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LA LEZIONE DI EINSTEIN. Il mondo a cavallo di un raggio di luce (non di un manico di scopa!). Alcune note,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March 31 2012 12:50:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/2/2012 13.12
Titolo:I neutrini non vanno più veloci della luce. «C’è stato un errore».
- L’esperimento sul «viaggio» delle particelle tra Ginevra e Gran Sasso
- I risultati falsati da una cattiva connessione tra il Gps e un computer

- «C’è stato un errore». I neutrini non vanno più veloci della luce

- La «misura che ha fatto scalpore», perché sanciva che i neutrini viaggiavano a una velocità superiore a quella della luce smentendo Einstein, nasceva dal cattivo funzionamento di una scheda informatica.

di Pietro Greco (l’Unità, 23.02.2012)

Si tratterebbe di un errore. Una cattiva connessione tra l’unità Gps (il sistema satellitare che consente di misurare con estrema precisione la distanza tra due unti) e un computer potrebbe essere la causa della «misura che ha fatto scalpore». I neutrini non vanno più veloci della luce. E non falsificano la teoria della relatività di Albert Einstein.

Oggi sarà la “collaborazione Opera”, diretta dall’italiano Antonio Ereditato, a riconoscerlo in un comunicato ufficiale. Ma le voci ieri sera sono corse con insistenza e hanno trovato riscontro anche sul sito della rivista americana Science. La collaborazione Opera studia il comportamento di fasci di neutrini che, generati al Cern di Ginevra, raggiungono i Laboratori Nazionali che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha sotto il Gran Sasso. I neutrini sono le particelle più elusive che si conoscano. Ma Opera ha a disposizione strumenti di rilevamento eccezionali.

Nell’effettuare queste misure la collaborazione Opera ha raggiunto risultati di valore assoluto: ha, tra l’altro, verificato che i neutrini oscillano (sono di tre tipi e si trasformano l’uno nell’altro) e dunque hanno una massa. Per due anni il gruppo internazionale di scienziati ha ottenuto alcune misure che sembravano incredibili. Facendo i conti si otteneva che le minuscole particelle viaggiavano a una velocità superiore a quelle della luce. Coprivano la distanza tra Ginevra e il Gran Sasso, circa 730 chilometri, in 60 nanosecondi (miliardesimi di secondo) meno di quanto avrebbe fatto la luce. Queste misura metteva in seria difficoltà la teoria della relatività ristretta uno dei cardini della fisica moderna secondo la quale la velocità della luce non può essere mai superata. Se fosse stata vera, sarebbe passata ai posteri come una delle più importanti scoperte in fisica degli ultimi due o tre secoli.

CONTROLLI SU CONTROLLI

I conti a Opera sono stati fatti e rifatti. Ma nessuno, per mesi, ha trovato un errore. Quindi la decisione, lo scorso autunno, di rendere nota la notizia, con un articolo scientifico e con un seminario tenuto a Ginevra ma seguito in tutto il mondo. Ereditato e il suo gruppo sono stati molto onesti. Non hanno voluto interpretare i dati. Non hanno detto che i neutrini viaggiano certamente a una velocità superiore a quella della luce. Hanno detto: questi sono i dati. Noi non troviamo errori. Se qualcuno è in grado bene. Noi continuiamo a effettuare misure e attendiamo con serenità altre verifiche indipendenti. Alcuni ancora più prudenti, anche all’interno di Opera, sostenevano che quei dati non andavano resi pubblici.

Col senno di poi gli scettici a oltranza sembrano aver avuto ragione. L’errore c’era ed era banale: il malfunzionamento di una scheda informatica. Solo che era ben nascosto. E, infine, è stato individuato. Dal medesimo gruppo che, ove la scoperta fosse stata confermata, sarebbe passata alla storia.

L’errore lascia l’amaro in bocca. Ma a ben vedere è un ottimo esempio di come funziona la scienza. Non sempre ci fornisce verità. Ma ha al suo interno la capacità e l’onestà intellettuale di correggere se stessa. E, in fondo, è questo il segreto del suo successo.

La vendetta di Einstein

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 23.02.2012)

Il buon vecchio Einstein si è salvato. La sua teoria della relatività, messa in forse dagli esperimenti del Cern sui neutrini veloci, si è salvata anch’essa. È stato infatti annunciato che le macchine usate per l’esperimento erano difettose. L’episodio ci permette di fare alcune considerazioni. La prima, anticipata di molti decenni dallo stesso Einstein, è che «la scienza non è una repubblica delle banane, in cui succedono rivoluzioni ogni sei mesi».

Il pubblico si appassiona sempre ai cambiamenti epocali, ma forse nella scienza è più utile concentrarsi sugli aspetti ormai assodati, sui risultati acquisiti, che non sulle nuove idee che ancora attendono conferme e verifiche.

La seconda considerazione è, però, che all’annuncio dell’esperimento il mondo intero si è coalizzato nel tentativo di comprendere quali sarebbero state le conseguenze teoriche e pratiche di una velocità superluminale dei neutrini. Articoli di giornale, discussioni sui blog, seminari di ricerca hanno rivisto i fondamenti della relatività di Einstein, mettendo a volte in luce aspetti nascosti o impostazioni innovative che un secolo di abitudine alla teoria avevano lasciato in ombra. In un’intervista al nostro giornale, pochi giorni dopo l’annuncio dei risultati dell’esperimento, il premio Nobel Shelly Glashow ha sottolineato quali sarebbero state le conseguenze d’una conferma dell’esperimento: conseguenze così in contrasto con il resto della fisica conosciuta, che costituivano quasi una confutazione per assurdo dell’esperimento stesso. Ma questi suoi contributi, insieme a quelli di molti altri, ci hanno comunque chiarificato che possiamo considerare la velocità della luce come un limite insuperabile, e possiamo continuare a usare la relatività come una teoria insostituibile.

