I commenti all'articolo:
PER L' EMBRIONE, UNA MOBILITAZIONE ITALIANA ED EUROPEA. Papa Bergoglio, proseguendo il cammino tradizionale del papa emerito, ricorda la raccolta delle firme. Una nota di Gian Guido Vecchi - con appunti    ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May 14 2013 10:56:07.

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 20.02
Titolo:ATTORNO ALLA PISCINA COSTRUITA E GESTITA DAL VATICANO ...
- DIO E’ AMORE
- DEUS CHARITAS EST
- GESU’: L’AMORE SALVA *

- 2 V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
- 3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
- 4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.]
- 5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
- 6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
- 7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
- 8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
- 9 E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato.
- 10 Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
- 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
- 12 Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
- 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
- 14 Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
- 15 Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
- 16 Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
- 17 Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
- 18 Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

* Giovanni 5: 2-18. Testo nella traduzione della C.E.I
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 20.09
Titolo:Abbiamo costruito una macabra civiltà della morte... di Felice Scalia
L'amore concreto di Gesù

ANNO C-9 giugno 2013-X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 1Re 17,17-24 Sal 29 Gal 1,11-19 Lc 7,11-17

di Felice Scalia

Quando ho davanti una giovane creatura a cui nulla manca, proprio nulla, e che tuttavia si è avviluppata in una situazione senza speranza (un amore impossibile, una meta irraggiungibile, la nostalgia di un affetto perduto, le strettoie di un cura parentale al limite con l’asfissia), tanto da avere perso ogni gusto per la vita, allora quel colloquio diventa fonte in me di un malessere così profondo da “maledire” quell’incontro e volere dimenticare per sempre quegli occhi spenti. Non ci puoi far nulla contro quel “cupio dissolvi”, eppure volentieri daresti perfino gli anni che ti restano perché quelle creature avvilite riaprano gli occhi. La morte non si addice ai giovani. Mai è una soluzione.

Luca, nel brano che la liturgia oggi propone, narra un incontro simile di Gesù con la morte ed i suoi vari volti. Colui che è “la vita del mondo”, un impatto peggiore di questo con la dissoluzione non poteva averlo. Un padre scomparso precocemente, una madre precipitata ieri nell’abisso della vedovanza, ed oggi delusa, frustrata nella sua unica flebile speranza che era il figlio, un ragazzo che forse ha trovato arduo vivere e si è arreso alla morte. Certo a Gesù fu risparmiato il senso di impotenza che in casi simili attanaglia qualsiasi mortale. Disse infatti ai becchini di fermarsi, alla donna di non piangere ed al ragazzo di alzarsi: “Sono io a dirtelo!”.

Situazioni come queste sembrano costruite apposta per mettere in mostra la potenza del super-eroe (nel caso, Gesù) e la nostra mediocrità. Ma non è così. Bisogna piuttosto dire che situazioni come queste sono emblematiche della condizione umana, ci fanno comprendere chi siamo e che sentimenti ha l’Eterno di fronte al nostro dolore.

Abbiamo costruito una macabra civiltà della morte. Mettendo al centro le cose, il possesso, il denaro, il diritto della forza, abbiamo intronizzato la morte. Siamo un po’ come quel ragazzo del vangelo che senza un padre non sapeva crescere e preferiva scendere da quel treno in corsa folle verso il nulla che gli sembrava la vita. Siamo come la vedova che per domani attende solo il peggio: solitudine assoluta, miseria, insignificanza, morte sconsolata. Un po’ rassomigliamo forse al padre del ragazzo morto, che non ha retto alla prospettiva di un mondo così poco accogliente dei poveri, chiuso ad un futuro per il suo bambino. E abbiamo pensieri simili a quelli che occupavano la mente degli accompagnatori funebri: ci attende un sepolcro spalancato.


Dio non la pensa così, non ci vuole così. Il gesto di Gesù di Nazareth di questo ci rassicura. La vita oltre ogni disperazione, il varco di luce oltre ogni muro di cemento armato, un nuovo inizio dopo la fine di tutto, tutto questo è volontà di Dio. E per dircelo a chiare lettere ha mandato il suo Figlio. Il “miracolo” è segno straordinario dell’ordinario agire di Dio nei nostri riguardi, espressione della sua feriale – diciamo così – volontà di salvezza.

