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ECCO CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE,

Ultimo aggiornamento: December 16 2011 18:55:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 13.38
Titolo:MA CHI DECIDE DI CHIAMARLO GESU'?
MA CHI DECIDE DI CHIAMARLO GESU'? PERCHE' GESU' SI CHIAMA "GESU'"? [Mt. 1, 21-25!!!].
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I CHERUBINI DELL'ARCA DELL'ALLEANZA E I "DUE COLOMBI" DELLA LEGGE (MARIA E GIUSEPPE) PORTANO LO STESSO BUON-MESSAGGIO: "DIO E' AMORE (1 Gv. 4.8):

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).


Per la chiesa cattolica-costantiniana, Giuseppe è ancora "un goj" - uno straniero (da sopportare e sfruttare)!!!

COME MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", COSI’ GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!

Dante non "cantò i mosaici" dei faraoni, ma la Legge del "Dio" di Mosè, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

RI-PENSIAMO BENE LA LEZIONE FRANCESCANA DEL "PRESEPE" COME DELL'ARCA DELL'ALLLEANZA, E RIEQUILIBRIAMO IL CAMPO DI TUTTE LE RELAZIONI TRA UOMINI E DONNE - TRA TUTTI GLI ESSERI UMANI!!!

GESU' NON ERA IL FIGLIO DI MARIA E DEL DIO-IMPERATORE DELL'UNIVERSO, MA DELL'AMORE (CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE!!! Dell’Amore che muove il Sole e le altre stelle....

BUON NATALE


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 18.55
Titolo:SACERDOZIO E SESSUALITA' (di Giuseppe Barbaglio, 1995)
Sacerdozio e sessualità

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio


di Giuseppe Barbaglio (Adista, 69-70, 14 ottobre 1995)


Il dibattito teologico in corso riguarda specialmente l'ingresso delle donne nel ministero sacerdotale,
ma resta pur sempre in primo piano anche l'ammissione di uomini sposati. Del resto, le due
questioni non mancano di punti di contatto, perché - lo anticipo qui come enunciazione di tesi salvo
mostrarne in seguito la plausibilità o fondatezza coinvolgono parimenti la valutazione e il vissuto
della sessualità.

Vorrei, anzitutto, ripercorrere alcune tappe del cammino del popolo di Dio
presentato nella Bibbia: mi riferisco, in concreto, all'antico Israele e alle prime comunità cristiane.

Ci possono offrire elementi importanti di riflessione in merito al nostro problema, che saranno
oggetto di un secondo momento di riflessione.

1. Desacralizzazione della sessualità


Un confronto drammatico, di cui testimoni preziosi e attivi protagonisti furono i profeti, oppose le
tribù israelitiche sedentarizzate nella terra di Canaan alla religione delle popolazioni residenti.

Queste esprimevano la loro apertura al trascendente a diretto contatto con la natura, da essi vissuta
come madre generosa, dispensatrice di fecondità e di fertilità. Avere molti figli, guardare
compiaciuti la crescita del gregge e godere dei frutti del campo, tutto ciò dava pienezza alla loro
esistenza e sostanza a un ideale di vita felice. E in questa esperienza totalizzante credevano di
incontrare le divinità sotto forma di forze personificate della natura, appunto delle forte vitalistiche
e gratificanti della fertilità e fecondità.

Per questo il principio divino era duplice, maschile e
femminile. Si rendeva dunque culto al dio Baal e alla dea Ashera con riti naturalistici e a carattere
sessuale. Così nella grande festa del Nuovo Anno, di tradizione mesopotamica, il re si univa
sessualmente con la grande sacerdotessa in un rito di "nozze sacre" dal valore sacramentale, capace
di produrre la fertilità del campo e la fecondità del gregge e della popolazione. Per la stessa ragione
esisteva il fenomeno della prostituzione sacra: le giovani donne in età da marito offrivano la loro
verginità al dio unendosi sessualmente nell'area del tempio ai prostituti sacri, per impetrare il dono
della fecondità matrimoniale.