Gli occhi del mondo intero si concentrano ora, dopo l’ubriacatura dei neutrini, su altri esperimenti del Cern e di altri laboratori. In particolare, l’annunciata e probabile scoperta della cosiddetta «particella di Dio», così come dell’attesa, ma per ora ancora non verificata, esistenza di «particelle simmetriche». L’episodio dimostra comunque come la scienza contenga dentro di sé gli anticorpi per i propri possibili errori, e come in un breve volgere di tempo la comunità scientifica possa mettere proposte anche rivoluzionarie sotto il microscopio per verificarle o confutarle. E’ in questo processo dialettico di dimostrazioni e refutazioni che si cela il segreto del successo della scienza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/3/2012 18.02
Titolo:Le meraviglie del neutrino cinese. Una scoperta di grande portata ...
Le meraviglie del neutrino cinese

Un esperimento di Jun Cao e altri 240 fisici ha misurato il terzo angolo di mescolamento delle particelle. Una scoperta di grande portata

di Pietro Greco (l’Unità, 19.03.2012)

Ha fatto molto rumore l’annuncio effettuato sul sito arXiv da parte di Carlo Rubbia, ideatore e direttore di quell’esperimento Icarus che presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso studia le oscillazioni dei neutrini, compresi quelli del progetto Cngs (Cern Neutrinos to Gran Sasso) a Ginevra.

Abbiamo misurato la velocità con cui viaggiano tra la Svizzera e l’Abruzzo le elusive particelle - hanno detto i fisici di Icarus - e abbiamo verificato che sono un po’ più lenti della luce. La misura del gruppo diretto da Carlo Rubbia corrobora la convinzione, ormai diffusa, che la velocità superluminale dei neutrini misurata dal gruppo Opera diretto da Antonio Ereditato sia frutto di un errore. Errore che lo stesso gruppo Opera ha individuato qualche settimana fa. Ora non resta che attendere le misure del tutto indipendenti che saranno realizzate negli Stati Uniti e in Giappone per chiudere la vicenda del «neutrino più veloce della luce».

Ha fatto, tuttavia, meno rumore un altro articolo pubblicato sul medesimo sito arXiv da Jun Cao e dagli altri 240 fisici impegnati nel «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment». Un articolo almeno altrettanto importante. Sia per i contenuti fisici che propone. Sia per il luogo, la Cina, dove l’esperimento è condotto.

Il gruppo ha infatti misurato con grande precisione uno dei tre «angoli di mescolamento» dei neutrini, quello detto «Teta 13». Ai più questo parametro dirà poco. Ma non è complicato da spiegare. I neutrini sono particelle che interagiscono poco con la materia. Ma grazie a Bruno Pontecorvo, allievo di Enrico Fermi, sappiamo che ne esistono di tre tipi (elettronici, muonici e tau) che «oscillano», ovvero si trasformano l’uno nell’altro mentre corrono nello spazio (a velocità prossima, ma a quanto pare non superiore a quella della luce). Se i neutrini oscillano, diceva Pontecorvo, allora hanno una massa, sia pure piccolissima.

L’IPOTESI DI PONTECORVO

Il gruppo Opera negli scorsi anni ha dimostrato che Pontecorvo aveva ragione: i neutrini oscillano e, dunque, hanno una piccola massa. Già ma «quanto oscillano»? In che percentuale i neutrini elettronici si trasformano in muonici viaggiando, per esempio, tra il Sole (uno dei luoghi dove vengono prodotti) e la Terra? L’«angolo di mescolamento» ci dice a quanto ammonta questa percentuale. Finora ne erano stati misurati due, di angoli di mescolamento. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha misurato il terzo e ha chiuso il quadro. Il bello è che la sua misura «spalanca una porta», come sostiene sulla rivista Science l’americano Robert Plunkett, un fisico del Fermi National Accelerator Laboratory di Batavia, in Illinois. La porta spalancata è quella della verifica di una asimmetria tra il comportamento dei neutrini e quello degli antineutrini. Asimmetria che potrebbe spiegare perché il nostro universo è costituito in larga parte di materia e non di antimateria. Insomma, il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» apre una nuova pista di ricerca e dimostra che lo studio di queste elusive particelle dominerà la fisica delle alte energie nei prossimi anni.

Ma oltre il contenuto scientifico, c’è la dimensione geografica della notizia. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha battuto sul tempo una serie di altri esperimenti analoghi: il Minos negli Stati Uniti, quello condotto col reattore Double Chooz nella città di Chooz in Francia, il Reno in Corea del Sud. Questo, come sostiene Robert McKeown, un americano in forze al Thomas Jefferson National Accelerator Facility di Newport, in Virginia, è probabilmente il più grande risultato di fisica finora raggiunto in Cina. E dimostra che la fisica cinese delle particelle è ormai in grado di competere alla pari con chiunque.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 12.50
Titolo:La scienza deve essere libera. Il «mercato» dietro l’affanno a pubblicare i risu...
La scienza deve essere libera

di Umberto Guidoni (l’Unità, 31.o3.2012)

Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità... Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla.

Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato.

Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere.

Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione.

Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico.

E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza.