Gennaro Carotenuto

Ultimo aggiornamento: March 07 2013 14:21:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2013 14.21
Titolo:GIANNI VATTIMO. Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato ...
IL FILOSOFO TORINESE È STATO SPESSO OSPITE DEL GOVERNO VENEZUELANO
ECCO PERCHÉ IL CAUDILLO MI HA AFFASCINATO

Hugo Chávez

Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato

di Gianni Vattimo (La Stampa, 07.03.2013)

«Il n’est pas tombé, il est mort»: questa frase, riferita tradizionalmente - credo - a Jean Antoine Carrel, uno dei primi scalatori del Cervino, mi viene in mente ora mentre, con una commozione che riesce nuova anche a me penso alla scomparsa di Hugo Chavez. Anche lui non è caduto, ha tenuto duro fino alla morte, facendo della sua resistenza alla malattia un emblema della sua lotta politica per l’ideale di una America Latina «bolivariana». Per me come per tanti occidentali della mia formazione, Chavez aveva tutte le qualità per essere guardato con sospetto: militare, «golpista» almeno agli inizi della sua avventura politica, populista, «caudillo», e via dicendo.

Pregiudizi che continuano a ispirare molta dell’opinione «democratica» prevalente. Che non solo si fanno gioco dei sospetti (non provati, ma del tutto verosimili conoscendo la Cia e le imprese petrolifere) sul suo preteso avvelenamento da parte dei suoi nemici di sempre, ma che dimenticano la sostanza della sua immensa azione di riscatto del suo Paese e di tutto il Sud America.

Chavez ha ripreso, facendone una corposa realtà, quella che ormai era diventata una sorta di mito, l’eredità di Castro e del Che. Incontrando direttamente, nel corso di ripetuti soggiorni, fino all’ultimo in occasione della sua ennesima rielezione nel novembre passato, la realtà del Venezuela, era difficile non rendersi conto della verità che troppo spesso i media occidentali ci nascondevano: e cioè che, avendo ricuperato i proventi dell’industria petrolifera, Chavez ha avviato e in gran parte realizzato una epocale trasformazione emancipativa del suo Paese: scuole che anche nelle zone amazzoniche più remote hanno ridotto drasticamente l’analfabetismo, assistenza sanitaria gratuita e di qualità, programmi sociali che hanno debellato la povertà estrema in cui il Paese, tra i più ricchi di risorse naturali, versava sotto i regimi «democratici» di impronta neocoloniale.

Impressionante è stato tutto il piano delle «misiones»: una sorta di sistema di gruppi di intervento volontari dei cittadini, che affiancano l’amministrazione pubblica in settori particolarmente importanti.

Essendo gruppi volontari, è ovvio che chi vi si impegna siano i «chavisti», prestando così il fianco all’obiezione che si tratti di roba di regime. Non sono però chiusi a nessuno, basta decidere di partecipavi. Si è così diffusa una vitalità democratica «di base» che nelle nostre democrazie «mature» non si riesce nemmeno a immaginare.

Le misiones e la politica sociale sono ciò che ha colpito tanti intellettuali occidentali, primo fra tutti Noam Chomsky, o cineasti come Michael Moore e Oliver Stone. I quali, come gli altri visitatori, quando arrivano a Caracas domandano quali quotidiani leggere, e si accorgono che i media sono tutti, salvo la televisione di stato, anti-Chavez. Sarebbe questo un Paese dove non c’è libertà di pensiero, di informazione, di stampa?

Ma la forza dell’esempio di Chavez si vede anche e soprattutto da quello che è accaduto in tanti Paesi latino-americani negli anni recenti. Come Chavez sarebbe impensabile senza Castro, così Evo Morales, Correa, Mujica e gli stessi Lula e Cristina Kirchner sono impensabile senza Chavez. Tutti insieme costituiscono forse la sola grande novità della politica mondiale di questi decenni, molto più che lo sviluppo neocapitalistico di Cina e India. Un modello di democrazia di base a cui l’Europa dovrebbe guardare con più attenzione.