I commenti all'articolo:
IL PAPA EMERITO, L'ANELLO DEL PESCATORE (PIRATA) DISTRUTTO, E UNA BUONA OCCASIONE PER LA CHIESA. Una nota  - con appunti  ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March 03 2013 11:43:27.

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 17.31
Titolo:In fondo, il passo indietro del Papa si può interpretare anche come ammissione d...
Il declino vaticano, specchio dell'Europa

di Massimo Franco (Corriere della Sera, 27.o2.2013)

La decisione di dimettersi di Benedetto XVI è stata epocale. E ha chiuso non soltanto il suo pontificato ma una stagione plurisecolare. Il suo gesto ha spinto quasi a forza il Vaticano dalla parte opposta di un simbolico confessionale. La Chiesa è stata costretta dalla propria crisi di identità nella posizione scomoda di chi deve spiegare e confessare i propri «peccati»; farsi accettare; e convincere l'opinione pubblica che si sta ravvedendo.

Con la decisione epocale di dimettersi da papa il 28 febbraio 2013, Benedetto XVI ha chiuso non solo la parabola del suo pontificato ma una stagione plurisecolare. E ha permesso di comprendere in modo traumatico un fenomeno che si intuiva oscuramente, senza riuscire a metterlo a fuoco perché considerato troppo inverosimile: il Vaticano è stato spinto quasi a forza dalla parte opposta di un simbolico confessionale.

La Chiesa, «maestra di vita» per antonomasia, è stata costretta dalla propria crisi di identità nella posizione scomoda, e per molti versi inedita, di chi deve spiegare e confessare i propri «peccati»; giustificarsi; farsi accettare; e convincere l'opinione pubblica che si sta ravvedendo, che è pentita, che cambierà modo di agire.

Si tratti dello scandalo della pedofilia, della trasparenza delle finanze della Santa Sede, delle tasse sugli immobili della Chiesa o degli intrecci con una Seconda Repubblica italiana nella fase finale della sua parabola, il Vaticano sembra condannato a sedere sul banco degli accusati.

A volte si ha perfino l'impressione che sia diventato una sorta di «imputato globale», messo sotto accusa dalla cultura occidentale. È come se gli si rimproverasse di non essere più lo stesso, di avere tolto la bussola morale a milioni di cittadini europei. Anche se non è chiaro fino a che punto sia stato lo stesso Occidente a perdere le coordinate etiche.

Ma è difficile sottrarsi all'impressione che la Chiesa viva una fase declinante; che la sua proiezione mondiale debba fare i conti con la consapevolezza di essere diventata una minoranza circondata dalla diffidenza o dall'indifferenza. Si tratta di un «impero» che può essere spinto dalle difficoltà a chiudersi in se stesso in modo orgoglioso ma perdente, di fatto favorendo la propria emarginazione; oppure indotto ad aprirsi in positivo a quella che viene chiamata modernità, sfidando la condizione scomoda di chi si vede contestare il primato morale.

Per ironia della sorte, ormai la Chiesa viene messa all'indice perfino quando è vittima e non responsabile di quello che accade: vittima anche nel senso più letterale del termine, al confine fra vita e morte. Quando si scorrono le cronache sulle stragi di cristiani in alcuni Paesi islamici e in Africa, è difficile non parlare di persecuzione.

Eppure, dopo le ambigue primavere arabe, le minoranze religiose legate al Vaticano sono additate come colpevoli per essere state alleate dei dittatori laici travolti dalle rivolte scoppiate nel Maghreb e in Egitto negli ultimi due anni: dal libico Gheddafi all'egiziano Mubarak. La Chiesa è messa dalla parte dei «perdenti», ma non nel senso nobile del termine. È accusata dalle nuove élite islamiche di essere stata complice di regimi autoritari, sebbene la ragione fosse quella della pura sopravvivenza. La protezione da parte di tali dittature, pagata peraltro a caro prezzo in termini di libertà, salvava le piccole comunità cristiane dal pericolo di essere sterminate e costrette ad andarsene. Come sta accadendo adesso.

Ma il caso più eclatante di un Vaticano vittima che alla fine si ritrova comunque nei panni dell'imputato è quello dei processi per la fuga di notizie riservate, che ha coinvolto addirittura l'Appartamento: parola alla quale la maiuscola fa assumere il significato di qualcosa di sacrale e inviolabile, perché si tratta dell'abitazione e degli uffici del papa. È stata una vicenda triste, dolorosa e traumatica per Benedetto XVI.

E sconvolgente per chi è abituato a pensare alla Chiesa come a una «società perfetta» almeno nelle sue stanze più alte, dotata di una superiorità morale, di un'unità e di un'armonia che mancano altrove e che sono una delle principali fonti della sua legittimazione. Anche in quel caso, il fatto che l'imputato fosse il maggiordomo storico di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, ha gettato sull'intera vicenda una luce surreale. Alla sbarra è andato lui. Eppure, il suo arresto è stato quello virtuale di una cerchia di solidarietà e di abitudini, di silenzi e di imperdonabili leggerezze.

Sia perché alla fine lo scandalo è stato circoscritto in modo tale da fare apparire il maggiordomo insieme colpevole e capro espiatorio; sia perché non ci si è potuti non chiedere che tipo di ambiente umano lo abbia spinto a comportarsi in quel modo criminale. Sorprende il fatto che per anni abbia potuto agire indisturbato, senza che l'intelligence vaticana abbia mai sospettato nulla. Le voci contraddittorie su un perdono papale al suo maggiordomo «Paoletto» dopo la condanna, prima dato per scontato, poi rimandato fino a pochi giorni prima del Natale 2012, hanno aggiunto confusione e sospetti sul processo.