Dio vuole risuscitare i morti, donare vita, stare, in ogni caso ed anche contro tutto e tutti, dalla parte della vita. E ciò non è solo «lavoro mai interrotto del Padre» (Gv 5,17), ma anche compito di ogni battezzato che vuole calcare le orme del Cristo. Compito che lo presenta al mondo come sovversivo, perché la speranza è sovversiva.


Difficile dire se noi cristiani annunziamo oggi che la morte è già sconfitta. Fa male leggere l’osservazione di David H. Lawrence: “Mettono l’accento solo sul dolore, sul sacrificio, sulla sofferenza. Non si soffermano abbastanza sulla risurrezione e sulla gioia di vivere nel presente”.

Gesù non guariva la gente nel corpo come scusa per salvare l’anima. Gesù amava le persone concrete, voleva che vivessero come figli della Vita, di una vita che travalica ogni morte e che può sussistere perfino negli occhi di un malato terminale. Risuscitando un morto, curando un corpo, ridando la vista ad un cieco, gli rivelava insieme mondi nuovi, sconosciuti, che sono al di là dell’io chiuso in se stesso e della stessa sofferenza. È questa liberazione, questo slargamento dell’io il dono più grande del Cristo. Perché solo se si è liberati si comincia ad amare. E questo solo conta.

* Gesuita, teologo dell'istituto Ignatianum (Me), impegnato nell'associazione “Nuovi orizzonti”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 09.53
Titolo:I pro life italiani, sedotti e abbandonati (di Massimo Faggioli)
I pro life italiani, sedotti e abbandonati

di Massimo Faggioli (Huffington Post,13 maggio 2013)

La Marcia nazionale per la vita svoltasi a Roma domenica scorsa 12 maggio dice molto non solo circa alcune sostanziali differenze col movimento pro life americano, ma anche circa alcune traiettorie dell’Italia di inizio secolo XXI.

Il movimento pro life americano è molto più radicato di quello italiano (o di qualsiasi altro paese al mondo, se è per questo), a causa delle molte differenze tra le geometrie politiche, culturali e religiose dei due paesi. Il movimento pro life americano nacque negli anni settanta, all’incrocio di una serie di tendenze diverse.

La sentenza della Corte Suprema "Roe v. Wade" del gennaio 1973 diede una copertura costituzionale dell’aborto come "diritto legato alla privacy", facendo della legislazione abortista americana una legislazione molto più radicale di quella italiana (come è noto, vi sono ben più di due opzioni tra legalizzazione e penalizzazione: incentivi e disincentivi, supporto sociale, tutela della maternità sui luoghi di lavoro, etc.).

Erano gli anni settanta dei film di Clint Eastwood Dirty Harry e la cultura borghese americana reagì alla malaise descritta dal presidente Carter accusando il liberalismo morale decadente degli anni sessanta e dichiarando una "guerra culturale" che aveva l’aborto al centro del mirino.

L’ascesa del movimento pro life e del movimento cristiano evangelicale sono una cosa sola con la presidenza Reagan iniziata nel 1980: da allora in poi la cultura pro life americana si è concentrata sull’aborto, trascurando (tranne poche eccezioni, in particolare provenienti dai gruppi pro life cattolici) la difesa della vita dei condannati a morte, la libera circolazione delle armi in America, le vittime delle guerre americane, e in generale la tutela di un sistema sociale ed economico che renda più raro il ricorso all’aborto.

Oggi il movimento pro life americano è diventato meno confessionale: nato come fenomeno protestante, oggi cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani sono entrati a far parte di esso in forme diverse, e il suo carattere "ecumenico" è testimoniato dalla "Manhattan Declaration" del 2009.

Ma nel corso degli ultimi anni il movimento pro life americano si è reso conto di essere stato usato dal Partito repubblicano e ora i rapporti col Grand Old Party sono più freddi. Tuttavia il conservativismo americano è ancora la sola vera casa politica per gli anti-abortisti americani, specialmente dopo la svolta laicista presa dal presidente Obama con la campagna elettorale del 2012, vinta in un’America sempre più laica.

Se il movimento pro life americano si è scoperto recentemente orfano dei Repubblicani, quello italiano è sempre stato politicamente orfano: ma ora lo è molto di più.

Pci e Dc furono ben attenti, negli anni settanta dei referendum sul divorzio e sull’aborto, a non fare guerre di religione su queste questioni: non solo perché erano "gli anni di piombo" del terrorismo di destra e di sinistra, ma anche perché nell’insieme i due grandi "partiti-chiesa" italiani accettarono un compromesso basato su una legislazione sull’aborto meno radicale di quella americana.

Pci e Dc erano consapevoli dei punti di contatto tra la visione della società del cattolicesimo sociale e della socialdemocrazia europea, ed entrambi erano diffidenti - per motivi antropologici e culturali prima che politici - del radicalismo libertario dei Radicali di Pannella.

Scomparsi i due "partiti-chiesa", il Pci e la Dc, in questi ultimi vent’anni i pro life militanti italiani si sono fidati di un avvocato inverosimile della causa, Berlusconi, che li usò come fecero Reagan e Bush in America, anche per una evidente mancanza di offerte politiche alternative (se non il "grande centro" di Casini).

Vista la grave crisi in cui versano anche gli eredi del Pci e della Dc (vale a dire, il Pd e il berlusconismo), oggi i pro life italiani si ritrovano a dover presentare il loro caso per un’etica della difesa della vita di fronte alle forze nuove (per così dire) della politica italiana: il populismo grillino e la tecnocrazia trasversale a vari partiti (grillini compresi). Sia il populismo di Grillo, sia la tecnocrazia sono avvocati di un "brave new world" (per citare il celebre libro di Aldous Huxley) che vede il futuro dominato dai diritti del consumatore, dalla tecnologia della rete, dai pareggi di bilancio, etc., ovvero prefigurano e si augurano un mondo assai inospitale per coloro che sono per definizione dei "costi" economicamente improduttivi: i figli, i disabili gravi, gli anziani, i malati terminali.

In questo senso, le forze politiche italiane che hanno accettato il "there is no alternative" della tecnocrazia hanno capitolato anche di fronte al "brave new world", ad una certa visione spietata di società e di vita umana. E questo è un problema non solo degli anti-abortisti o dei cattolici italiani.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 10.56
Titolo:CHARITAS o CARITAS?! Un falso amore porta alla violenza ...
Un falso amore porta alla violenza

di Dacia Maraini (Corriere della Sera, 14 maggio 2013)

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Viviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile.

La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Senza rendersi conto che ogni mercificazione comporta servitù e dipendenza, umiliazione e degrado.

Se partiamo da questa constatazione ci rendiamo conto che il femminicidio non si può risolvere solo con le manette e leggi piu severe, anche se manette e leggi piu severe servono. Per cambiare veramente ci vuole una educazione dal basso, che imponga un nuovo concetto di integrità della persona, che esiga rispetto verso la libertà dell’altro. Nonostante le tante dichiarazione di emancipazione infatti la distinzione dei ruoli è ancora molto forte.

L’Italia poi, come dice l’Onu, è uno degli ultimi Paesi europei in fatto di partecipazione maschile ai lavori domestici e di accudimento. Provate ad andare in un negozio di giocattoli. Ancora oggi la divisione è netta: bambole, cucinette, piccola sartoria per le bambine; fucilini, trenini, camion, e guerra in miniatura per i bambini.

Da tempi lontanissimi si è radicata l’idea che il diritto più naturale e intoccabile del maschio umano sia la proprietà della famiglia. Proprietà che dà diritto al controllo maritale, all’impronta del proprio sangue, del proprio nome, di una propria idea di educazione. Toccare tale principio crea spesso risentimenti viscerali e selvaggi. Da quando, in un famoso processo divino, descritto così bene da Eschilo, Apollo ha stabilito che il vero motore della vita è il padre e la madre è solo il vaso che contiene il seme maschile, gli uomini si sono appropriati storicamente di un potere intimo e immutabile che costituisce, ancora per troppi, la base dell’identità virile.

Tutti i casi di violenza di questi ultimi anni mostrano una stessa struttura: una coppia che si sceglie e si ama. A un certo punto la donna decide di andare via o di rompere il rapporto. E l’uomo, che ha puntato tutto su quella proprietà, entra in crisi, diventa intollerante e violento, fino ad arrivare all’omicidio. Seguito spesso dal suicidio, segno che si tratta di una vera e propria tragedia per chi non sa accettare i cambiamenti, la perdita dei privilegi, la soppressione del concetto di proprietà.

Se vogliamo che questa violenza cessi, dobbiamo lavorare su quel sentimento di proprietà: «Io ti amo e quindi sei mia», dato troppo spesso come naturale e assecondato da troppe retoriche sentimentali.