I commenti all'articolo:
LA "MENTE EROICA" DI ELVIO FACHINELLI E LA "MENTE ESTATICA" DI GIAMBATTISTA VICO. Una traccia per la rilettura della "Scienza Nuova". All’alta fantasia e al grande lavoro di Giambattista Vico, un omaggio - di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: February 22 2013 11:44:40.

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/2/2013 14.48
Titolo:Giambattista Vico, De mente heroica ...
De mente heroica - Giambattista Vico

Introduce Massimo Lollini

lunedì 17 novembre 2008 *




Nel 1732 l’anno accademico presso l’Università di Napoli viene inaugurato con una prolusione ufficiale tenuta da Giambattista Vico, professore di retorica, che in quell’occasione declamò il De mente heroica.

Si tratta di qualcosa di più di un’orazione inaugurale poiché Vico scrisse una vera e propria dissertazione solenne, esortando i giovani al lavoro intellettuale e alla realizzazione delle potenzialità divine della mente umana.

La concezione dell’humanitas al centro di queste pagine vichiane ripropone e attualizza la visione dell’umanesimo di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino ancorata ad una ricca ed efficace idea di erudizione, accompagnata ad una forte percezione dell’unità morale del genere umano e ad una fattiva nozione di pietas.

La mente eroica di Vico si presenta come un’arte filosofica, come una maniera di concepire insieme la vita, la società e il sapere.

Massimo Lollini è docente di Lingue romanze all’università dell’Oregon.


Giambattista Vico, Della mente eroica, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, 1996


De mente heroica, dissertatio habita in regia academia neapolitana XIII Kalendas Novembris Anno MDCCXXXII


[1] Cum in hac regia Academia utilissimum institutum quotannis literarum studia solemni ad vos, optimae spei adolescentes, oratione habita rite et ordine auspicandi satis diu siluisset, et huic nuper creato illustrissimo praefecto, viro usquequaque doctissimo et in vestra re literaria augenda quam qui maxime effuso, id de more, hac stata recurrente die, in primis usurpari placuerit, me sane, qui tres supra triginta perpetuos annos eloquentiae professoris munere in hac ipsa fungor et severis meditationibus literariis sum pene absumptus, novum aliquod ad vos afferre argumentum omnino decet, non sententiarum calamistris verborumque cincinnis iuveniliter exornatum, sed quam maxime fieri potest et ipsarum rerum pondere grave et vestro uberrimo fructu refertum. Quod, quia suapte natura est amplitudinis, splendoris sublimitatisque plenissimum, in eo dissertando,


‘fungar vice cotis, acutum

reddere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi’


et quia vos; tantis promissis exciti, in caussa, in qua vestra res agitur, iam ad attente ac benigne audiendum parati estis, in primo ingressu huius dissertationis id dabo.


DISSERTAZIONE


[1] Poiché abbastanza a lungo è rimasta interrotta in questa Regia Università l’utilissima istituzione di inaugurare ogni anno, come prescritto dal rito, l’anno accademico con una prolusione solenne indirizzata a voi, o adolescenti di ottime speranze, e poiché a questo, recentemente nominato, illustrissimo Prefetto degli Studi, dottissimo in ogni ramo del sapere e pensoso quant’altri mai di una vostra più approfondita cultura, è soprattutto piaciuto di ripristinare secondo l’usanza, nel giorno stabilito che oggi ricorre, questa istituzione, conviene certamente che io – che da oltre trenta anni ininterrottamente svolgo in questa stessa Università il compito di professore di eloquenza e quasi sono consunto dalle severe meditazioni letterarie – vi esponga un qualche argomento assolutamente nuovo, non giovanilmente adorno di vacui ornamenti di espressioni e da cincischiamenti di parole, ma quanto più è possibile grave per il peso delle sue stesse argomentazioni e colmo per voi di rigogliosissimo frutto. Ma questo argomento, poiché è per la sua stessa natura pienissimo di magnificenza, di splendore e di sublimità, io nel trattarlo


…adempirò le veci della cote,

che vale a rendere aguzzo il ferro, incapace essa stessa di tagliare;


e poiché voi, resi attenti da così grandi promesse, già siete preparati, in una questione che vi riguarda da vicino, ad ascoltare con attenzione benevola, io sul limitare primo di questa prolusione vi esporrò tale argomento.


[2] Voi dovete, o nobili adolescenti, dedicarvi agli studi delle lettere non certamente per i fini nei quali potreste facilmente essere sopravanzati dal volgo sordido e vile, per procurarvi cioè le ricchezze; né per i fini nei quali potreste di gran lunga essere superati dagli uomini di armi e di corte, per raggiungere cioè onori e potenza; né tanto meno per i fini dai quali sono guidati i filosofi, dallo stesso desiderio, intendo dire, della sapienza, a cui intenti trascorrono quasi tutti, chiusi nell’ombra, tutta la vita per godere nell’inerzia della tranquillità dell’animo loro. C’è da aspettarsi da voi qualcosa di molto più alto. «Ma cos’è questo qualcosa? – meravigliandosi dirà qualcuno di voi –, ci chiedi cose superiori alle umane possibilità?». Me ne rendo perfettamente conto, ma così superiori da essere tuttavia conformi alla vostra natura.



[3] Da voi, io dico, c’è da aspettarsi che vi dedichiate agli studi delle lettere per rendere eroica la mente vostra e dare inizio ad una sapienza utile al genere umano; se farete così, non solo le ricchezze e i beni di fortuna affluiranno verso di voi, anche se voi li disprezzerete, ma vi circonderanno senz’altro, anche se voi non ve ne curerete, gli onori stessi e la potenza. Né infatti senza una ponderata scelta del termine vi ho detto di rendere eroica con gli studi delle lettere la mente vostra. Infatti, se dai poeti sono stati definiti o fantasticati eroi coloro che vantavano la loro divina


discendenza dal sommo Giove,


certamente la mente umana, eliminata ogni invenzione favolosa, ha un’origine divina, e solamente le manca che venga sviluppata dalla cultura e dall’erudizione. Vedete quanto io vi richiedo cose superiori alle umane possibilità, che chiedo soltanto che sia da voi sublimata la natura quasi divina delle menti vostre!


[4] Infatti è definito eroe dai filosofi colui che aspira alle cose sublimi, e sublimi sono per i filosofi questi stupendi e grandissimi beni: Iddio al di sopra della natura; nella natura tutto quest’insieme di realtà meravigliose, in cui né vi è qualcosa di più grande del genere umano, né quindi qualcosa di più luminoso della felicità del genere umano, e a questa felicità soltanto, soli ed esclusivamente, mirano gli eroi, che raggiungono l’immortalità del nome loro con la fama infinitamente diffusa dei loro meriti verso il genere umano, ed è con questa voce della fama, che altamente risuona attraverso i popoli e le nazioni, che Cicerone elegantemente definisce la gloria. I vostri studi debbono perciò essere indirizzati prima di tutto a Dio onnipotente; poi, a gloria di Dio che ci comanda di amare tutto il genere umano, alla felicità del genere umano. Dunque, poiché vi sono stati così proposti questi fini, orsù operate o adolescenti nati per tutto ciò che è stupendo e grandissimo, e rivolgete con mente eroica a questa Università degli Studi gli animi vostri colmi di Dio e perciò netti e puri da tutte quante le passioni terrene, e sperimentate con enorme profitto vostro quella magnifica verità divina: «L’inizio della sapienza è il timor di Dio».

[5] La mente infatti, che gioisce delle cose divine per la loro stessa natura infinite ed eterne, non può non meditare il sublime, non può non affrontare grandi imprese, non può non realizzare opere egrege; perciò non è affatto priva di fondamento questa persuasione, che uomini insigni per il loro amore verso Dio, come il cardinale Cesare Baronio e moltissimi altri, quando, non senza una sicura ispirazione divina, si sono dedicati alle lettere, hanno composto opere mirabili sia per mole che per ingegno e dottrina. Mentre poi di costì, con mente eroica salutate dal primo limitare la sapienza, contemplate con animo grande ciò che qui si presenta davanti agli occhi vostri.


[6] Le importantissime personalità che, ornate di magnifiche insegne, siedono qui a destra, rappresentano la pubblica cultura, che l’augusto imperatore Carlo VI d’Austria, re delle Spagne, ha qui predisposta per la vostra istruzione, affinché, quali per la difesa dell’Impero Romano e dei suoi regni, sui campi aperti e nelle battaglie, si è procurati i comandanti di eserciti più forti per valore, tali si procuri nella penombra di queste aule, per la felicità dell’Impero e dei suoi regni, i migliori fra voi per sapienza; ed a questo egli vi invita sia con i non pochi benefici di legge a voi concessi, che con gli splendidi onori a questa milizia palatina soprattutto a causa tua, o gioventù studiosa delle lettere, o seconda speranza dello Stato, o seconda precipua cura del nostro sovrano; e pensoso di voi, colui che come vicerè felicemente regge con somma virtù e sapienza questo regno, l’eccellentissimo conte Luigi Tommaso di Harrach, ha così premurosamente a cuore questa Università degli Studi e in così larga misura la favorisce, che nello spazio di tre anni – cosa che prima accadeva in un secolo – ha segnalato cinque professori di questo consesso al nostro imperatore, ed egli li ha nominati vescovi di collazione regia. Pensate poi e meditate quanto splendore di dottrina vi sia in questi docenti, pensate che ciascuno di loro, per la capacità della facoltà intellettiva loro propria, racchiude nella sua mente gli autori, i più grandi in ciascuna scienza, di tutti i secoli e di tutti i popoli colti, così che per voi non solo essi li hanno pronti e a portata di mano, ma, quando a loro sembri utile o necessario, sono per di più da loro commentati, emendati e migliorati; e di questa loro facoltà intellettiva ciascuno ha dato prova in ardui concorsi svolti nelle angustie di un tempo brevissimo, pronunciando prolusioni solenni, e, così esaminati, sono stati eletti in questo corpo accademico. Di quale onore e di quanta venerazione occorre che voi li circondiate comprendetelo da questo, che alla loro sinistra siedono tante importantissime personalità, e con questa dignità del posto che occupano chiaramente riconoscono [poiché offrono loro la destra] che a questo pubblico ateneo essi hanno attinto la sapienza, con la quale hanno raggiunto i più alti onori nello Stato. E con queste argomentazioni così piene di dignità innalzate il grande animo vostro, e mostrate quella peculiarità bellissima che è propria della grandezza d’animo, che cioè voi siete pronti ad imparare, ossequienti e grati di essere indirizzati, istruiti e corretti da questi dottissimi docenti, poiché essi vogliono che in questa nostra città, la più splendida non solo dell’Italia ma di quasi tutta l’Europa, la vostra condizione sia la più onorevole possibile; ed ora con paterno amore essi si offrono a voi per istruirvi in tutte le discipline sia cicliche che acroamatiche, che sono da per tutto celebrate. E infatti è proprio questo che vi promette la dizione ‘Università degli Studi’.

[7] E certamente è proprio da questi docenti che voi dovete apprendere tutte le scienze. Ed infatti è monca ed insufficiente quella istruzione letteraria di coloro che si dedicano con tutto il loro impegno ad una sola determinata e particolare disciplina; e in effetti le scienze sono della stessa natura della virtù, di cui Socrate, che aveva fra le sue massime che le virtù stesse non sono altro che scienze, categoricamente sosteneva che in nessun luogo vi è una sola virtù se non lì dove sono tutte quante le altre. E che? avete corrugato la fronte? ho forse con questa mia affermazione atterrito i vostri ingegni? Voi fate certamente offesa alla divina origine delle menti vostre. Non rivolgete preghiere al cielo con le mani supine affinché a voi dormienti cada nel seno la sapienza dal cielo; siate sospinti da un desiderio vivido per lei; con costante e continuo lavoro sperimentate quanto voi stessi potete; tentate quanto potete; mettete alla prova in tutti i modi le forze vostre; svegliate le vostre intelligenze e infiammatevi di Dio, di cui siete pieni, e in questo modo, meravigliandovene voi stessi, voi creerete – ciò che per natura è proprio dei poeti – i divini miracoli dei vostri ingegni. Queste cose che io sto esponendo i letterati italiani le confermano autorevolmente e luminosamente con quel termine molto importante e appropriato all’argomento di cui trattiamo, cioè con il termine ‘sapienza’, con cui essi definiscono ogni Università degli Studi.



[8] La sapienza è definita da Platone purificatrice, risanatrice, perfezionatrice dell’uomo interiore. Ma l’uomo interiore è mente ed anima., e l’una e l’altra parte, a causa del peccato originale è corrottissima, perché la mente, fatta per attingere la verità, è sconvolta dalle false opinioni e dagli errori; l’anima, nata per raggiungere la virtù, è tormentata dalle passioni rnalvage e dai vizi. Dunque il fine di questo pubblico insegnamento è questo, ed occorre che a questo fine voi rivolgiate gli occhi vostri, che cioè voi, infermi nella mente e nell’anima, siete venuti qui per curare, per guarire, per perfezionare la parte migliore della vostra natura. Né infatti qualche stolto derisore potrebbe schernire queste cose che dico; e infatti di quello che dico tutti gli uomini di cultura io ho come miei autori con quella denominazione sapientemente translata dai corpi alle anime, con cui essi le Università degli Studi le definiscono Pubblici Ginnasi, poiché, essendo agli antichi sconosciuti gli ospedali, come con la ginnastica, che si praticava nelle terme, le forze dei corpi, così le forze degli animi si rinfrancano, si rinvigoriscono, si accrescono nelle Università degli Studi. Se mediterete su queste cose, otterrete dai vostri studi questa ingente utilità, che siete cioè dediti agli studi letterari per voler con essi non sembrare, ma essere dotti, perché desiderate essere curati, guariti, essere resi perfetti dalla sapienza; infatti di tutti gli altri beni, sia della natura che della fortuna, gli uomini si accontentano dell’apparenza, soltanto per quello che riguarda la salute tutti desiderano essere veramente sani.


[9] Una volta che vi sarete proposto questo fine, che è proprio della sapienza, è inevitabile che cadano dai vostri animi quei fini ormai di gran lunga minori, cioè le ricchezze e gli onori; e, pur accresciuti di beni, ricolmi di onori, non desisterete dal farvi sempre più colti; ogni frode sarà lontana dalle menti vostre, ogni vanità ed impostura, poiché non dovete bramare di sembrare, ma dovete desiderare di essere coltissimi; né sentirete alcuna invidia verso gli altri, né certamente da parte degli altri si scaglierà contro di voi l’invidia da cui sono arsi, sono tormentati gli avidi di ricchezze, gli ambiziosi di onori; e quella che tra costoro è invidia, diventerà nobile emulazione fra voi, perché voi dovete desiderare, senza guardare con invidia, quel bene comune a tutti – così come sono comuni a tutti, perché infiniti, tutti i beni divini –, cioè la somiglianza vostra delle menti e quindi degli animi con Dio, somiglianza immune dal contagio del corpo.

[10] Infatti, poiché paghi di un insufficiente bagaglio di conoscenze letterarie, alcuni accusano non solo come inadatto, ma addirittura come perverso questo metodo di insegnamento nelle Università degli Studi, dove non solo alcuni docenti insegnerebbero alcune discipline, altri altre, oppure discipline assolutamente identiche, tuttavia con un criterio diverso o in un modo diverso, anzi spesso completamente opposti. È un metodo certamente dannoso; lo riconosciamo senz’altro; e infatti sarebbe desiderabile un metodo ottimo sempre uniforme, ma poiché questo metodo, per la natura delle cose, è reso assolutamente impossibile da queste tre bellissime necessitanti realtà, cioè dalle nuove invenzioni, dalla scoperta di nuove verità, dalle nuove più accurate edizioni dei testi, questo metodo d’insegnamento, che viene posto sotto accusa da costoro, è invece ottimo anche per queste tre non spregevoli utilità, che a sua volta arreca: prima di tutto, che nessuno sia costretto a giurare sulle parole di alcun maestro, come per lo più avviene nelle discipline degli scolastici; poi, che non sia fuorviato, come avviene nei ginnasi privati, da alcuna moda letteraria, i cui effimeri indirizzi come sorgono, cosi tramontano, e, divenuti repentinamente adulti, repentinamente invecchiano; invece le fatiche letterarie, che sono tali da creare opere immortali, debbono essere consegnate all’eternità; infine – e questo soprattutto riguarda il nostro argomemo –, che conosciate perfettamente che cosa di buono scambievolmente si offrano le une alle altre le discipline – infatti ciascuna ha in sé qualcosa di buono –, che cosa tutte aggiungano alla stessa somma di una compiuta sapienza, alla cui conquista, o studiosi adolescenti, gravemente e premurosamente vi ammonisco e vi esorto.


[11] Per questo importantissimo motivo dunque, ascoltate tutti i docenti delle discipline, tuttavia con questo proposito – come abbiamo detto – proprio della sapienza, affinché i loro insegnamenti curino, guariscano, perfezionino tutte le facoltà della vostra mente e del vostro animo. E la metafisica liberi l’intelletto dal carcere dei sensi, la logica liberi la ragione dalle false opinioni, l’etica la volontà dalle malvage passioni, la retorica affinché temperi gli sfrenati eccessi della fantasia, la geometria infreni gli errori dell’ingegno, la fisica poi vi scuota dallo stupore con il quale la natura ha sbalordito gli uomini con i suoi prodigi.

[12] Ma, pure, non sono questi i culmini più alti dei beni, di cui la sapienza si allieta; proponetevi e desiderate beni di gran lunga più splendidi. E in effetti con lo studio delle lingue, che la nostra cristiana religione coltiva come sue, entrate in colloquio con i popoli più famosi della storia del mondo: con la più antica di tutte le lingue con gli ebrei, con la più elegante di tutte con i greci, con la più maestosa di tutte con i latini; e poiché le lingue sono quasi i naturali veicoli dei costumi dei popoli, con le lingue orientali – che sono necessarie alla perfetta comprensione della lingua sacra, come la caldea più di tutte – gli assiri nella città più grande di tutte, a Babilonia, vi rendano edotti della loro magnificenza, in Atene i greci della raffinatezza attica della loro vita, in Roma i latini dell’altezza dell’animo loro. Con la lettura delle storie siate spiritualmente presenti ai più grandi imperi che siano mai fioriti nel mondo, e, per rendere più salda con gli esempi la vostra conoscenza delle istituzioni civili, meditate le origini, gli sviluppi, gli stati, le decadenze e fini dei popoli e delle genti e come la perversa fortuna superbamente signoreggi sulle umane vicende, e come sulla fortuna la sapienza possegga un dominio stabile e saldo. Ma, per Ercole, assieme a quell’ineffabile diletto che ci procurano i poeti – ineffabile perché soprattutto proprio dell’uomo, che per la sua stessa natura è portato all’uniforme – osservate i caratteri dei personaggi perfettamente rappresentati in ogni genere di vita, sia morale sia familiare sia civile, secondo una idea perfetta e perciò stesso verissima, al cui paragone gli uomini della vita di ogni giorno, poiché non hanno una loro vita quando non sono coerenti, sembrano piuttosto essi stessi essere falsi, e per questo motivo nelle finzioni dei più grandi poeti contemplate con mente per così dire divina l’umana natura, bellissima persino nella sua stessa turpitudine, perché essa è sempre coerente con se stessa, sempre simile a se stessa, bella in ogni sua parte; contemplate come Dio onnipotente vede nel profondo che fanno parte dell’eterno ordine della Sua provvidenza le mostruosità e le pesti dell’universale natura – sia che essa erri, sia che si presenti con volto maligno – e le cose buone e le belle. Voi che leggete con immenso piacere i grandi poeti, leggete con altrettanta ammirazione i sublimi oratori, che con arte meravigliosa, adatta alla corrotta natura umana, per mezzo delle passioni che sono suscitate dai sensi inducono gli animi, per quanto ostinati, a volere cose assolutamente contrarie; e questo, inoltre, il solo onnipotente Iddio sa compiere, ma con le immensamente diverse vie divine dei Suoi vittoriosi soccorsi, con cui trae a Sé con celeste tripudio le menti degli uomini, per quanto travolte dalle passioni terrene.

[13] A queste discipline umane si aggiungano quelle sublimi della natura. Con la geografia, guida di un lungo cammino, girate insieme al sole intorno a tutta quanta la terra e all’oceano; con le osservazioni dell’astronomia percorrete le orbite dei pianeti, esplorate le cieche e ricurve vie delle comete; la cosmografia vi ponga presso


le fiammeggianti mura dell’infinito.

La metafisica infine, superati i confini della natura, vi sollevi nei beatissimi sterminati campi dell’eternità, dove osservate nelle divine idee, per quanto è lecito alla limitata mente dell’uomo, sia le innumerevoli forme sinora create, sia quelle che in séguito potrebbero essere create, se, come in realtà non è, il mondo fosse eterno.

[14] Percorrete così tutti e tre i mondi delle cose umane, delle cose naturali e delle eterne, e con la cultura e l’erudizione celebrate la quasi divina natura delle menti vostre. E infatti queste sublimi meditazioni inducono certamente a sperare che voi plasmerete così alti ed eretti gli animi vostri da considerare con disprezzo che sono inferiori a voi, posti nel luogo il più vile possibile, tutti i piaceri dei sensi, tutte le ricchezze ed i beni, tutti gli onori e la potenza.

[15] Ora poi, alla scelta degli autori, affinché, ascoltandone la lettura, voi miriate a raggiungere una compiuta sapienza, hanno sufficientemente provveduto a voi con i loro statuti i sapienti ordinatori di questa regia Università seguendo quel precetto di Quintiliano che nell’insegnamento delle discipline bisogna scegliere gli autori migliori, e cioè per la teologia il divino volume dell’Antico e del Nuovo Testamento, che la Chiesa cattolica interpreta in modo retto e giusto, e che sin dai tempi degli Apostoli la sua perpetua tradizione meditatamente e fedelmente custodisce nelle salde opere monumentali della storia ecclesiastica; per la giurisprudenza il Corpus Iuris Civili di Giustiniano, testimonianza ricchissima delle antichità romane, squisitissima fonte di eleganze della lingua latina e più venerando tesoro di umane leggi; per la medicina soprattutto Ippocrate, che ha meritato l’immortale elogio: «Non inganna alcuno, né mai da alcuno è stato ingannato»; per la filosofia sistematica Aristotele e, dove egli sia insufficiente, gli altri filosofi di grande fama; per tutte le altre discipline gli altri autori del medesimo altissimo valore.


[16] Poi, per indurvi a leggere questi fondamentali autori di ogni età, questi dottissimi professori, quasi indicandoveli a dito, vi renderanno edotti dei motivi per i quali questi autori sono stati ottimi, ciascuno nella sua propria disciplina. E questo genere di esegesi non solo vi indurrà, sin dai primi inizi dei vostri studi, a leggere e rileggere giorno e notte gli ottimi autori, ma, attraverso la ricerca delle cause per le quali essi sono riusciti ad essere ottimi, vi spingerà inoltre a pensare ad un’idea più perfetta, paragonati alla quale gli stessi autori fondamentali delle dottrine da modelli esemplari diverranno esempi soltanto, così che, oltre i loro archetipi, voi potete anche emularli e superarli persino; ed è così questo metodo, e non certamente con un altro, che le scienze o le arti vengono migliorate, sviluppate, perfezionate. Né infatti sono degni di una scusante coloro i quali abbiano consumato tutta la loro vita di studiosi nella lettura di scrittori mediocri, per non dire di infimo ordine, che questa pubblica Università con i suoi statuti accedemici non ha certamente raccomandato loro.

[17] D’altra parte, durante tutto il tempo dedicato ad ascoltare gli insegnanti, non dovere fare altro se non porre in relazione fra loro le nozioni che imparerete, in maniera tale che ciascuna sia in rapporto con le altre e tutte quante concordino fra loro in ciascuna disciplina; e a fare ciò vi guiderà la stessa natura della mente umana, che si diletta soprattutto dell’uniforme, del conveniente, del decoroso, tanto che i Latini hanno evidentemente definito così, con un termine sapiente, la scienza, traendo tale termine dal medesimo etimo da cui si dice scitus, che ha lo stesso significato di pulcher, poiché, essendo la bellezza la giusta proporzione delle membra fra loro e di tutte in qualche bel corpo, la scienza dev’essere considerata niente altro che la bellezza della mente umana, e una volta che le persone ne siano state conquistate, non avvertono nemmeno le bellezze dei corpi, persino le più splendide; tanto lontano è il fatto che se ne lascino turbare.



[18] Una volta che si sia consolidata codesta abitudine a porre in relazione fra loro le nozioni, voi sarete facilmente in grado di porre in relazione fra di loro le stesse scienze, che, come membra celesti, compongono il corpo divino, per così dire, della compiuta sapienza. E poiché per Pitagora la umana razionalità è proprio questo insieme di valori spirituali – sia che egli lo chiarisca sia che lo renda oscuro con i simboli numerici –, in questo modo voi realizzerete la universale razionalità umana, simile ad una luce purissima e luminosissima, che dirige i suoi raggi dovunque voi volgiate gli occhi della mente, così che voi scorgete che in ogni vostro pensiero tutto ciò che si dice scibile e tutte le sue parti si accordano, si corrispondono, si sintetizzano quasi in un singolo punto nel modo più stupendo possibile; ed è questo il modello più perfetto del vero sapiente.

[19] A quale professione poi, a preferenza di tutte le altre, voi dobbiate splendidamente rivolgere l’animo vostro – e infatti, affinché siate utili allo Stato, occorre che in esso voi ne professiate una in particolare – ve lo insegnerà il vostro genio stesso con il piacere da cui vi sentirete inondati nell’apprendere, a differenza di tutte le altre, quella professione; e in effetti di questo mezzo si serve la natura – che a questo fine vi è stata data dal sommo Iddio come guida – per indurvi a riconoscere che in quella professione il vostro ingegno si esplica volenteroso e lieto. Ma questo consiglio, com’è naturalmente il più sicuro, così a me, che vi esorto alle mète più alte e migliori, non sembra essere il più luminoso. Spesso infatti le capacità di raggiungere le mète più alte e migliori sono nell’uomo così nascoste e assopite, che a stento, e neppure a stento, sono avvertite da chi le possiede. L’ateniese Cimone – è una storia notissima –, uomo assolutamente insignificante, disperatamente moriva d’amore per una giovinetta; avendogli costei detto per scherzo, come cosa negatagli dal suo carattere, che ella lo avrebbe amato quando egli fosse diventato il centurione dei soldati, egli si arruolò nell’esercito a diventare un valorosissimo comandante di eserciti. Socrate era nato con un’indole sfrenatamente proclive alle nefandezze, ma, dedicatosi con uno sforzo quasi divino allo studio della sapienza, è stato considerato colui che per primo ha richiamato la filosofia dal cielo sulla terra, ed è stato chiamato padre di tutti i filosofi. Ma a questi esempi degli antichi aggiungiamo quelli recenti degli uomini famosi che, grazie alla sapienza altrui, hanno conosciuto i loro meravigliosi ingegni, di cui essi stessi prima non avevano consapevolezza. Il cardinale Giulio Mazzarino di sé aveva dato cattiva prova come mediocre avvocato, come ufficiale subalterno, come uomo di corte di non grande importanza, ma svolgendo occasionalmente incombenze politiche nate le une dalle altre e affidategli, quando egli non se le aspettava, da importantissime personalità, divenne un abilissimo diplomatico, e morì dopo aver a lungo dominato – esempio rarissimo di grande fortuna – come primo ministro del re di Francia Luigi XIV. Francesco Guicciardini esercitava la professione di avvocato nel foro romano, ma, suo malgrado e certamente contro voglia, nominato dai sommi pontefici del suo tempo governatore di parecchie città dello Stato della Chiesa, in occasione della guerra con la quale Carlo VIII di Francia aveva sconvolto tutta l’Italia, avendo per mandato dei sommi pontefici del suo tempo svolto con i francesi parecchie importantissime incombenze diplomatiche scaturite da quella guerra, proprio per questo si dedicò a scrivere le vicende dell’Italia del suo tempo, ed è riuscito senza dubbio il più grande di tutti gli storiografi che abbiano scritto in lingua italiana. Perciò, rivolgetevi in ogni direzione con gli occhi della mente, indirizzate in ogni direzione i vostri ingegni, scrutate le nascoste ed occulte capacità vostre affinché conosciate in voi il genio di una natura più luminosa, forse ancora ignoto a voi.

[20] Così, portato a termine lo studio di tutte le scienze, professate soprattutto quella che avete scelta con animo più alto di quanto non facciano le stesse persone dotte in quella scienza; professate cioè la medicina – abbraccerò con pochi esempi tutte le professioni – non soltanto per curare bene le malattie, la giurisprudenza per dare sapientemente pareri sulle questioni di diritto, la teologia per custodire la esatta dottrina delle verità divine; è necessario invece che, con quella vibrante tensione e capacità sublime con cui saranno trascorse per voi le ore di lezioni e di letture, con quella stessa tensione e quella stessa capacità segua ad esse una meditazione continua. E in effetti la ininterrotta consuetudine degli autori fondamentali, così consolidata dalle lezioni e dalle letture, grazie alla sua meravigliosa natura vi indurrà a considerarli sempre presenti, come vostri giudici, nelle vostre meditazioni; e questo dovete chiedere incessantemente a voi stessi, voi medici – insisterò sugli esempi già fatti –: «Che cosa direbbe Ippocrate, se udisse queste cose che medito e scrivo?»; questo, voi giureconsulti: «Che cosa direbbe Cuiacio, se udisse queste cose?»; questo, voi teologi: «Che cosa direbbe Melchiorre Cano, se udisse queste cose?». Infatti chi si pone come censori suoi gli scrittori che hanno superaro la vetustà dei secoli, non può non elucubrare opere che la restante posterità non ammiri. Con questi grandi passi, con cui dovete procedere lungo la via della sapienza, vi sarà facile progredire ulteriormente, così che non uno solo di voi possa poi dire:


io percorro gli impervi sentieri delle Muse,

e possiate portare a compimento o lavori ardui invano tentati da altri uornini molto insigni per ingegno e dottrina o intraprendere quelli mai sinora tentati: voi medici – tratterò l’argomento con gli esempi già fatti –, dopo aver raccolto da ogni parte le esperienze e le osservazioni di medicina, cercate di formulare altri aforismi, una gloria questa di duemila anni e più che rimane ancora salda presso il solo Ippocrate; voi giureconsulti, di esporre sinteticamente tutta quanta la giurisprudenza mediante le definizioni dei termini del diritto, una scienza in cui Emilio Papiniano è stato considerato il migliore dei giureconsulti e Giacomo Cuiacio si innalzava su tutti persino in un’età che era la più fiorente di eruditi interpreti del diritto; un’opera questa importantissima che Antonio Favre, persona autorevole sia per la sua età avanzata che per la sua conoscenza del diritto, ha iniziato nella sua Iurisprudentia Papinianaea, ma che non ha portato a termine, sia distolto nel corso del lavoro dalla sua difficoltà, sia perché impeditone dalla morte; voi teologi, di fondare sui principi della dottrina cristiana un sistema di filosofia morale, un lavoro che il cardinale Sforza Pallavicini ha tentato con magnanimo ardimento; Pascal ha pubblicato sullo stesso argomento pensieri senz’altro molto profondi, ma frammentari; Malebranche nello stesso tentativo ha fallito. Leggete l’aureo libro De Augmentis Scientiarum del grande Verulanio, un libro che, ove si eccettuino poche cose, bisogna sempre meditare ed avere sotto gli occhi, e considerate quanto del mondo delle scienze resti ancora da correggere, da integrare, da scoprire!


[21] E non vi lasciate poi irretire da incauti da questa sia odiosa che sciocca diceria, che cioè in questo beatissimo secolo le scoperte, che non si erano mai potute realizzare nel campo degli studi, sono state ormai tutte fatte, portate a termine, perfezionate, così che nulla più rimane in questo campo da desiderare. È una falsa diceria, che viene propalata da letterati di animo meschino.

[22] Perché il mondo ringiovanisce ancòra. Infatti, in non più di settecento anni, quattrocento dei quali tuttavia percorsi dalla barbarie, quante nuove invenzioni, quante nuove arti, quante nuove scienze non sono state escogitate? La bussola, la nave fornita di sole vele, il cannocchiale, il barometro di Torricelli, la macchina pneumatica di Boyle, la circolazione del sangue, il microscopio, l’alambicco, il campo dei numeri interi, gli infinitesimi, la polvere pirica, il cannone, le cupole delle chiese, i caratteri mobili, la carta, l’orologio; ognuna di queste invenzioni è ottima, importantissima, e tutte completamente sconosciute agli antichi. Da queste invenzioni sono scaturite una nuova arte navale e una nuova arte della navigazione – con le quali è stato scoperto il Nuovo Mondo, e quanto meravigliosamente accresciute le conoscenze geografiche! –, le nuove osservazioni astronomiche, le nuove conoscenze meteorologiche, le nuove conoscenze sistematiche di astronomia, di meccanica, di fisica, di medicina, una nuova anatomia, una nuova spargirica – tanto desiderata da Galeno –, un nuovo metodo nello studio della geometria e l’aritmetica divenuta di gran lunga più facile ad apprendersi, nuovi congegni bellici, una nuova architettura, una così grande facilità di acquistare i libri che ne fa diminuire il prezzo e una così grande abbondanza che sbalordisce. Come mai così improvvisamente la natura dell’ingegno umano si è esaurita, che si debba disperare che si possano raggiungere altre invenzioni ugualmente importanti?


[23] Non vi perdete d’animo, o nobili studenti, ne restano ancòra innumerevoli, e forse più grandi e migliori di quelle che abbiamo elencate. Nel grande grembo della natura infatti, nel grande emporio delle arti restano ancora da scoprire ingenti beni che gioveranno all’umanità e che ancora giacciono trascurati, perché ancora la mente eroica non ha rivolto ad essi l’animo suo. Alessandro Magno, recatosi in Egitto, con uno solo dei suoi vasti sguardi contemplò l’istmo che divide il mar Rosso dal Mediterraneo, e dove il Nilo sfocia nel Mediterranco e l’Africa e l’Asia si congiungono, e considerò adatto quel luogo a fondarvi, col suo nome, la città di Alessandria, che sùbito per i commerci dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, di tutto il mare Mediterraneo, dell’oceano e delle Indie divenne popolosissima. Il sublime Galilei ha osservato il pianeta Venere, apparsogli a mo’ di falce, come la luna, ed ha scoperto verità meravigliose intorno al sistema dell’universo. L’importantissimo Cartesio ha osservato il movimento di una pietra lanciata da una fionda, ed ha concepito un nuovo sistema di fisica. Cristoforo Colombo ha avvertito sul suo viso il vento che spirava dall’oceano occidentale e, avvalendosi di quell’argomento di Aristotele, secondo cui i venti nascono dalla terra, ha congetturato che altre terre vi fossero al di là dell’oceano. Il grande Ugo Grozio ha profondamente meditato quella sola espressione di Livio: «Vi sono determinati diritti di pace e di guerra», e ha pubblicato i meravigliosi libri De Iure Belli et Pacis, che, qualora se ne espungano talune affermazioni, potrebbero non a torto essere definiti incomparabili.



[24] Dopo questi ben chiari argomenti, dopo questi importantissimi esempi, dedicatevi con mente eroica e quindi con animo grande, o adolescenti nati per raggiungere le mète più alte e più nobili, agli studi delle lettere; coltivate la compiuta sapienza; perfezionate tutta quanta la vostra umana conoscenza; celebrate la natura quasi divina delle vostre menti; siate ardenti di Dio, di cui siete pieni; con ansia sublime ascoltate, leggete, meditate; affrontate fatiche erculee, e, avendole portate a termine, dimostrate con pieno diritto la vostra divina discendenza da Dio onnipotente; ed anzi riconoscetevi eroi, voi che arricchirete con altre grandiose scoperte il genere umano. A questi vostri grandissimi meriti verso tutta quanta l’umana società terranno molto facilmente dietro le ricchezze e i beni e gli onori e la potenza in questo vostro Stato; e tuttavia se questi beni non verranno, voi non ve ne starete inoperosi, e se sopraggiungeranno, li accetterete secondo l’insegnamento di Seneca con animo sereno, cioè non insuperbito, e con animo non avvilito li restituirete, se andranno via, alla stolta e furente fortuna, e sarete contenti di questo beneficio divino ed immortale, che cioè Dio onnipotente, che ci comanda – come abbiamo detto all’inizio – l’amore verso tutto il genere umano, abbia scelto particolarmente alcuni di voi, così da avere attraverso voi mostrato la gloria Sua sulla terra.


* FONTE:

http://www.lanuovabottegadellelefante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2019&...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 10.34
Titolo:Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova...
- Vico e il rilancio della retorica

- Esce un’edizione filologica della sua «Scienza nuova».
- Non convince l’idea di accostarlo a Heidegger o a Walter Benjamin rispetto a Hegel e Croce
- Un’occasione per riflettere sull’attualità del filosofo accostandolo per esempio al giurista belga Charles Perelmann che predica una «nuova teoria dell’argomentazione»

- di Renato Barilli (l’Unità, 14.1.13)

LA BOMPIANI CI HA OFFERTO LA SCIENZA NUOVA DI GIAMBATTISTA VICO IN UN VOLUMONE (PAGINE 1.318, EURO 30,00) CHE COMPRENDE LE TRE EDIZIONI successive del capolavoro del filosofo napoletano, 1725, 1730, 1744. Nulla da dire sull’aspetto filologico dell’impresa, curato da una studiosa qualificata come Manuela Sanna.

Il punto che qui ci interessa è di chiederci se e quanto l’opera famosa può godere ancora oggi di attualità, come del resto deve essere per ogni capolavoro. È da accantonare la vecchia interpretazione dovuta al Croce, che pretendeva di fare del Vico un antesignano dell’idealismo, cioè di una posizione che dà al soggetto umano la facoltà di creare la realtà, secondo la via impostata soprattutto da Hegel. Si è tentato di rilanciare una eventuale attualità del pensiero crociano, approfittando dei 110 anni dalla sua morte, ma con esiti assai dubbi.

D’altra parte, il modo migliore per accordare al pensiero del Vico una rinnovata attualità non pare consistere nell’agganciarlo a nuovi idoli dei nostri giorni, come fa l’altro curatore del volume Bompiani, Vincenzo Vitiello, con una maxi-introduzione di ben 180 pagine.

Non ritengo che sia un grande vantaggio se da Hegel e Croce passiamo agli a mio avviso ugualmente impropri Heidegger e Walter Benjamin. La via migliore per fornire un Vico ancora «con noi» mi sembra debba battere altre strade, indirizzandosi per esempio verso una figura, se si vuole, di basso o medio profilo come quella del giurista belga Charles Perelmann, da cui è pervenuta, alla metà del secolo scorso, una accanita predicazione a favore del rilancio della retorica, ovvero di una «nuova teoria dell’argomentazione».

Del resto, non dimentichiamolo, Vico fu prima di tutto un docente di retorica, considerata allora, fine Seicento, come una materia alquanto modesta, da cui non riuscì neppure ad accedere al livello superiore della giurisprudenza. Ma nella difesa dell’ancella del sapere sta forse il significato principale di tutta la sua predicazione, che lo vide combattere accanitamente contro una sua cancellazione radicale minacciata da Cartesio e seguaci.

Dentro il nostro «cogito» il Renato francese credeva di ritrovare solo i rigori di una «mathesis universalis», numeri, geometria, tra cui le famose coordinate, pronte a recepire nei loro registri l’intero corpus della geometria euclidea. Di fronte a tanto rigore, impallidivano i pregi pur secolari delle discipline incerte e vaghe care agli umanisti, le vie dubbie dei dibattiti giuridico e politico, l’oscillazione dei giudizi estetici, legati a fattori momentanei e personalistici. Insomma, in una «scienza nuova» o moderna che si volesse dire, non trovava posto la retorica, troppo flessibile ed elastica, regno del vago e dell’incerto.

Ricordiamo subito che una simile lotta tra le «due culture» si è riaccesa proprio un secolo fa, quando si è istruito un processo contro le discipline umanistiche, declassate, ritenute indegne di partecipare allo statuto della scienza. La cosiddetta filosofia analitica ha battuto queste strade, trovando poi il forte appoggio della linguistica e della semiotica, con la loro pretesa di «raddrizzare le gambe ai cani». Roland Barthes ci ha provato perfino con la moda.

Contro tutte queste manovre punitive, si è levato appunto Perelmann, il Vico dei nostri giorni, a farci riflettere che ci sono ambiti della massima importanza per l’uomo, i tre già ben visti nei secoli da tutti i difensori della retorica, il politico, il giudiziario, l’estetico, in cui non è possibile raggiungere una verità perentoria, ma ci si deve accontentare del probabile, tentando di persuadere gli avversari a colpi di argomentazione, appoggiata anche a qualche incanto verbale, e alla forza dell’esempio, del caso concreto.

AMMIRATORE DI CARTESIO

Vico era un ammiratore di Cartesio e del suo metodo di fondazione rigorosa, ma voleva che esso riguardasse anche il campo del probabile, da qui l’innalzamento della retorica a un valore assoluto, da tutelare, da proteggere. Dentro di noi, non troviamo solo le vie dell’analisi «more geometrico», ma anche del dibattito probabilistico.

Nello stesso tempo Vico avvertiva pure la forza dei tempi, allora del tutto a favore del razionalismo, secondo una gerarchia che appunto collocava molto in basso la povera e titubante retorica, e allora accettò questo degrado, rivendicò sì il diritto della retorica a sedersi alla mensa superiore della logica e della matematica, ma mettendosi comunque in un angolino, come del resto accadeva allora ai precettori se ammessi alla tavola dei signori.

È giusto che la prima tappa del processo educativo sia affidata a coltivare i sentimenti, le emozioni, la poesia, di cui la retorica è valida amministratrice. Ma poi viene l’età adulta dei ragionamento analitico, e allora l’imprecisione della retorica deve scomparire.

Questa collocazione «in basso» della vita emozionale è il motivo di cui l’idealismo romantico si impadronirà, l’aspetto nel Vico-pensiero che darà ragione a Croce nel volerlo additare come un suo precursore. Ma è anche l’impostazione da cui oggi abbiamo dovuto liberarci, sollevando il regno del dibattito retorico dalla sua collocazione degradata, portandolo a competere alla pari con le armi analitiche delle scienze fisico-matematiche. Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/2/2013 11.44
Titolo:La Scienza nuova Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744 (scheda)
Giambattista Vico

La Scienza nuova

Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744

Bompiani, pagg.1504, € 30,00

IL LIBRO - La Scienza nuova, di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della Repubblica di Platone e dell’Etica di Spinoza, della Metafisica di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, del De Civitate Dei di Agostino e della Fenomenologia dello spirito di Hegel.
Due le idee-guida che si intrecciano, e anche confliggono, in quest’opera geniale e inquietante: 1) l’estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura; 2) la genealogia della coscienza e della logica a partire dal “senso” e dalla “fantasia”, da cui discende l’interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento “intendere”, ma non “immaginare” quell’età ancora incerta tra storia e pre-storia.
Da questa consapevolezza “critica” nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della Scienza nuova (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo Libro di quest’Opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l’idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico, per l’altro, “sospende” l’intero orizzonte del tempo all’attimo presente: il kairologico “adesso” di Paolo, in cui “il tempo s’è contratto” (I Co, 7.29).
Ma proprio questa doppiezza della Scienza Nuova permette di instaurare significative connessioni tra la posizione di Vico e gli esiti più alti della riflessione contemporanea sulla storia, da Heidegger a Benjamin. Certo nel pieno rispetto della specificità dei loro differenti “tempi”, e quindi fuor d’ogni pretesa di stabilire “precorrimenti” e “inveramenti”; ma non meno certamente contro le vane “monumentalizzazioni” di una storiografia volta esclusivamente al passato.

DAL TESTO - “Solo il divino Platone egli meditò in una sapienza riposta che regolasse l’uomo a seconda delle massime che egli ha apprese dalla sapienza volgare della religione e delle leggi. Perché egli è tutto impegnato per la provvedenza e per l’immortalità degli animi umani; pone la virtù nella moderazione delle passioni; insegna che per propio dover di filosofo si debba vivere in conformità delle leggi, ove anche all’eccesso divengan rigide con una qualche ragione, sull’esempio che Socrate, suo maestro, con la sua propia vita lasciò, il quale, quantunque innocente, volle però, condennato qual reo, soddisfare alla pena e prendersi la cicuta.
Però esso Platone perdé di veduta la provvedenza quando, per un errore comune delle menti umane, che misurano da sé le nature non ben conosciute di altrui, innalzò le barbare e rozze origini dell’umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte (il quale, tutto a rovescio, doveva dalle sue «idee» a quelle scendere e profondere), e, sì, con un dotto abbaglio, nel qual è stato fino al dì d’oggi seguito, ci vuol appruovare essere stati sapientissimi di sapienza riposta i primi attori dell’umanità gentilesca, i quali, come di razze d’uomini empi e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia.
In séguito del qual erudito errore, invece di meditare nella repubblica eterna e nelle leggi d’un giusto eterno, con le quali la provvedenza ordinò il mondo delle nazioni e ‘1 governa con esse bisogne comuni del genere umano, meditò in una repubblica ideale ed uno pur ideal giusto, onde le nazioni non solo non si reggono e si conducono sopra il comun senso di tutta l’umana generazione, ma pur troppo se ne dovrebbono: storcere e disusare: come, per esempio, quel giusto, che e’ comanda nella sua Repubblica, che le donne sieno comuni.”

I CURATORI - Manuela Sanna, direttore dell’”Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si occupa di cultura storico-filosofica tra ’600 e ’700, con lavori dedicati a Leibniz, Tschirnhaus e Vico, ed è membro del consiglio scientifico dell’edizione critica delle Opere di Giambattista Vico, per la quale ha curato la raccolta delle Epistole, il De rebus gestis Antonj Caraphei, la Scienza nuova del 1730, insieme a Paolo Cristofolini, e la Scienza nuova del 1744, in via di pubblicazione. Ha curato anche la nuova e più recente traduzione italiana del De antiquissima Italorum sapientia (Roma, 2005). Negli ultimi anni le sue ricerche si sono centrate sul rapporto tra conoscenza immaginativa e verità, e su questo sono usciti La "Fantasia, che è l’occhio dell’ingegno". Note sul concetto vichiano di conoscenza (Napoli, 2001) e Immaginazione (Napoli, 2007).
Vincenzo Vitiello, professore ordinario di Filosofia Teoretica, insegna attualmente Filosofia della storia all’Università San Raffaele di Milano. Le sue ricerche di Topologia trascendentale sono negli ultimi anni rivolte all’elaborazione di una logica e di un’etica della seconda persona. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari in Europa, negli USA, e in America latina (Argentina, Cile, Messico). Suoi scritti sono stati tradotti in tedesco, francese, inglese e spagnolo. Socio onorario della Asociación de filosofia Latinoamericana y Ciencias sociales (Buonos Aires). Dirige la Rivista "Il Pensiero". Tra le sue pubblicazioni: Elogio dello spazio (1994, trad. tedesca parziale, Freiburg-München, 1993); Cristianesimo senza redenzione (1995, trad. spagnola, Madrid, 1999); Genealogía de la modernidad (Buenos Aires, 1998); Il Dio possibile (Roma, 2002); I tempi della poesia. Ieri / Oggi (Milano, 2008; trad. spagnola Madrid, 2009); Vico. Storia - Linguaggio - Natura (Roma, 2008); Grammatiche del pensiero (Pisa, 2009) .

INDICE DELL’OPERA - Saggio introduttivo. Vico nel suo tempo, di Vincenzo Vitiello - I. Sul ’concetto’ di moderno - In limine. Brevi considerazioni sulla storicità della conoscenza storica (I. Interpretazioni del moderno - II. Mathesis universalis e logica moderna - Appendice) - II. Spinoza e Vico (I. Le ragioni di un confronto - II. Il sistema di Spinoza - III. La filosofia di Vico ’prima’ della Scienza nuova) - III. La Scienza Nuova (I. La fondazione della mathesis universalis della storia - II. La lingua della Scienza nuova. Oltre la mathesis universalis - III. Prospezioni vichiane) - Cronologia della vita e delle opere di Giambattista Vico, di Manuela Sanna - Nota editoriale
LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1725 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1725, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Introduzione, di Vincenzo Vitiello - La «Scienza nuova» nelle edizioni del 1730 e del 1744, di Manuela Sanna
LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1730 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1730, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1744 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1744, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Apparati (I. Storia della fortuna di G.B. Vico, di Manuela Sanna - II. Bibliografia vichiana, a cura di Manuela Sanna - III. Indice generale)