Così la sessualità, vista soprattutto come esperienza procreativa,
faceva parte integrante del culto, perché dimensione essenziale della divinità, che era
necessariamente sessuata, maschio o femmina. Una divinità naturalistica, si noti, non distinta in
realtà dalla natura. In breve, il sesso era sfera "sacra", sottratto alla profanità del vivere e campo
d'incontro con il dio.

Le tribù israelitiche, venute a contatto con le popolazioni residenti, subirono
uno shock e soprattutto una grande attrattiva. I cedimenti idolatrici ai Baal - divinità maschili legate
ai diversi luoghi di culto - e alle Ashera sono documentati nei libri dei profeti, con particolare forza
in Geremia che non disdegna descrizioni di un crudo realismo: "Perché osi dire: Non mi sono
contaminata, non ho seguito i Baal?" Considera i tuoi passi là nella valle, riconosci quello che hai
fatto, giovane cammella leggera e vagabonda, asina selvatica abituata al deserto: nell'ardore del suo
desiderio aspira l'aria, chi può frenare la sua brama? Quanti la cercano non devono stancarsi: la
troveranno sempre nel suo mese. Basta che il tuo piede non resti scalzo e che la tua gola non si
inaridisca. Ma tu rispondi: No. E' inutile, perché io amo gli stranieri, voglio seguirli" (2,23-25).

I
profeti cercarono di erigere un argine, denunciando l'idolatria e richiamando il popolo alla fedeltà al
proprio Dio, che non è né maschio né femmina e che soprattutto deve essere compreso e vissuto
come guida della storia umana. Certo, egli ha a che fare con la natura, ma come creatore che ha
fatto i cieli e la terra, non come forza vitalistica della fecondità e fertilità. Queste sono forze del
mondo creato, di cui il popolo è esortato a ringraziare il munifico donatore e a farne libero uso.
L'esperienza sessuale è esperienza "profana", mondana: la sua vitalità procreativa è a disposizione
dell'uomo, senza alcun bisogno di riti sacramentali impetratori.

La predicazione profetica dunque ha
operato un processo di desacralizzazione e sdivinizzazione della natura e delle sue straordinarie
potenzialità ed energie, dunque della sessualità. Restituito alla sua naturalità e privato di ogni aura
divina e sacra, il sesso viene a far parte delle realtà buone, anzi molto buone del mondo creato,come si esprime la Genesi nella prima pagina: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona" (1,31).

Non solo nessuna divinizzazione del sesso, ma anche nessuna demonizzazione. Anzi
non mancano nella Bibbia pagine che esaltano in termini lirici l'incanto dell'unione sessuale
dell'amato e dell'innamorata, come fa il Cantico dei Cantici, in origine una raccolta di canti erotici
ambientati nelle feste rurali di sposalizio. E questo spiega che il matrimonio in Israele fosse un fatto
del tutto profano e mondano: nessuna liturgia, nessuna benedizione degli sposi, nessuna salita al
tempio.

Su questo sfondo si capisce che la tradizione biblica del sacerdozio israelitico non abbia
posto alcuna preclusione di carattere sessuale: i sacerdoti erano sposati, pure il sommo sacerdote,
avevano una normale esperienza sessuale. Certo, durante i giorni del loro servizio liturgico se ne
astenevano per motivi igienici e soprattutto in forza di tabù arcaici che poggiavano su una
concezione del culto e del rito come spazio separato, sfera a sé stante, in cui l'uomo entra lasciando
alle spalle la profanità della sua esistenza mondana.

Per lo stesso motivo tabuistico, per es., la donna
in stato mestruale non poteva partecipare al culto e chi aveva un cadavere in casa, essendone in
qualche modo contaminato, era inibito al culto. Tabù che erano stati codificati nella legge di purità
del Levitico, ma di cui Gesù fece tabula rasa quando affermò, a proposito dei divieti alimentari:
"Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo" (Mc 7,15). E Paolo lo
riecheggia in Rom 14,20 "Tutto è puro" e in 1 Cor 10,26, testo parallelo, ne indica la ragione,
facendo riferimento alla creazione: "perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene".

