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CHIESA E POTERE, OGGI.,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March 20 2013 23:56:02.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2013 22.07
Titolo:CHIESA E STATI: CONCORDATI .....
CONCORDATI O SOVRANITA'

STORIA DEI RAPPORTI TRA CHIESA E STATI *



Ernesto Rossi scriveva che il Vaticano era il più pericoloso centro della reazione mondiale, la chiesa cattolica ha sempre minacciato ogni libertà di coscienza, il Vaticano appoggiò Mussolini, Hitler, Franco, Salazar, Vichy, Pavelic, Peron, Pinochet, in generale tutte le dittature dei paesi cattolici, con le quali ha fatto un concordato.

Con questi concordati, gli Stati, per rafforzarsi, conferiscono alla Chiesa privilegi a spese del popolo; l’unità dello Stato e la sottomissione dei sudditi sono garantiti dalla polizia, dalla pubblica istruzione, dalla legge, dalla propaganda e dalle omissioni dei mezzi d’informazione fiancheggiatrici, dalla religione e dall’odio verso gli altri popoli.

Nel 325 Costantino, per assumere il controllo dell’impero, fece il primo concordato con la Chiesa Cattolica, facendola divenire religione privilegiata dell’impero, Teodosio I (378-395) rafforzò il monopolio religioso della chiesa; nel 781 Carlo Magno fece un’altro concordato, gettando le basi del potere temporale dei papi e dello Stato della Chiesa. Nel 1122 si fece il concordato di Worms, tra papa Callisto II e l’imperatore Enrico V, che pose termine alla lotta sulle investiture dei vescovi, durata sessant’anni, sulle quali imperatori e papi guadagnavano perché abituati a vendere le cariche.

Nel 1801 fece un concordato Napoleone I, nel 1853 Napoleone III, nel 1855 ne fece uno Francesco Giuseppe d’Austria, nel 1929 fu la volta di Benito Mussolini, nel 1933 di Adolf Hitler, nel 1940 di Salazar, nel 1953 di Francisco Franco. Lo scopo di questi concordati era il rafforzamento di regimi liberticidi, in cambio di privilegi concessi alla Chiesa.

* RIPRESA PARZIALE DA:

http://www.homolaicus.com/religioni/chiesa-stato.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2013 22.47
Titolo:Padre Lombardi: «Calunnie della sinistra anticlericale»
Padre Lombardi: «Calunnie della sinistra anticlericale»

di Alessandro Oppes (il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013)

Sono solo “diffamazioni e calunnie” che arrivano da “una sinistra anticlericale per attaccare la Chiesa e devono essere respinte con decisione”. La Santa Sede è preoccupata dall’insistente tam-tam di stampa che riprende i vecchi sospetti di connivenza tra Jorge Mario Bergoglio e la dittatura del generale Videla, rilanciati ieri nell’intervista al Fatto Quotidiano dal giornalista argentino Horacio Verbitsky.

Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, in un comunicato letto durante il briefing di ieri nel tentativo di liquidare una volta per tutte la questione, parla di un’operazione “portata avanti da una pubblicazione caratterizzata da campagne a volte calunniose e diffamatorie”.

Il riferimento evidente è al quotidiano di Buenos Aires Pagina12, da anni vicino al kirchenerismo, un giornale che ha tra i suoi editorialisti di punta proprio Verbitsky, l’autore del libro L’isola del silenzio (in Italia edito da Fandango).

In quel testo Verbitsky accusa Bergoglio di non aver protetto, all’epoca in cui era superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina, due gesuiti sequestrati dai militari e torturati per sei mesi nei locali dell’Esma, la scuola di meccanica della Marina. “Non vi è mai stata un’accusa credibile concreta nei suoi confronti”, ricorda Lombardi. “La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla”.

IN EFFETTI, due anni fa l’arcivescovo Bergoglio venne chiamato a deporre davanti al Tribunal Oral n.5 di Buenos Aires, che poi condannò all’ergastolo Alfredo Astiz e El Tigre Acosta insieme ad altri leader della brutale repressione dell’Esma.

La sua dichiarazione era stata richiesta dall’avvocato Luís Zamora, che rappresentava i familiari delle suore francesi Leonie Duquet e Alice Dumont, uccise dal regime. Bergoglio disse di aver saputo che i suoi confratelli gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalic, rapiti tra maggio e ottobre del 1976, si trovavano detenuti all’Esma, e che intervenne presso l’ammiraglio Massera e il generale Videla in persona nel tentativo di farli rilasciare. “Fu un testimone reticente”, dice l’avvocato Zamora al quotidiano La Nación.

Nel frattempo, morto ormai Yorio (in Uruguay, nel 2000), l’unico sopravvissuto di quella vicenda, padre Jalics, che vive in Germania, è intervenuto ieri in soccorso del nuovo pontefice con una dichiarazione pubblicata sul sito jesuiten.org : “Sono riconciliato con quegli eventi, per me quella vicenda è conclusa. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente”.

Nel libro-intervista El jesuita, una biografia di Bergoglio pubblicata in Argentina dai giornalisti Sergio Rubín, del Clarín, e Francesca Ambrogetti, dell’Ansa, si sostiene che il ruolo Bergoglio fu quello di aiutare a far scappare i perseguitati dalla dittatura. A un ragazzo che gli somigliava, rivelano, cedette la propria carta d’identità perché potesse attraversare la frontiera travestito da prete.

Una versione che non convince tutti. Come la presidente delle Abuela de Plazas de Mayo, Estela Carlotto: “La gerarchia della Chiesa cattolica è stata partecipe e complice, direttamente o indirettamente, delle violazioni dei diritti umani”.

Poi c’è il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, che afferma: “I dirigenti di Amnesty International dell’epoca avevano detto che le accuse erano false. Diffamazione e menzogna”. Ma Amnesty precisa: “Non siamo in possesso di alcun documento che confermi o smentisca il presunto coinvolgimento di Jorge Mario Bergoglio nella sparizione di due preti gesuiti in Argentina”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 10.56
Titolo:CONTRO L'IPOCRISIA. Bergoglio a Buenos Aires, il 2.09.2012 ....
Quando Bergoglio puntava il dito contro la borghesia dello spirito

di Jorge Mario Bergoglio (l’Unità, 13 marzo 2013)

L’omelia del 2 settembre scorso a Buenos Aires. L’allora cardinale criticava l’ipocrisia clericale e invitava la Chiesa ad accompagnarei fedeli

L ’ascolto della Parola mi ha fatto sentire tre cose: vicinanza, ipocrisia e mondanità. La prima lettura dice: «Per caso esiste una nazione così grande da avere i propri déi vicini quanto lo è il Signore nostro Dio a noi?». Il nostro Dio è un Dio che si avvicina. È un Dio che si fa vicino. Un Dio che ha iniziato a camminare con il suo popolo e dopo si è fatto uno di loro come Gesù Cristo, per esserci più vicino.

Ma non con una vicinanza metafisica, ma con quella vicinanza che descrive Luca quando Gesù va a curare la figlia di Jairo, con la gente che lo spintona fino a soffocarlo mentre un’anziana tenta di toccargli il mantello. Con questa vicinanza della moltitudine che voleva azzittire il cieco che con le grida voleva farsi sentire all’entrata a Gerico. Con questa vicinanza che ha dato animo a quei dieci lebbrosi per chiedergli di lavarli. Gesù è qui. Nessuno voleva perdersi questa vicinanza, persino il bambino salito sul sicomoro per vederlo.

Il nostro Dio è un Dio vicino. Ed è curioso. Curava, faceva del bene. San Pietro lo dice in maniera chiara: «Ha vissuto facendo il bene e curando». Gesù non ha fatto proselitismo: ha accompagnato. E le conversioni che otteneva erano proprio grazie a questa sua attitudine di accompagnare, insegnare, ascoltare, fino al punto che la sua condizione di non essere uno che fa proseliti gli fa dire: «Se anche voi volete andarvene, fatelo adesso e non perdete tempo. Avete parola di vita eterna, noi rimaniamo qui».

Il Dio vicino, vicino con la nostra carne. Il dio dell’incontro che esce dall’incontro del suo popolo. Il Dio che - userò una parola bella della diocesi di San Justo -: il Dio che mette il suo popolo nelle condizioni dell’incontro. E con questa vicinanza, con questo camminare, crea questa cultura dell’incontro che ci rende fratelli, figli e non soci di una ong o proseliti di una multinazionale. Vicinanza. Questa è la proposta.

La seconda parola è ipocrisia. Mi richiama l’attenzione che San Marco, sempre così conciso e breve, abbia dedicato tanto spazio a questo episodio - che, nella versione liturgica, è ancora più ampio. Sembra che se la prenda con quelli che si allontanano, quelli che del messaggio della vicinanza di questo Dio, che cammina con il suo popolo, che si è fatto uomo per essere uno di noi e camminare, hanno preso questa realtà, la hanno sviscerata in una lunga tradizione, la hanno resa idea, puro precetto e, infine, l’hanno allontana dalla gente.

Gesù sì che accuserà coloro che fanno proseliti per questo: fare proselitismo. Voi percorrete mezzo mondo per fare proseliti e poi li uccidete con tutto ciò. Allontanando la gente. Quelli che si scandalizzavano quando Gesù andava a mangiare con i peccatori, con la gentaglia, a questi Gesù rispondeva: «La gentaglia e le prostitute vi precederanno», che era la peggior cosa da dire all’epoca.

Gesù non li blandisce. Sono quelli che hanno clericalizzato - per usare una parola che si capisca - la chiesa del Signore. La riempiono di precetti e lo dico con dolore e scusatemi, se questa cosa sembra una denuncia o un’offesa, ma nella nostra regione ecclesiastica ci sono presbiteri che non battezzano bambini nati da ragazze madri perché concepiti fuori dalla santità del matrimonio.

Questi sono gli ipocriti di oggi. Quelli che hanno clericalizzato la Chiesa. Quelli che allontanano il Dio della salvezza dalla gente. E questa povera ragazza, pur potendo rispedire suo figlio al mittente, ha avuto il coraggio di portarlo alla luce, sta peregrinando di parrocchia in parrocchia affinché qualcuno lo battezzi.

A coloro che cercano proseliti, i clericali, quelli che clericalizzano il messaggio, Gesù indica il cuore e dice: «Dal vostro cuore escono le cattive intenzioni, le fornicazioni, i furti, gli omicidi, gli adulteri, l’avarizia, il male, gli inganni, la disonestà, l’invidia, la disinformazione, l’orgoglio, la mancanza di stima...». Bella gente, eh? E così li tratta: li denuncia. Clericalizzare la Chiesa è un’ipocrisia farisaica.

La Chiesa del «venite, gente, che vi diamo il premio e chi non entra non entra» è fariseismo. Gesù ci insegna un’altra via: uscire. Uscire a portare testimonianza, uscire a interessarsi al nostro fratello, uscire a compatire, uscire a chiedere. Farsi carne. Contro lo gnosticismo ipocrita dei farisei, Gesù torna a mostrarsi in mezzo alla gente tra gentaglia e peccatori.

La terza parola che mi ha toccato è il finale della lettera di San Giacomo: non contaminarsi con il mondo. Perché se il fariseismo, questo «clericalismo » tra virgolette, ci danneggia, anche la mondanità è uno dei mali che minano la nostra coscienza cristiana. Questo lo dice San Giacomo: non contaminatevi con il mondo.

Nel suo addio, dopo cena, Gesù chiede al Padre che lo salvi dallo spirito del mondo. È la mondanità spirituale. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa: cadere nella mondanità spirituale.

Per questo, sto citando il cardinale De Lubac. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa, persino peggiore di quello di avere avuto Papi libertini. Questa mondanità spirituale di fare quel che sembra buono, di essere come gli altri, questa borghesia dello spirito, degli orari, di spassarsela, dello status: «Sono cristiano, consacrato, clerico».

Non contaminatevi con il mondo, dice San Giacomo. No all’ipocrisia. No al clericalismo ipocrita. No alla mondanità spirituale. Perché questo dimostrerebbe che siamo più imprenditori che uomini o donne di vangelo. Sì alla vicinanza. Al camminare con il popolo di Dio. A sentire tenerezza per i peccatori, per quelli che si sono allontanati, e sapere che Dio vive in mezzo a loro.

Che Dio ci conceda questa grazia della vicinanza, che ci salvi dall’atteggiamento imprenditoriale, mondano, proselitista, clericalista e ci avvicini al Suo cammino: quello di camminare con il santo popolo fedele di Dio. Che così sia.

Testo tradotto da Leonardo Sacchetti
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 14.37
Titolo:- “Benedico in silenzio per rispetto degli atei”
- “Benedico in silenzio per rispetto degli atei”
- la rivoluzione della liturgia di Bergoglio

di Paolo Rodari (la Repubblica, 17 marzo 2013)

Per non urtare i non credenti ieri ha benedetto in silenzio i giornalisti ricevuti in udienza in Aula Paolo VI: «Poiché molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti, di cuore do questa benedizione in silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ognuno, però sapendo che ognuno di voi è figlio di Dio», ha detto mettendo subito in pratica l’auspicio poco prima manifestato di una Chiesa «dei poveri», che non pontifica dai piedistalli ma si fa serva di tutti.

Giovedì scorso, nella messa coi cardinali in Cappella Sistina, al posto degli abiti pontificali ha indossato una semplice casula. Sempre in Sistina ha celebrato non più “spalle al popolo” e con la cattedra al centro, come invece era solito fare Papa Ratzinger ritornando a usi preconciliari, ma di fronte all’assemblea e con la cattedra di lato, sulla sinistra guardando l’affresco del Giudizio universale.

E martedì prossimo, per la messa “d’inaugurazione” del pontificato, un’altra novità: a fianco dei cerimonieri pontifici porterà come ministranti, altrimenti detti chierichetti, non più i seminaristi romani ma i frati francescani del santuario de La Verna, vicino ad Arezzo. Dei religiosi, dunque, e non dei candidati al sacerdozio.

Insomma, tanti piccoli segni che messi assieme formano quella che in molti definiscono la “nuova” impronta liturgica di Papa Francesco, uno stile che di schianto, dopo anni di graduali riavvicinamenti al rito antico e alle sue regole, fa tornare fuori dalle catacombe nelle quali rischiava di essere sepolto il Concilio Vaticano II e con lui tutta la sua teologia: la Chiesa intesa come popolo di Dio, per la quale non soltanto la gerarchia, ma anche tutti i fedeli sono investiti degli uffici del sacerdozio, della profezia e della regalità.

Benedetto XVI amava il rito antico, la messa celebrata in latino con il sacerdote rivolto verso Oriente, il sole che sorge, Cristo che viene. Ma non voleva un ritorno tout court all’antico. Il suo era più che altro un amore per una liturgia a cui aveva partecipato da bambino, nella terra fra le più romane del cattolicesimo tedesco, la Baviera.

Piuttosto, sono stati diversi settori tradizionalisti a sovradimensionare questo feeling di Ratzinger con l’antico, sovrapponendo alla sua idea di un Concilio ancora da interpretare pienamente come rinnovamento nella continuità col passato, il miraggio di un azzeramento delle novità stesse del Concilio.

Ora Papa Francesco azzera ogni nostalgia liturgica e impone uno stile del tutto in scia al Vaticano II: i fedeli non sono dei «presenti assenti», ma sono l’assemblea «soggetto » della celebrazione.

Già dai primi minuti dopo l’elezione, i cardinali che circondavano Papa Francesco hanno compreso che molto sarebbe mutato. Il primo segnale è arrivato dalla stanza delle Lacrime, dove Bergoglio ha abbandonato la talare rossa per indossare la sua nuova veste bianca. Qui, egli ha rifiutato di indossare, sopra la stessa veste, la mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d’oro.

Alcuni riferiscono che egli avrebbe «liquidato» le insistenze del Maestro delle celebrazioni liturgiche, il fine liturgista Guido Marini, allievo del cardinale Siri, con un deciso: «Questa la mette lei, io mi tengo questa, la croce di quando sono divenuto vescovo». E cioè una croce di ferro che porta incisa la raffigurazione del buon pastore con in spalla la pecorella smarrita e alle spalle il suo gregge.

Ma se resta difficile credere che il mite Francesco abbia usato un tono simile con Marini, è innegabile il suo rifiuto per tutto ciò che non c’entra con l’essenzialità, la fede semplice degli ultimi, Cristo al centro della scena e nessun altro al suo posto.

Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli apostoli. Da qui l’antico adagio: « Lex orandi, lex credendi ». Di qui il detto di Prospero di Aquitania: « Legem credendi lex statuat supplicandi ». La legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega.

Per questo Francesco da subito propone il suo stile. Perché è da come prega che la Chiesa crede. La sua Chiesa è umile, povera, anche spoglia. E il primo luogo in cui si manifesta è laddove c’è il suo cuore, appunto la liturgia: a servire alla sua messa d’inizio pontificato verranno dei frati francescani, degli umili religiosi. Francesco non solo predica umiltà, ma anche la ricerca nel suo agire.

Dalla loggia centrale della basilica vaticana la sera dell’elezione ha chiesto al popolo in piazza di pregare in silenzio per lui. Si dice che avrebbe voluto inginocchiarsi per ricevere la preghiera della gente sotto riunita. Gliel’hanno sconsigliato perché la balaustra l’avrebbe nascosto. Così ha semplicemente piegato in avanti il capo, il primo segnale che molto sarebbe cambiato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 18.12
Titolo:ATTENZIONE: "CHIESA DEI POVERI" (Giovanni XXIII) O "CHIESA PER I POVERI" (Papa ...
Il rottamatore di Dio

di Luca Kocci (il manifesto, 17 marzo 2013)

Con l’ Angelus in piazza san Pietro, questa mattina, ci sarà il primo vero bagno di folla di papa Bergoglio. In attesa di martedì quando, con la messa di inizio pontificato, è atteso a Roma un milioni di persone, con oltre 100 capi di Stato e di governo.

Intanto, nelle occasioni pubbliche di questi giorni, Bergoglio si conferma papa mediatico e innovatore, perlomeno nei gesti e nelle parole. «Un rottamatore che sta smontando pezzo dopo pezzo il cerimoniale moderno dei pontefici», dice lo storico Alberto Melloni.

Ieri, per esempio, alla fine dell’udienza ai 5mila giornalisti che hanno seguito il conclave, il papa ha eliminato la benedizione solenne, che Ratzinger faceva spesso in latino. «Dato che molti di voi non appartengono alla Chiesa e non sono credenti - ha detto in spagnolo -, imparto la benedizione, in silenzio, rispettando la coscienza di ciascuno».

Bergoglio ha anche svelato come sono andate le cose per la scelta del nome Francesco. Appena superato il quorum del 77 voti, il suo vicino di posto in conclave, il francescano brasiliano Hummes, gli ha detto «non dimenticare i poveri». Subito, spiega Bergoglio, «ho pensato a Francesco d’Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato, e in questo momento noi non abbiamo una buona relazione con il creato».

E ha confessato anche il suo desiderio di «una Chiesa povera e per i poveri». Un’affermazione decisamente in controtendenza rispetto al trionfalismo trasmesso dagli ultimi due pontificati di Wojtyla e Ratzinger.

Che tuttavia, facendo un po’ di esegesi, rivela una visione diversa da quella conciliare: papa Roncalli parlò di «Chiesa dei poveri», quella di Bergoglio è una Chiesa «per i poveri», in cui quindi la componente paternalistica e caritatevole sembra prevalere rispetto a quella di liberazione.

Arrivano anche i primi atti di governo del nuovo papa, con la conferma, scontata, dei capi dei dicasteri curiali e vaticani «donec aliter provideatur», cioè fino a che non si provveda altrimenti.

Tuttavia, nel comunicato della sala stampa, c’è una precisazione non scontata: «Il santo padre desidera riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva».

Non andò così con Ratzinger il quale, due giorni dopo la sua elezione a papa, confermò come segretario di Stato il cardinal Sodano, citandolo espressamente, e lasciandolo al suo posto per oltre un anno, fino al raggiungimento dell’età pensionabile. E così fece con molti altri, a partire dai due sostituti della Segreteria di Stato, per gli Affari generali e per i Rapporti con gli Stati (i ministri degli Interni e degli Esteri).

Sembrerebbe invece che Bergoglio - perlomeno a questo fa pensare l’inciso del comunicato ufficiale - voglia prendersi ancora qualche settimana di tempo per poi procedere ad un ricambio robusto e generalizzato dei vertici della curia e del governatorato, cominciando proprio dalla Segreteria di Stato di Bertone.

Saranno proprio queste nomine a rivelare se veramente quello di Bergoglio sarà un pontificato di rottura e quale direzione potrà prendere, al di là dei gesti e delle parole apparentemente “rivoluzionarie” di questi giorni.

Domani ci sarà la prima udienza del papa con un capo di Stato: la presidente argentina Cristina Kirchner. E fra i due i rapporti sono tutt’altro che pacifici: Bergoglio, da presidente della Conferenza episcopale argentina (fino al 2011) e da vescovo di Buenos Aires, non è mai stato un suo sostenitore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/3/2013 23.09
Titolo:ANELLO DEL PESCATORE: ORO O ARGENTO, E\' LO STESS0!!!
ANELLO DEL PESCATORE: ORO O ARGENTO, E\' LO STESS0!!! GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II lo restituirono a san Giuseppe, al padre di Gesù, allo sposo di Maria! Un\'indicazione teologica decisiva per uscire dal cattolicesimo imperiale e costantiniano! (fls)

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PAPA FRANCESCO / I SIMBOLI ​

- Conservato il motto,
- l’anello sarà d’argento *

La celebrazione di domani partirà dalla tomba di San Pietro, dove ci saranno preparati l’anello del pescatore e il pallio, i due segni del ministero petrino, che verranno consegnati al Papa. Il pallio è consegnato dal cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran.

Il cardinale primo dell’ordine dei presbiteri, Godfried Daneels, farà una preghiera e il cardinale decano, il primo dell’ordine dei vescovi, Angelo Sodano, gli consegnerà l’anello del pescatore. Lo ha riferito Padre Federico Lombardi.

L’anello del pescatore scelto da Papa Bergoglio che gli verrà consegnato domani è in argento dorato. Padre Lombardi ha spiegato che il modello dell’anello era stato dato dall’artista Enrico Manfrini al segretario di Paolo VI, mons. Macchi. In questi giorni è stato proposto al papa dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, insieme con altri due modelli. Il Papa ha scelto, fra i tre propostigli, quello dell’artista scomparso a 87 anni nel 2004 a Milano, conosciuta anche come \"lo scultore dei papi\". Nell’anello c’è l’immagine di San Pietro con le chiavi.

STEMMA EPISCOPALE-PAPALE DI FRANCESCO - 70.2 Kb
STEMMA EPISCOPALE-PAPALE DI FRANCESCO

Papa Francesco ha inoltre deciso di conservare il suo stemma episcopale e il motto ’miserando atque eligendo\", tratto dalla vocazione di San Matteo (\"Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi\".)

Il pallio che domani verrà consegnato e Papa Francesco \"è lo stesso di Benedetto XVI\". Lo ha detto il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, nel briefing con i giornalisti. Il pallio è la fascia di lana bianca con le croci rosse che simboleggia il Buon Pastore e, insieme all’anello del pescatore, è uno dei due simboli del ministero petrino.​

* Avvenire, 18 marzo 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2013 23.56
Titolo:Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre
Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre

di Enrico Peyretti

in “nuova società” ( http://www.nuovasocieta.it/ ) del 20 marzo 2013

Ad una settimana dall’elezione di papa Francesco, i suoi primi gesti e parole meritano attenzione, al di là degli entusiasmi, insieme alle ombre persistenti negli ambienti più critici sul suo ruolo nelle vicende dell’Argentina sotto la dittatura militare.

Vediamo il positivo. Un papa che, alla sua prima comparsa, prega col popolo, valorizza il popolo come soggetto ecclesiale attivo, chiedendogli di benedirlo prima di benedire lui il popolo (benedire non è azione sacrale riservata, ma è desiderare e invocare il bene su qualcuno), che si dice vescovo di Roma e non pronuncia la parola papa, che veste e vive semplicemente, che ha scarpe molto usate, che bacia la Presidenta Cristina ma anche donne del popolo, che predica misericordia, servizio, tenerezza, un papa così è certamente umano, simpatico, amabile anche da chi non è cattolico, per l’importanza oggettiva del ruolo che ricopre. Sarà conservatore, ma essere buoni, gentili, semplici, è qualità bella per un papa come per chiunque di noi.

A lato dell’entusiasmo popolare e ufficiale, insieme ai soliti retroscena curiosi, sono corse notizie, non nuove per chi conosceva l’Argentina, sul suo comportamento negli anni della dittatura (1976- 1983). Allora era superiore dei gesuiti, poi fu vescovo di Buenos Aires (dal 1998; vescovo ausiliare dal 1992). Ora, c’è chi accusa molto, e chi assolve in fretta. Non mi pare che le accuse arrivino a diretta attiva complicità coi militari, come fecero altri ecclesiastici. Il tempo forse aiuterà a chiarire, e sarà importante. Io penso che lui stesso, papa Francesco, per il carattere che dimostra, dirà una parola.

Parlando in generale, come fa notare anche Hans Küng, teologo assai critico, sotto una dittatura (p. es. il nazismo in Germania) non è facile comportarsi senza errori, debolezze, eccessi di prudenza o di imprudenza, anche con l’intenzione di mediare, di ottenere riduzione del danno, di salvare qualche vita. Chi vuole mediare, sembra ad entrambe le parti vicino a quella opposta.

Bisogna vedere se sostieni i potenti per avere dei vantaggi, se condividi l’idea dei dittatori, se soltanto sopporti in attesa di liberazione. Questo va detto per giustizia, nei confronti di chiunque, anche di un uomo, di un vescovo, che diventa papa.

E io ricordo a me stesso le parole di Dostoevskij «Prendi la colpa su di te e soffri per essa, solo allora potrai giudicare» (nei Fratelli Karamazov). E mi chiedo se noi oggi, pur un poco impegnati per la giustizia e la verità nella società umana, non dobbiamo sentirci troppo passivi e rassegnati, se non complici per troppo conformismo quotidiano, con la dittatura criminale del denaro che oggi impera sui popoli e fa vittime tra i più poveri. Io non mi sento innocente, pur sforzandomi di vedere, far vedere, unire, agire, nel piccolo delle mie capacità, per la giustizia e la nonviolenza.

Questo va detto non per passare una spugna su tutto, nel caso di Bergoglio come di tantissime altre persone in posti di responsabilità maggiori di noi, persone comuni, ma va detto per giustizia.

Nello stesso tempo, però, abbiamo il dovere e il conforto di riconoscere chi ebbe il coraggio di parlare forte contro la violenza, fino a pagare con la vita, come il vescovo Oscar Romero in Salvador (ucciso il 24 marzo 1980) e il vescovo Angelelli proprio in Argentina, più tanti altri resistenti, sia cristiani, sia non cristiani. Gli eroi e martiri della giustizia ci danno coraggio e ci fanno meditare, ma io non posso esigere da nessuno l’eroismo che non ho io.

Infine, da cristiano, devo constatare che tante ma tante e troppe volte la chiesa, nelle sue autorità, ma anche a livelli popolari, si è appoggiata e ha appoggiato potenti e prepotenti, anche violenti, dal costantinismo (ricorre un centenario dell’anno 313), ai “re cattolicissimi”, tutti trono e altare, alle guerre di religione, ai concordati e alleanze coi fascismi, fino all’italico berlusconismo.

La chiesa è fatta di santi e di peccatori, non è altro che una comune umanità imperfetta e debole; è fatta di peccatori credenti, per grazia immeritata, che Dio per amore nostro, nel cammino accidentato di ogni vita, infonde il desiderio, la ricerca, a volte una maggiore luce ed energia di bene, di fraternità, libertà, giustizia, fino al perdono dei nemici e al donare gratuito senza attendersi reciprocità. Ma sempre, in noi, col senso della inadeguatezza, dell’insufficienza, perciò dell’umiltà pari all’impegno.

Ciò vale per ogni cristiano, anche per un vescovo-papa. Non è colpa essere in cammino, peccare di debolezza, mentre è colpa dare fede alla potenza. Non è forse questo il massimo criterio di giudizio sulla chiesa, sul suo significato nella storia del mondo?

«Non è in nostro potere credere in Dio, ma è in nostro potere negare fede agli idoli» (Simone Weil). In questo impegno i cristiani sono pari a chi cerca la giustizia senza avere la fede in Dio, e allora possiamo reciprocamente aiutarci, stimolarci, correggerci, sempre in cammino, nella speranza attiva.