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Ultimo aggiornamento: May 15 2010 20:23:34.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2010 20.23
Titolo:LO "SCAMBIARSI LA VESTE" DI CHIESA E STATO E UN ZAGREBELSKY SENZA BUSSOLA
Ma la ragione è un bene comune

di Luigi La Spina (La Stampa, 15/05/2010

All’apparenza, un’analisi, dotta e pacata, sui rapporti tra Stato e Chiesa, soprattutto negli ultimi due secoli. In realtà, un grido d’allarme, preoccupato e appassionato, sui rischi, per la civile convivenza tra laici e cattolici, del fondamentale spostamento operato da Benedetto XVI nel magistero ecclesiale: dal binomio «verità-fede» alla coincidenza «verità-ragione».

Questo «travestimento» del più recente libro di Gustavo Zagrebelsky potrebbe freudianamente scoprire il motivo che ha spinto l’autore a intitolare il volume prendendo a prestito una immagine di Thomas Mann. Il grande romanziere tedesco scriveva che religione e politica si sono abituate, lungo i secoli, a «scambiarsi la veste», combattendosi o alleandosi, per indossare l’una i panni dell’altra.

Il costituzionalista torinese mette subito in luce perché tra la Chiesa cattolica e lo Stato, almeno quello laico e democratico, il contrasto sia, in linea di principio, insuperabile. La pretesa universalistica di questa religione propone inevitabilmente la sua dottrina morale a tutti gli uomini, non solo ai fedeli. Ecco perché la Chiesa cattolica non si può rassegnare a vivere in uno Stato pluralista, garante della libera convivenza di tutte le fedi. Il contesto relativista, contrassegno identitario della democrazia liberale, dovrebbe implicare, infatti, la sua rinuncia alla predicazione di una verità assoluta.

Di fronte a questa antinomia teorica, la Chiesa ha cercato, dalla metà dell’Ottocento, una strada che riconoscesse, nei fatti, il pluralismo, ma che non la costringesse a rinnegare quella pretesa di universalità del suo messaggio.

Zagrebelsky individua tre tappe fondamentali di questo tentativo: la prima corrisponde all’offerta della religione cattolica nella veste di «dottrina sociale». La svolta compiuta da Leone XIII, nell’ultimo periodo del XIX secolo, soprattutto con l’enciclica Rerum novarum. La seconda, con il Concilio vaticano del 1962-1965, punta a una concezione religiosa fondata sulla difesa della dignità dell’esistenza umana. La terza, quella individuata dall’attuale pontefice, declina la predicazione cattolica come religione civile, àncora di salvezza delle democrazie in autodecomposizione.

E’ proprio su quest’ultima «veste», per richiamare il titolo del libro, che si appuntano le preoccupazioni dell’autore. Se la verità proclamata dal messaggio cattolico non si fonda sulla fede, ma sulla ragione, patrimonio di tutti gli uomini, credenti e non credenti, non sono più ammessi limiti, contraddizioni, eccezioni all’adesione universale nei confronti di questa religione e dei suoi precetti. «Il rapporto col mondo di una simile autorappresentazione della Chiesa - scrive Zagrebelsky - difficilmente può concepirsi in termini amichevoli: si tratta di essere conquistati o di conquistare... è la riproposizione, in forma intellettualistica, del tradizionale principio: extra Ecclesiam nulla salus, con tutta la sua portata d’intolleranza e la naturale tendenza della religione a farsi religione di Stato».

Possono sembrare timori eccessivi quelli di Zagrebelsky, in un clima di consolidata secolarizzazione. Ma l’ex presidente della Corte Costituzionale ravvisa proprio nell’indifferenza, impronta tipica delle nostre democrazie liberali, «la condizione in cui tutto può avvenire e anche i progetti più arrischiati possono avere chances di successo, se non perché suscitano adesione, almeno perché non suscitano reazioni».

L’intenzione profonda del costituzionalista, con queste parole, è «svelata»: lanciare una scossa perché il mondo laico avverta il rischio di una rottura di quell’armistizio tra Chiesa e Stato indispensabile perché un conflitto, teoricamente ineliminabile, trovi la possibilità di una collaborazione, nel segno della saggezza intellettuale e della compassione umana. Si tratta di un appello alla «ragione pubblica», come la chiama Zagrebelsky, quello spazio democratico che non confini la religione nel campo delle convinzioni da esprimere solo in privato. Ma, pur ammettendola nella fondazione della società civile, neghi a qualsiasi concezione particolare la pretesa di possedere una verità assoluta, tale da imporla a tutti.