In
una parola, la fede biblica in Dio creatore del mondo, se colta nella sua ispirazione di fondo e pura
da ancestrali concezioni tabuistiche, non solo sdivinizza e desacralizza la sessualità, ma anche la
libera da ogni spiritualistica e dualistica denigrazione. Ed è certo per questo che la storia delle
comunità cristiane delle origini ci offre un quadro costante e illuminante in proposito: il culto
cristiano è libero da ogni limitazione in merito. Tanto più che è superata la legge della separatezza
che invece governava il culto israelitico, incentrato in un luogo a parte, in riti sacri, in officianti
"consacrati" e di casta.

Il capo famiglia che ospitava le comunità cristiane nella sua casa era il
naturale capo comunitario e la partecipazione attiva delle donne al lavoro missionario, cui dà ampio
risalto l'epistolario paolino, diventa un fatto scontato. La dimensione familiare caratterizzava al
fondo le aggregazioni dei cristiani: oltre al fatto delle riunioni periodiche nelle case di questo o di
quel credente benestante che poteva mettere a disposizione per le assemblee un'abitazione capace, si
noti la frequenza qualificante della terminologia familiare: sono fratelli; Paolo si dice padre dei
corinzi, da lui generati con l'annuncio evangelico e dunque suoi figli (1 Cor 4,15); chiama sorelle
Febe, diaconessa della Chiesa di Cencre (Rm 16,1), e Appia, co-destinataria della lettera a Filemone
(v. 1), ma anche, più in generale, la credente unita in matrimonio con un non-credente (1 Cor 7,15);
la prima lettera di Pietro, scrivendo a gruppi cristiani del nord della penisola anatolica "stranieri" o
paroikoi, cioè privi della pienezza dei diritti, senza "casa", sviluppa una ecclesiologia caratteristica
affermando che la comunità cristiana locale è "famiglia di Dio" (oikos tou Theou): quelli che
socialmente sono dei senza-casa, per grazia sono la casa di Dio. E finché questo quadro domestico
ha retto all'evoluzione dei tempi, non si è parlato neppure lontanamente di ministri celibi.


2. E oggi?


L'attuale disciplina della Chiesa cattolica latina che esclude gli sposati dal ministero sacerdotale, ma
anche le donne - un'aggiunta, questa, doverosa perché l'esclusione soggiace alla stessa dinamica -,
fa appello a nobilissime ragioni e tutte di grande rilievo spirituale, la dedizione totale e completa al
servizio, la testimonianza di marca escatologica dei cieli nuovi e della terra nuova dove "né si
prende moglie né si prende marito", secondo il famoso detto di Cristo, la conformazione a Gesù di
Nazaret celibe per la causa del regno dei cieli. E forse non sono completo nell'elencazione.

Nessuno
potrà mai contestare la nobiltà di tali valori cristiani ed evangelici che possono essere testimoniati
solo da chi ha ricevuto uno speciale carisma o dono di grazia, come dice chiaramente Paolo in 1 Cor
7,7.

La difficoltà nasce quando, per una regola disciplinare ed ecclesiastica, sono collegati al
ministero sacerdotale, per cui ministro e celibe per carisma vengono identificati.

Come spiegare tale
rigida connessione? La funzione sacerdotale richiede per se stessa ministri celibi? No, di certo. Di
fatto le ragioni addotte ed indicate sopra rientrano, per la disciplina della Chiesa cattolica latina, nelgenere della "convenienza", della "maggior convenienza".

Non credo però che su questa linea si
possa andare molto avanti nella discussione. Vorrei, da parte mia, sollevare l'interrogativo e se
invece fosse un'inconfessata e magari inconscia necessità psicologica di escludere dal culto rituale,
in concreto dai suoi ministri, qualsiasi presenta del sesso, visto come contaminante, incompatibile
con la sfera del sacro? Certo, si sprecano le dichiarazioni che la disciplina celibataria del clero
cattolico latino non significa per nulla una svalutazione o anche solo una minore stima
dell'esperienza sessuale.

Ma la psicologia del profondo ci ha fatti avvertiti dell'esistenza del
fenomeno della razionalizzazione di paure inconsce che spingono a trovare motivazioni razionali di
grande levatura capaci di tranquillizzarci nella nostra fuga da realtà avvertite con una grande carica
fobica. E anche davanti a questa rilevazione di carattere sperimentale si alzeranno alte grida contro
l'invasione indebita nella sfera religiosa della psicoanalisi.

Ma c'è un fatto incontrovertibile che
mette a nudo un sottofondo non chiarito nella prassi celibataria della Chiesa cattolica latina imposta
ai ministri del culto. Tra parentesi si vuole pure escludere che si tratti di un'imposizione, perché si
dice: la Chiesa è libera di scegliere i suoi ministri tra quanti hanno il carisma celibatario. E ritorno
subito al fatto che mi sembra costituire la prova del nove. Non sono mancati casi eccezionali in cui
ad uomini sposati e tuttora uniti alla moglie è stato concesso dall'autorità romana di poter esercitare
il ministero sacerdotale, ma con la precisa clausola di escludere qualsiasi esperienza sessuale
matrimoniale: il sacerdote in questione resti pure unito a sua moglie, viva sotto lo stesso tetto,
conduca una normale vita matrimoniale, ma viva nella continenza sessuale.

E' fin troppo chiaro
dunque che fa difficoltà proprio il sesso, non il matrimonio in quanto tale. Un ministro che presieda
la celebrazione dell'eucaristia, sieda in confessionale, in breve sia ministro dei sacramenti, e nello
stesso tempo abbia una vita sessuale normale suscita resistenze incontenibili, fobie oscure, paure
tabuistiche di contaminazione.

I sacramenti, luoghi d'incontro con Cristo, a sua volta grande e
universale sacramento d'incontro con Dio, sono vissuti in modo sacrale, come sfera separata dalla
profanità, in concreto dalla profanità dell'esperienza sessuale.

Eppure Paolo nella lettera ai Romani
esorta così i suoi interlocutori: offrite a Dio come sacrificio vivo, santo e a lui gradito "i vostri
corpi / ta somata hymon", dunque integralmente voi stessi, la vostra vita mondana senza alcuna
separazione di ambiti o di sfere (12,1).

Sì, perché una volta che il figlio di Dio si è fatto "carne",
dunque essere terrestre e mondano, ed essendo la salvezza legata strettamente alla "carne" (caro
cardo salutis), non è più possibile separare sacro da profano, tra sfera dell'incontro cultuale con Dio
e sfera al di fuori del santuario (profano, che sta davanti al fanum, al recinto sacro).

In conclusione,
non solo la fede creazionistica di tutta la tradizione biblica ma anche la fede incarnazionistica che in
Cristo trova il suo incomparabile vertice stanno saldi come due punti di riferimento per una
riflessione teologica avvertita e non priva di valenza critica circa la prassi celibataria generalizzata
dei ministri sacerdotali della Chiesa cattolica latina, che non per nulla ha grande difficoltà di fronte
alla prospettiva dell'ammissione delle donne al ministero sacerdotale.

Non sarà che queste sono
collegate, nell'immaginario più o meno inconscio, con la sfera sessuale e quindi cadono sotto la
scure dell'ostracismo di marca tabuistica e fobica? Il mondo, e in esso la sfera sessuale, non è
vissuto, come vorrebbe la fede creazionistica e incarnazionistica, come realtà "mondana" e
radicalmente positiva nei suoi aspetti naturali, bensì come insieme di grandezze "profane", separate,
in qualche modo contaminanti la "purezza" del culto e del rito. (Mi si permetta di citare, per un
approfondimento, il mio "La laicità del credente interpretazione biblica". Cittadella ed., Assisi
l987).

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di
disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si
misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio.