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CASTORIADIS LEGATO AL CARRO DI RATZINGER. Armato dell'astuta fede cattolica, Pietro Barcellona scende in campo contro la ragione di Kant, e non solo contro quella di Ferraris e Severino. Una sua rilessione - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November 03 2012 10:52:14.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 21.40
Titolo:Perché la multa è una cosa in sè ....
Perché la multa è una cosa in sè

Il dibattito sul nuovo realismo: risposta a Severino

di Maurizio Ferraris (la Repubblica, 18.09.2012)

Il dibattito sul Nuovo Realismo è iniziato dal Manifesto di Ferraris uscito su Repubblica l’8/8/2011 e ora saggio per Laterza

Emanuele Severino, domenica scorsa, su La lettura del Corriere della Sera, rimprovera al nuovo realismo di non tener conto della “svolta trascendentale” del pensiero, avviata da Kant e realizzata da Gentile. Per questa svolta, il pensiero è il primo e immediato oggetto della nostra esperienza, e noi non abbiamo contatto con nessun mondo “là fuori”, se non appunto tramite la mediazione del pensiero e delle sue categorie. In altri termini, e richiamandoci alle cose - il tema del festival di filosofia appena conclusosi a Modena - noi non abbiamo mai a che fare con cose in sé, ma sempre e soltanto con fenomeni, con cose che appaiono a noi.

In effetti, i realisti sono ben consapevoli della rilevanza storica di questa svolta, ma non ne sono convinti per motivi teorici. Questi: la svolta trascendentale ci pone in una perenne contraddizione, e fa sì che, nei nostri rapporti con il mondo, siamo afflitti da uno strabismo divergente. Da una parte, nella vita di tutti i giorni, siamo dei realisti ingenui, convinti che le cose siano quello che appaiono. Dall’altra, siamo degli idealisti costretti a pensare che nulla esorbita dal nostro pensiero e che non abbiamo a che fare con cose, ma con dati di senso, fenomeni, apparenze.

La versione moderna dell’idealismo gentiliano, e cioè il postmodernismo, dice invece che tutto è socialmente costruito (di passaggio, Severino ha perfettamente ragione nel notare che i postmodernisti non hanno riconosciuto il loro debito nei confronti di Gentile). La domanda che si pone il realismo, allora, è semplicemente: è davvero così, o non è una superstizione filosofica, una abitudine inveterata e niente più?

Prendiamo gli oggetti naturali. Per Kant (e a maggior ragione per Gentile, che lo estremizza) sono dei fenomeni per eccellenza: sono situati nello spazio e nel tempo, che però non sono cose che si diano in natura. Stanno nella nostra testa, insieme alle categorie con cui diamo ordine al mondo, al punto che se non ci fossero uomini potrebbe non esserci né lo spazio né il tempo. Se ne dovrebbe concludere che prima degli uomini non c’erano oggetti, almeno per come li conosciamo, ma chiaramente non è così. I fossili ci tramandano esseri che sono esistiti prima di qualunque essere umano, prima di Gentile, prima di Berkeley, prima di Cartesio e prima di qualunque “io penso” in generale.

Come la mettiamo? E come spieghiamo il fenomeno, comunissimo, del giocare con il nostro gatto? Visto che lui ha schemi concettuali e apparati percettivi diversi dai nostri, dovrebbe vivere in un altro mondo, altro che giocare con noi (inoltre, se davvero Gentile avesse ragione, ogni gioco, non solo con il gatto ma anche con un amico, sarebbe virtualmente un solitario).

Ma a ben vedere anche gli oggetti sociali, che dipendono dai soggetti (pur non essendo soggettivi) sono cose in sé e non fenomeni. Questo sulle prime può apparire complicato perché se gli oggetti sociali dipendono da schemi concettuali, allora sembra ovvio che siano dei fenomeni. Ma non è così.

Per essere un fenomeno non basta dipendere da schemi concettuali. Per essere un fenomeno bisogna anche contrapporsi a delle cose in sé. Prendiamo una multa. Quale sarebbe il suo in sé? Dire che una multa è una multa apparente significa semplicemente dire che non è una multa. Una multa vera e propria è una cosa in sé, così come è una cosa in sé e non semplicemente un riflesso del nostro pensiero la crisi economica che ci provoca tante preoccupazioni. Soprattutto, sono cose in sé le persone, che nella prospettiva di Gentile si trasformerebbero in fantasmi, in umbratili proiezioni del pensiero.

E adesso veniamo agli eventi, cose come gli uragani o gli incidenti d’auto. Che spesso sono imprevedibili. L’irregolarità, ciò che disattende i nostri dati e attese, è la più chiara dimostrazione del fatto che il mondo è molto più esteso e imprevedibile del nostro pensiero. Come nel caso della sorpresa, che - se non si è pessimisti, e soprattutto se si è fortunati - può anche essere bellissima. Per esempio, non prevedevo che un grande filosofo (che considero non un fenomeno, ma una cosa in sé: una persona con caratteristiche insostituibili e indipendenti dal mio pensiero) come Severino decidesse di intervenire sul realismo con tanta ampiezza e profondità. Lo ringrazio di nuovo, e spero che trovi questa risposta soddisfacente, o almeno tale da aprire un dialogo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/11/2012 10.52
Titolo:CORNELIUS CASTORIADIS ...
CORNELIUS CASTORIADIS

A cura di Francesca Esposito


CASTORIADIS

1. L’itinerario di Cornelius Castoriadis

Sarebbe certamente un errore definire Cornelius Castoriadis un intellettuale, etichetta che egli stesso giudica qualcosa da evitare. Infatti, egli considera intellettuali filosofi come Sartre e Heidegger, in quanto giustificatori e razionalizzatori dell’ordine stabilito e, rispettivamente, dei regimi stalinisti e del nazismo.

Per Castoriadis il compito del pensatore è quello della critica del già istituito, del pre-stabilito, di ciò che si presuma dato una volta per tutte e, di conseguenza, di ogni ideologia e totalitarismo che minaccino l’autonomia individuale e collettiva. Egli senza dubbio ha incarnato nel corso della sua vita l’ideale di

di pensatore solitario che adotta una posizione impopolare e vi resta aggrappato malgrado lo scherno pubblico e le difficoltà private [1].

Il lavoro critico di Castoriadis ha assunto il significato di una ricerca mai paga, mai definitiva di un pensiero rivoluzionario, di un pensiero altro da quello ereditato, tradizionale, sia nell’ambito della teoria politica che in quello della teoria filosofica, di un pensiero rivolto al progetto di autonomia individuale e collettiva.

Nel proponimento di delucidare i limiti e le aporie di quella che egli ha definito la logica-ontologia ereditata, con cui ha inteso l’intero quadro del pensiero filosofico ereditato, Castoriadis ha sviluppato la categoria di psiche e ha operato, tra il 1965 e il 1968, la rielaborazione della psicoanalisi. Frutto maturo di questo percorso è l’opera intitolata L’istituzione immaginaria della società (1975).

La rielaborazione della psicoanalisi non ha avuto, per Castoriadis, come obiettivo principale un nuovo apporto teorico a questa disciplina specifica, ma il rinnovamento in toto della filosofia tradizionale.

Gli anni dedicati al riesame della teoria psicoanalitica subentrano agli anni di un fervido impegno militante, prima nel PC greco (1941), poi nelle file del partito trotzkista francese, all’indomani del suo trasferimento in Francia nel 1945, e infine, a partire dal 1948, nel gruppo Socialisme ou Barbarie, fondato con Claude Lefort ed esprimentesi nella rivista omonima dal 1949 al 1966.

Gli anni che precedettero la stesura de L’istituzione immaginaria della società, furono per Castoriadis molto fervidi. In una prima fase egli è stato impegnato nella elaborazione del concetto di sociale-storico, contenuta nella prima parte de L’istituzione immaginaria della società, intitolata "Marxismo e teoria rivoluzionaria" (1964-1965); tale elaborazione ha avuto luogo attraverso un’attenta rilettura critica dell’economia e della teoria marxiste. In una seconda fase egli ha compiuto prima, tra il 1968 e il 1971, un’ampia riflessione sul linguaggio, e poi, tra il 1971 e il 1974, un vasto ripensamento della filosofia tradizionale.

Già nella delucidazione della questione del "sociale-storico" – che non è altrimenti se non la questione della società e quella della storia –, come pure nelle osservazioni che vertono sul linguaggio, si fa sempre più prepotente il convincimento, da parte di Castoriadis, di quanto il pensiero ereditato sia adeguato al mondo che l’ha prodotto e, cioè, di quanto esso sia dovuto ad uno determinato modo di intendere l’essere, di un modo consustanziale ad una determinata civiltà: quella greco-occidentale. L’influenza che la società greco-occidentale ha esercitato sugli schemi cognitivi dell’umanità ha fatto sì che venisse disconosciuto, innanzitutto, il ruolo primario che rivestono l’immaginario, nella società, e l’immaginazione, nella psiche individuale. Infatti ciascuno di essi è stato ridotto a mera immagine speculare del reale. In verità, come scrive Castoriadis,

l’immaginario di cui parlo non è immagine di. È creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale-storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di "qualche cosa". [2]

Elaborare la nozione di immaginario radicale, significa, per Castoriadis, riconoscere come fondamento ultimo di individuo e società la "creatività", intesa come capacità di creare forme e figure che non esistevano precedentemente e riconoscere, altresì, nelle istituzioni sociali e in tutti i prodotti del soggetto psichico come dell’individuo sociale, delle creazioni immaginarie.

La nozione di immaginario radicale ritorna in tutta la riflessione filosofica di Castoriadis come un’idea quasi ossessiva, funzionale alla necessità di sottrarla al disconoscimento/occultamento che di essa ha operato la filosofia occidentale nell’affrontare le tematiche che vertono sulla società, sul mutamento o divenire storico, sul linguaggio, sulla psiche, inconscia e conscia.

PER PROSEGUIRE LA LETTURA, VEDI:

http://www.filosofico.net/ccastoriadis.htm