Soprattutto, al fondo è rimasta una sensazione sgradevole. E cioè che dentro le Sacre Mura abbiano trovato un habitat ideale i cosiddetti «Corvi»: personaggi spregevoli che in certi tribunali malati di faide e intrighi fanno uscire in modo anonimo notizie riservate e diffamanti, e che in Vaticano hanno agito per danneggiare l'uno o l'altro cardinale e perfino Benedetto XVI.

Quei palazzi che incutono rispetto e timore sono diventati in modo imprevedibile e sconcertante il nido dei Corvi. Li hanno cresciuti e moltiplicati, senza che nessuno sia riuscito a vedere o abbia voluto capire dove nascessero e perché.

È il paradosso di una Chiesa che ha per ragione sociale il primato morale, la difesa del significato più autentico dei valori della vita, l'insegnamento della fede. E invece mostra discordia, standard etici e comportamenti non solo discutibili ma contraddittori rispetto ai valori che promuove; e dunque rivela un divario sconcertante fra ciò che predica e quello che fa.

Dopo il tramonto di «un» Vaticano, quello plasmato dalla guerra fredda, stiamo assistendo alle conseguenze di questo declino. È finito il monopolio del giudizio su ciò che è bene e male per l'Occidente. Dal Paradiso virtuale, il Vaticano è passato a rappresentare il Purgatorio di una lunga espiazione della quale non si vede ancora la fine. Ed è diventato più evidente che la crisi è soprattutto quella di un sistema di governo inadeguato ai nuovi tempi. Il cuore del paradosso infatti pulsa a Roma, la Roma pontificia.

È dalla capitale del cattolicesimo che si propagano onde di incertezza e disorientamento. Ed è questo che fa più paura e preoccupa: storicamente, le grandi crisi degli imperi e delle istituzioni si rivelano e si consumano quando partono dal centro, e non dalla periferia.

Ma l'affanno all'interno del «suo» Occidente non dilata solo l'immagine del declino vaticano: riflette la crisi di identità del Vecchio Continente che combatte una sorta di guerra civile fra cristianesimo e indifferenza, fra valori religiosi e individualismo, senza riuscire a trovare un punto di compromesso.

La conseguenza è una rapida evoluzione verso un «mondo post-occidentale», come l'ha definito il Rapporto sui trend mondiali di qui al 2030 del National Intelligence Council. Il declino dell'impero vaticano accompagna quello degli Usa e di un'Unione Europea in crisi economica e demografica. Mostra un modello di papato e di governo ecclesiastico centralizzato, sfidati da una realtà inesorabilmente frammentata e decentrata; dominata da attori non statali e da religioni «fai da te», e da coordinate culturali che la classe dirigente vaticana fatica a elaborare e utilizzare.
D'altronde, la dicotomia Vaticano-Chiesa mai come adesso, forse, è vistosa e in qualche misura positiva.

Altrove la Chiesa cattolica è viva e vitale: perfino in alcuni Paesi di un Occidente che tende a osservarla come un retaggio del passato, e che sembra deciso a sottrarle a uno a uno i vecchi privilegi. Negli Stati Uniti, in America Latina, e soprattutto nell'Africa che non teme il martirio, il cattolicesimo appare consolidato, comunque meno fragile.

Ma dentro la Città del Vaticano si sta consumando la fine di un modello di governo e di una concezione del papato; e la decadenza di una nomenklatura ecclesiastica che rischia di passare alla storia con un carico di responsabilità esagerato rispetto a quelle che realmente ha a livello individuale. Il «papa teologo» ha denunciato di volta in volta quello che non andava, dipingendo affreschi inquietanti della realtà all'interno delle Sacre Mura. Ha analizzato il male, cercato i rimedi.

Ma si è sempre avuta l'impressione che mancasse qualcosa, perché gli aggiustamenti, per quanto radicali, non mettevano in discussione il sistema. Tentavano di risolvere il problema che di volta in volta esplodeva, ma non lo anticipavano, non riuscivano a prevederlo: insomma, non cambiavano un terreno di gioco che invece nel mondo era stato già sconvolto.

È significativo che in alcuni ambienti ostili si tenda a raffigurare il Vaticano come un «secondo Cremlino»: non quello trionfale e controverso del nuovo zar dei petrorubli Vladimir Putin, ma il Cremlino dell'Unione Sovietica, crollato con la sua classe dirigente insieme al comunismo. Dopo il simbolo del potere sovietico, predicono i nemici del Vaticano, cadrà anche il baluardo morale dell'anticomunismo.

Pur avendo vinto la guerra fredda, il Vaticano sarà sconfitto nel prossimo futuro, perché è venuto a mancare il suo storico avversario. È questa la tesi radicale, e a dir poco discutibile, che aleggia soprattutto in alcuni circoli del nord Europa: gli stessi che vagheggiano un'alleanza virtuosa delle nazioni protestanti e finanziariamente affidabili, contro il «lassismo» fiscale e impunito dei Paesi cattolici del Mediterraneo, a cui si aggiunge il sovraccarico della Grecia ortodossa.

Anche la crisi economica è rimbalzata addosso alla Chiesa cattolica in modo paradossale. Nata nel 2008 nelle stanze più potenti e segrete di Wall Street, la strada della Borsa di New York, e delle sue banche d'affari, si è propagata in Europa come un'epidemia provocata da un virus difficile da individuare.

Ma, invece di spingere ad analizzarne le origini, ha finito per risvegliare vecchi fantasmi del passato europeo, facendo riemergere le rughe e i veleni delle guerre di religione. Ha messo a forza sul banco degli imputati, inginocchiati come peccatori incalliti, la cultura e i popoli a maggioranza cattolica; e, sotto sotto, una Chiesa che assolvendo troppo facilmente si assolve troppo e che dunque si sarebbe «italianizzata» nel modo peggiore: al punto da evocare il concetto di «spread morale» su un ideale mercato della fede, che si intreccia allo «spread» dei titoli di Stato italiani sovrastati dalla «bontà» finanziaria di quelli tedeschi.

Paradosso nel paradosso, questo è avvenuto mentre sul soglio di Pietro sedeva un Papa tedesco bavarese che rifletteva nella sua persona tutta la ricchezza e le complessità dell'identità europea. L'ultimo atto d'accusa, l'alleanza che negli ultimi quindici anni la Chiesa italiana e il Vaticano hanno di fatto siglato con il centrodestra berlusconiano, lascia un segno a dir poco controverso sui rapporti fra Stato e Chiesa e sul cattolicesimo politico, che riemerge residuale e confuso. La stessa esigenza di una «nuova classe di politici cattolici», per quanto rilanciata in continuazione, si sta rilevando velleitaria, smentita com'è da una realtà di protagonismi e invidie. Sembra sottovalutare il problema altrettanto acuto di una nomenklatura ecclesiastica all'altezza dei tempi nella lettura della società italiana. In fondo, il passo indietro del Papa si può interpretare anche come ammissione di una inadeguatezza collettiva.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 18.21
Titolo:VERSO UN'ERA COLLEGIALE ....
Verso un’era collegiale

di Franco Cardini

in “Quotidiano.Net” (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione) del 13 febbraio 2013

È ancora presto per aspettarsi risposte sicure o comunque più attendibili e verosimili alla domanda che tutti ci andiamo ponendo in queste ore: quali sono state, nello specifico, le vere grandi ragioni che hanno indotto Joseph Ratzinger a rinunziare al suo alto ufficio?

Dalla ridda delle ipotesi va emergendo una direzione interpretativa che non va sottovalutata: che cioè Benedetto XVI si sia tirato indietro non in quanto disorientato dinanzi all’enigma delle prove che ancora attendono il pontificato e la Chiesa bensì, al contrario, in quanto fin troppo conscio della loro qualità ed entità. Non è escluso che l’autentico nucleo del messaggio inviato con queste dimissioni sia che sta giungendo per l’intera comunità cristiano-cattolica il momento di voltare sul serio pagine.

La ‘Profezia di Malachia’, qualunque sia il valore che vogliamo attribuirle, assegna al prossimo pontefice, Petrus Romanus, il ruolo di ultimo papa: e poi? Fine della Chiesa e magari fine del mondo, si è detto. Ma forse - proseguiamo nel gioco dell’attribuzione di un qualche valore a quell’antico e dubbio testo - ciò cui si allude è semplicemente un sia pure rivoluzionario mutamento istituzionale.

È la funzione pontificia che potrebbe venir messa in discussione ed esser fatta oggetto di cambiamenti radicali in un futuro magari prossimo. E potrebb’essere la consapevolezza di questa incombente rivoluzione ad aver suggerito a papa Benedetto che è ormai arrivata l’ora di farsi da parte. È a questo punto più chiaro il senso delle polemiche relative al valore e alla funzione del Concilio Vaticano II, che negli ultimi tempi erano arrivate a un livello d’intensità e di durezza che non si giustificava solo con la coincidenza del cinquantesimo anniversario di quell’evento.

In effetti potremmo affermare, parafrasando Marx ed Engels, che uno spettro si aggira nella storia della Chiesa cattolica moderna: il Concilio. L’assemblea dei capi delle singole comunità (le «chiese» vere e proprie) che nel loro insieme costituivano la comunità dei credenti nel Cristo, si affermò fino dai primi tempi di libera vita della Chiesa a partire dal IV secolo. I vescovi si riunivano periodicamente per regolare le questioni concernenti i dogmi, la liturgia e la disciplina comuni. Tali riunioni riunivano di solito solo alcune circoscrizioni locali, ma in casi di maggior importanza tutti i vescovi del mondo cristiano erano tenuti a partecipare: si aveva allora il «Concilio ecumenico», durante il quale si prendevano le grandi decisioni.

In tutto, la Chiesa ha fino ad oggi tenuto 21 Concilii ecumenici: fondamentali tra essi quelli del IV-V secolo (di Nicea, di Efeso, di Calcedonia), nei quali letteralmente si fondarono dogma, liturgia e disciplina; tra gli altri, ebbero speciale rilievo i quattro Concili lateranensi del 1123, del 1139, del 1179, del 1215, durante i quali si andò affermando, dopo lo scisma che aveva separato dal 1054 la Chiesa greca dalla latina, il principio - già del resto precedentemente proposto - del «primato di Pietro», cioè dell’autorità e del potere del vescovo di Roma come capo effettivo e supremo della compagine ecclesiale latina.

Il nucleo profondo della vita della Chiesa, espressa attraverso i vari Concili, era la continua necessità di riformarne la vita e i costumi. Reformatio è quasi la parola magica che attraversa il mondo ecclesiale soprattutto tra XI e XVI secolo. Ma appunto durante il medioevo apparve sempre più chiaro che autorità personale del vescovo di Roma e autorità collegiale degli altri vescovi erano in obiettivo conflitto tra loro.

Esso divenne drammatico nella prima metà del Quattrocento allorché - dopo il lungo periodo avignonese e il cosiddetto «Grande Scisma d’Occidente» che lo aveva seguito a ruota, tra 1378 e 1414 - la deposizione l’uno dopo l’altro di ben tre pontefici (Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V) in soli cinque anni tra 1409 e 1414 e la successiva convocazione di due grandi Concilii, a Costanza fra ’14 e ’17 e a Basilea (poi trasferito a Ferrara e quindi a Firenze) fra ’39 e ’49, mise talmente in discussione l’autorità papale da consentir la nascita di una nuova dottrina, detta appunto “conciliarismo”, che postulava la superiorità del Concilio sul papa in termini di direzione della Chiesa.

Una di quelle coincidenze non infrequenti nella storia volle che fosse proprio l’intellettuale che come segretario del Concilio di Basilea aveva contribuito in modo determinante alla nascita della dottrina conciliaristica, il senese Enea Silvio Piccolomini, una volta divenuto papa col nome di Pio II si rivelò il più deciso e feroce paladino del monarchismo pontificio.

Dopo la metà del Quattrocento, i Concilii diventarono molto rari. Il V Concilio lateranense tra 1512 e 1517, che avrebbe dovuto decisamente riformare la Chiesa sconvolta dal malcostume dei pontefici e dei prelati del secolo precedente, si concluse con quella che è passata alla storia come la «Riforma» per eccellenza, la protestante, che coincise peraltro con un grande scisma all’interno della Chiesa d’Occidente.

Dopo allora, il fallimento al suo principale scopo del Concilio di Trento, che si svolse dal 1545 al 1563 con l’iniziale obiettivo del risanamento dello scisma avviato da Lutero, servì quasi da vaccino per i vertici della Chiesa romana: dopo allora non si convocarono più Concilii ecumenici prima del grande Vaticano I del 1870, che fu riunito appositamente per rafforzare l’autorità del papa di Roma e addirittura - in un grave momento di crisi politica, la fine del potere temporale - ne proclamò l’infallibilità ex cathedra.

Il Vaticano II emendò, modificò e corresse l’indirizzo del Concilio precedente e dette vita a una nuova stagione di teorie neoconciliariste, sostenute soprattutto dalla scuola dei teologi e degli storici dossettiani di Bologna. Dopo allora, il lungo pontificato di Giovanni Paolo II coincise con una rinnovata era di forte monarchismo papale, del quale Joseph Ratzinger fu il teologo. Ma è proprio lui, una volta divenuto papa, che dopo un governo di otto anni lascia significativamente l’incarico subito dopo un concistoro di cardinali che (non lo sappiamo) può essere stato tempestoso.

E allora, la domanda che è legittimo formulare è questa: che la nuova età della Chiesa, quella che Benedetto XVI ha compreso necessaria ma non si è sentito di gestire, sia quella di una rinnovata proposta conciliaristica di direzione non più monarchica, bensì collegiale della Chiesa cattolica? Il prossimo conclave e il nuovo pontefice risponderanno a questa domanda.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/2/2013 06.49
Titolo:BENEDETTO XVI. "Momenti difficili, ma la Chiesa è viva. Non mi ritiro a vita pri...
Sei in:
Repubblica >
Esteri >
Benedetto XVI commosso all'ultima …

+
-
Stampa
Mail



4



Benedetto XVI commosso all'ultima udienza:
"Scelta difficile. Non scendo dalla croce"

Ratzinger, davanti a 200mila fedeli, torna a parlare delle dimissioni: "Momenti difficili, ma la Chiesa è viva. Non mi ritiro a vita privata". E poi: "Grazie per essere così numerosi". In prima fila i cardinali Dolan, Pell e Bagnasco. Il pontificato si conclude domani alle 20. Poi Ratzinger sarà "papa emerito"




CITTA' DEL VATICANO - ''Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima udienza generale del mio pontificato. Grazie di cuore, sono veramente commosso e vedo la Chiesa viva e penso che dobbiamo dire grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona anche se è inverno!". Con queste parole Benedetto XVI ha salutato i quasi 200mila fedeli presenti questa mattina in piazza San Pietro per la sua ultima udienza generale. "Il 19 aprile del 2005 ho pensato: Signore, che cosa mi chiedi? È un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi sulla Tua parola getterò le reti'' e ''il Signore mi ha veramente guidato'', ha detto il Papa, ripercorrendo il suo pontificato e sottolineando le difficoltà attraversate. "In questi 8 anni il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto sentire la sua presenza ogni giorno. La Chiesa ha vissuto giorni felici, ma anche momenti non facili, nei quali mi sono sentito come San Pietro in barca con i pescatori. Il Signore sembrava dormire, ma ho sempre saputo che in quella barca c'era. La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua, e il Signore non la lascia affondare".

In prima fila. Hanno assistito all'ultima udienza generale numerosi cardinali. In prima fila, sul sagrato della Basilica di San Pietro, i cardinali di Curia Re, Braz de Aviz, Canizares e Antonelli chiacchierano con alcuni arcivescovi residenziali già arrivati per il Conclave, tra i quali l'italiano Bagnasco, gli
statunitensi Dolan e Wuerl, l'australiano Pell.

Mai solo. "Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino". Tra gli applausi, Benedetto XVI ha ringraziato i cardinali e i collaboratori, "ad iniziare dal mio Segretario di Stato Bertone, che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni". Proprio l'uomo finito più volte nel mirino delle polemiche negli ultimi mesi, soprattutto con l'esplosione del caso Vatileaks.

Nessuna privacy. ''Chi assume il ministero petrino - ha detto ancora Papa ritornando con il pensiero ai sentimenti del giorno dell'elezione - non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare - ha aggiunto - e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona''. E il pensiero corre ai documenti spariti dalla scrivania del Papa, nel palazzo apostolico.

"Non abbandono la croce". Da oggi la sua vita non sarà comunque un ''ritornare nel privato''. Benedetto XVI ha detto che non avrà ''una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze, eccetera. Nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso".

Passo grave, ma sereno. Il Papa è tornato a sottolineare la gravità della sua decisione, confermando però di aver fatto il passo con serenità: "Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma anche con una profonda serenità d'animo. Negli ultimi mesi - ha aggiunto - ho sentito che mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio di illuminarmi nella preghiera per farmi prendere la decisione più giusta non nel mio bene, ma per il bene della Chiesa".

Preghiere per il successore. Un pensiero è stato rivolto anche al successore: "Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo successore dell'Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito", ha detto il pontefice, che ha colto l'occasione anche per ringraziare i media: "Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio".

Grazie Italia. Un particolare saluto il Pontefice lo ha riservato ''alla cara Italia e a Roma''. Rivolgendosi ai pellegrini di lingua itaiana il Papa ha aggiunto: ''grazie per il vostro affetto e amore, grazie''. ''Cari amici - ha quindi aggiunto - grazie per questi otto anni, grazie per la gioia della vostra fede''.

Il messaggio di Napolitano. Al Papa tedesco ''vanno il mio commosso e affettuoso pensiero,e la mia ammirazione per la responsabilità mostrata dinanzi alle prove del suo magistero in un momento cruciale per la Chiesa cattolica''. Lo ha detto Napolitano in un discorso oggi a Monaco dove ha ricordato che la
Baviera è la terra natale del Pontefice.

La gioia di Cristo su Twitter, domani account chiuso. ''Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano, di essere amato da Dio che ha dato suo Figlio per noi''. È questo il nuovo messaggio diffuso da Benedetto XVI su Twitter. Domani, ultimo giorno di pontificato, l'account del papa sarà chiuso.

Alemanno a incontro privato. Al termine dell'ultima udienza di Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha partecipato ad un incontro privato, nella sala Clementina del Vaticano, che il Santo padre ha avuto con i capi di Stato giunti da tutto il mondo per rendergli omaggio.

Grandi misure di sicurezza. Il Pontefice è stato accolto da un'ovazione, quando la jeep ha fatto il suo ingresso: accanto al Papa, come sempre, il segretario, monsignor Georg Gaenswein. La vettura si è fermata qualche istante per permettere a Benedetto XVI di prendere in baccio un bambino. La zona era sorvegliata a vista da centinaia di uomini delle forze dell'ordine. Il Papa dimissionario ha fatto il giro dei settori nella piazza con la 'papamobile' per salutare da vicino quanti più fedeli possibile: quelli della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ma anche dall'estero. In piazza bandiere dagli Usa alla Polonia, dall'Egitto alla Cina, dalla Bolivia alla Germania, patria di Joseph Ratzinger.


Udienza n°348. Quella odierna è stata la 348ma udienza generale di Benedetto XVI nei suoi otto anni di pontificato. Incontri con fedeli e pellegrini, quelli del mercoledì mattina in piazza San Pietro o nell'Aula Paolo VI in Vaticano, che hanno radunato in totale 5.116.600 fedeli (dall'aprile 2005 al 27 febbraio 2013). La partecipazione più numerosa è avuta nel 2006 quando, alle 45 udienze generali di quell'anno, hanno preso parte 1.031.500 fedeli. È, invece, il 2011, con un totale di 45 udienze generali, a far registrare il numero più basso di fedeli, in tutto 400.000. Per quanto riguarda, invece, l'anno in corso quella odierna è l'ottava udienza generale di Papa Ratzinger.

Nuove dimissioni. Ancora dimissioni nelle alte sfere della Chiesa: il Papa ha accettato oggi le dimissioni "per infermità o altra grave causa" di due vescovi, l'inglese Patrick Altham Kelly, arcivescovo di Liverpool, e l'ausiliare di Armagh in Irlanda, Gerard Clifford.



* la Repubblica, 27 febbraio 2013)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/2/2013 07.24
Titolo:al di la' della mistica papale. L'ultimo discorso di Benedetto XVI ...
L’ultimo discorso

di Massimo Faggioli (Huffington Post Italia, 27 febbraio 2013)

L’ultimo discorso di papa Benedetto XVI, tenuto in piazza San Pietro all’ultima udienza generale di mercoledì 27 febbraio, non è forse il più importante del suo pontificato dal punto di vista teologico e politico, ma è di certo il più importante e il migliore tenuto da Joseph Ratzinger da vescovo.

In un certo senso, questo discorso potrebbe plasmare la sua eredità e percezione, e fare di Benedetto XVI un papa emerito molto più "popolare" di quanto non lo sia stato come papa sulla cattedra di Pietro in questi otto difficili anni. Nel discorso il papa non ha nascosto le difficoltà attraversate dal pontificato, e non ha nascosto - cosa rimarchevole per un papa - la sensazione di abbandono da parte di Dio, la stessa sensazione che tanti altri cristiani provano in molti momenti della loro vita.

Il discorso non è stato privo di accenti tipici dei discorsi di Giovanni XXIII, tesi a ridimensionare la "mistica papale" - quell’aura di sacralità creata nei secoli attorno al papato non solo come ufficio nella chiesa, ma anche attorno alla persona. Ma allo stesso tempo, il ridimensionamento della mistica papale ha un contrappasso, vale a dire il suo ruolo universale, e non solo per la chiesa o i cattolici: "il cuore di un Papa si allarga al mondo intero". Questo è uno dei costi maggiori e più difficili da sostenere per il papa e per il cattolicesimo contemporaneo, ma che fanno della chiesa cattolica un’antenna molto sensibile per comprendere il mondo globale.

Questo discorso rappresenta una chiave di lettura importante per comprendere il ruolo di questo pontificato nella chiesa contemporanea. Se per alcuni versi il pontificato di Benedetto XVI va letto in continuità culturale e teologica con quello di Giovanni Paolo II, questo discorso invece ne sottolinea le diversità: in primo luogo per la capacità di spersonalizzare il papato, o meglio, di viverlo in modo personale senza imprigionarlo dentro un atletismo mistico che non si confà a Joseph Ratzinger.

In una chiave tipica della "umiltà istituzionale" che è nella teologia del papato dal concilio Vaticano II in poi, Benedetto XVI ha enfatizzato la dimensione pastorale del ministero: "Ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti".

Morire in pubblico, come Giovanni Paolo II, o ammettere in pubblico la difficoltà, anche per papa Benedetto XVI, di rinunciare a qualsiasi "privacy" (termine che oggi forse entra per la prima volta nel vocabolario dei pontefici romani): "il papa appartiene a tutti, non appartiene più a se stesso". Sono due modi diversi, entrambi contro-culturali, di testimoniare il messaggio cristiano al mondo contemporaneo.

Assistiamo in questi giorni a un’eccezionale ridefinizione del ruolo del papa nella chiesa e nel mondo. Su quella straordinaria scena del sacro in Occidente che è la piazza di San Pietro in Roma, il papa si congeda dal pubblico, ma non dalla chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 13.44
Titolo:BOFF. Ratzinger non era all’altezza. Vatileaks, il colpo finale
- Il teologo Leonardo Boff
- “Ratzinger non era all’altezza. Vatileaks, il colpo finale”

- Come prefetto del Sant’Uffizio, scrisse una lettera in cui chiedeva ai vescovi di impedire che i preti pedofili venissero portati davanti ai tribunali

di Alessandro Oppes (il Fatto, 1.03.2013)

“Una grande pena. Pena e compassione”. Nel lungo ragionamento, a tratti molto duro, di Leonardo Boff sulla figura del Papa che da ieri sera non è più Papa, queste sono forse le parole di maggiore vicinanza e comprensione. Pena per l’implicita ammissione di un fallimento, compassione per la figura di un pontefice che ha dovuto gettare la spugna di fronte all’enormità di una missione costellata di ostacoli insormontabili, in un ambiente diventato ormai irrespirabile.

Dell’uomo che un tempo gli fu amico, il grande teologo brasiliano ricorda ancora che è “una persona estremamente gentile, estremamente cortese, estremamente timida, estremamente intelligente”. Così, senza tralasciare neppure un superlativo.

Nonostante tutto, pur se di mezzo, e dopo una frequentazione proficua durata cinque anni in Germania, ci fu quel famoso processo sommario: il Ratzinger che, una volta nominato cardinale di Curia e assurto alla guida del’’ex-Sant’Uffizio, nel 1984 convoca Boff in Vaticano e lo condanna al “silenzio ossequioso” per zittire la voce scomoda della Teologia della liberazione, di cui era rappresentante di punta.

“Da allora, non ci siamo più visti. Io non ho mai conservato rancore nè risentimento, perché ho capito la logica che determinava quella decisione, pur non essendo d’accordo. Il suo sospetto era che la nostra visione teologica fosse il cavallo di Troia attraverso il quale il marxismo si faceva strada nella Chiesa. Questa era la sua idea. Ma so che ancora oggi, quando parla di me, si esprime in termini persino affettuosi. Mi definisce come ‘il teologo pio’”

Leonardo Boff, oggi 75enne, risponde alle domande del Fatto Quotidiano al telefono dalla sua casa di Jardim Araras, una riserva ecologica alla periferia di Petropolis, l’antica città imperiale brasiliana che fu residenza dei Bragança, a poco più di un’ora di distanza da Rio de Janeiro.

Un gesto rivoluzionario, o semplicemente umano, quello di Benedetto XVI che abbandona la cattedra di Pietro?

Un chiaro gesto d’impotenza, in parte dovuto all’età, in parte alla gravità dei crimini nei quali l’istituzione ecclesiastica si è vista immersa nel corso di questi ultimi anni. Scandali sessuali, sete di denaro, pedofilia. Il vero Spirito Santo, di questi tempi, si chiama Vatileaks. Di fronte a questa situazione, il Papa è stato colto da una profonda depressione.

Una fuga dalle responsabilità?

No, è qualcos’altro: è un Papa che demitizza la figura del Papa, che si riconosce umano come tutti gli altri umani. C’è tutta una papolatria che è stata coltivata troppo a lungo, soprattutto per interessi interni alla gerarchia vaticana. Lui, con un gesto inedito e in questo senso da lodare, è stato capace di distinguere tra la persona del Papa, che può essere malata, o sentirsi per qualche motivo debole, e la funzione del Papa, che è quella di governare la Chiesa.

Non è rimasto sorpreso da questa decisione?

No, posso dire che me l’aspettavo. Joseph Ratzinger è uomo troppo sensibile e timido, incapace di maneggiare i conflitti. Ad un certo punto ha capito di avere a che fare con una sorta di governo parallelo gestito dal cardinale Tarcisio Bertone.

In sostanza, pensa che non sia stato all’altezza delle circostanze?

Non solo non è stato all’altezza delle sfide, ma ha anche commesso una serie di errori molto gravi. Prima con i musulmani, con quell’infelice discorso all’università di Ratisbona che provocò violente reazioni nel mondo islamico. Poi con gli ebrei, urtandone la sensibilità. Poi con i levebvriani, annullando la scomunica del vescovo Williamson, negatore dell’Olocausto. Ha fatto della Chiesa un’istituzione machista e reazionaria, che ha mantenuto un rapporto estremamente negativo con le donne, con gli omosessuali, che non ha saputo affrontare i temi della morale sessuale.

Si è molto polemizzato intorno ai silenzi e i ritardi del Papa sugli scandali di pedofilia.

L’origine della questione risale all’epoca in cui era ancora cardinale: come prefetto dell’ex Sant’Uffizio, scrisse una lettera in cui chiedeva ai vescovi di impedire che i preti pedofili venissero portati davanti ai tribunali. Poi, da Papa, quando cominciavano a emergere le prove del coinvolgimento non solo di sacerdoti ma anche di vescovi e cardinali in quelle pratiche, si è dovuto ricredere, ha cominciato a prendere decisioni per bloccare il fenomeno. Ma non sarà mai possibile dimenticare che si è reso complice di quei crimini.

Nella sua ultima intervista, il cardinale Carlo Maria Martini disse che la Chiesa è rimasta in ritardo di almeno duecento anni. Condivide questa valutazione?

Io andrei ancora più in là, parlando non di 200 ma almeno di 500 anni e anche più. Dall’epoca della Riforma la Chiesa ha un atteggiamento negativo nei confronti del mondo, chiamando la democrazia come delirio moderno. É rimasta afferrata al tempo medioevale. Questo Papa, ancor più che i suoi predecessori, ha recuperato quella vecchia tesi secondo cui fuori della Chiesa non c’è salvezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2013 11.43
Titolo:BOFF. Appello per la riforma della Chiesa, prima che sia troppo tardi!
Appello per la riforma della Chiesa ... prima che sia troppo tardi!

di Leonardo Boff *

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
- Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. (Mc 10, 42-44)

La Chiesa-istituzione come “casta meretrix”

di Leonardo Boff 27/02/2013

Chi ha seguito le notizie degli ultimi giorni sugli scandali dentro al Vaticano, portati a conoscenza dai giornali italiani “La Repubblica” e “La Stampa”, che parlano di una relazione di 300 pagine e elaborata da tre cardinali provetti sullo stato della curia vaticana, deve naturalmente, essere rimasto sbalordito. Immagino i nostri fratelli e sorelle devoti, frutto di un tipo di catechesi che celebra il Papa come “il dolce Cristo in Terra”. Devono star soffrendo molto, perché amano il giusto, il vero e il trasparente e mai vorrebbero legare la sua immagine a notorie malefatte di assistenti e cooperatori.

Il contenuto gravissimo di queste relazioni rafforza, a mio parere, la volontà del papa di rinunciare. E’ la riprova di un’atmosfera di promiscuità, di lotta per il potere tra “monsignori”, di una rete di omosessuali gay dentro al Vaticano e disvio di denaro attraverso la banca del Vaticano come se non bastassero i delitti di pedofilia in tante diocesi, delitti che hanno profondamente intaccato il buon nome della Chiesa-istituzione.

Chi conosce un poco la storia della Chiesa - e noi professionisti dell’area dobbiamo studiarla dettagliatamente - non si scandalizza. Ci sono state epoche di vera rovina del Pontificato con Papi adulteri, assassini e trafficanti di immoralità. A partire da Papa Formoso (891-896) sino a Papa Silvestro (999-1003) si instaurò, secondo il grande storico cardinale Baronio, l’“era pornocratica” dell’alta gerarchia della Chiesa. Pochi papi la passavano liscia senza essere deposti o assassinati. Sergio III (904-911), assassinò i suoi 2 predecessori, il Papa Cristoforo e Leone V.

La grande rivoluzione nella Chiesa come un tutto è avvenuta, con conseguenze per tutta la storia ulteriore, col papa Gregorio VII, nel 1077. Per difendere i suoi diritti e la libertà della istituzione-Chiesa contro re e principi che la manipolavano, pubblicò un documento che porta questo significativo titolo “Dictatus Papae” che tradotto alla lettera significa “la dittatura del Papa”. Con questo documento, lui assunse tutti poteri, potendo giudicare tutti senza essere giudicato da nessuno. Il grande storico delle idee ecclesiali Jean-Yves Congar, domenicano, la considera la maggior rivoluzione avvenuta nella chiesa. Da una chiesa-comunità è passata a essere una istituzione-società monarchica e assolutista, organizzata in forma piramidale e che arriva fino ai nostri giorni.

Effettivamente il canone 331 dell’attuale Diritto Canonico si connette a questa lettura, con l’attribuzione al Papa di poteri che in verità non spetterebbero a nessun mortale se non al solo Dio: “in virtù del suo Ufficio, il Papa ha il potere ordinario, supremo, pieno, immediato, universale” e in alcuni casi precisi, “infallibile”.

Questo eminente teologo, Congar, prendendo la mia difesa davanti al processo dottrinario mosso dal cardinale Joseph Ratzinger in ragione del libro “Chiesa: carisma e potere” ha scritto un articolo su “La Croix” 08.09.1984) su “Il carisma del potere centrale”. Scrive: “il carisma del potere centrale è non aver nessun dubbio. Ora, non aver nessun dubbio su se stessi è, nello stesso tempo, magnifico e terribile. È magnifico perché il carisma del centro consiste precisamente nel rimanere saldi quando tutto intorno vacilla. E è terribile perché a Roma ci sono uomini che hanno limiti, limiti nella loro intelligenza, limiti del loro vocabolario, limiti delle loro preferenze, limiti nei loro punti di vista”. E io aggiungerei ancora limiti nella loro etica e morale.

Si dice sempre che la Chiesa è “Santa e peccatrice” e deve essere “riformata in continuazione”. Ma questo non è successo durante secoli e neppure dopo l’esplicito suggerimento del concilio Vaticano II e dell’attuale papa Benedetto XVI. L’istituzione più vecchia dell’Occidente ha incorporato privilegi, abitudini, costumi politici di palazzo e principeschi, di resistenza e di opposizione che praticamente impediscono o distorcono tutti i tentativi di riforma.

Solo che questa volta si è arrivati a un punto di altissimo degrado morale, con pratiche persino criminali che non possono più essere negate e che richiedono mutamenti fondamentali nella struttura di governo della Chiesa. Caso contrario, questo tipo di istituzionalità tristemente invecchiata e crepuscolare languirà fino a entrare nel suo tramonto. Scandali come quelli attuali sempre ci sono stati nella curia vaticana, soltanto non c’era quel provvidenziale Vatileaks per renderli di pubblico dominio e far indignare il Papa e la maggioranza dei cristiani.

La mia percezione del mondo mi dice che queste perversità nello spazio sacro e nel centro di riferimento di tutta la cristianità - il papato - (dove dovrebbe primeggiare la virtù e persino la santità) sono conseguenze di questa centralizzazione assolutista del potere papale. Questo rende tutti vassalli, sottomessi e avidi perché stanno fisicamente vicino al portatore del supremo potere, il Papa. Un potere assoluto, per sua natura, limita e perfino nega la libertà degli altri, favorisce la creazione di gruppi di anti-potere, fazioni di burocrati del sacro contro altre, pratica largamente la simonia che è compravendita di favori, promuove adulazioni e distrugge i meccanismi di trasparenza. In fondo tutti diffidano di tutti. E ognuno cerca la soddisfazione personale nella forma migliore che può. Per questo è sempre stata problematica l’osservanza del celibato all’interno della curia vaticana, come si sta rivelando adesso con l’esistenza di una vera rete di prostituzione gay. Fino a quando questo potere non sarà decentralizzato e non permetterà maggior partecipazione di tutti gli strati del popolo di Dio, uomini e donne, alla conduzione dei cammini della Chiesa, il tumore che sta all’origine di questa infermità continuerà a durare. Si dice che Benedetto XVI consegnerà a tutti i cardinali la suddetta relazione perché ciascuno sappia che problemi dovrà affrontare nel caso che sia eletto papa. E l’urgenza che avrà di introdurre radicali trasformazioni. Dal tempo della Riforma che si sente il grido: “Riforma nel capo e nelle membra”. E siccome mai è avvenuta, è nata la Riforma come gesto disperato dei riformatori di compiere tale impresa per conto proprio.

Per spiegare meglio ai cristiani e a tutti gl’interessati di problemi di Chiesa, torniamo alla questione degli scandali. L’intenzione è di sdrammatizzarli, permettere che se n’abbia una nozione meno idealista e a volte idolatrica della gerarchia e della figura del Papa e liberare la libertà a cui il Cristo ci ha chiamati (Gal 5,1). In questo non c’è nessun cattivo gusto per le cose negative né volontà di aumentare sempre di più il degrado morale. Il cristiano deve essere adulto, non può lasciarsi infantilizzare né permettere che gli neghino conoscenze teologiche e storiche per rendersi conto di quanto umana ed smodatamente umana può essere l’istituzione che ci viene dagli apostoli.

Esiste una lunga tradizione teologica che si riferisce alla Chiesa come casta meretrix, tema abbordato dettagliatamente da un grande teologo, amico dell’attuale Papa, Hans Urs von Balthasar (vedere in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1971, 203-305). In varie occasioni il teologo Joseph Ratzinger è ritornato su questa denominazione.

La chiesa è una meretrice che tutte le notti si abbandona alla prostituzione; è casta perché Cristo, ogni mattina ne ha compassione, la lava è la ama.

L’habitus meretricius, il vizio del meretricio, è stato duramente criticato dai santi padri della Chiesa come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gerolamo e altri. San Pier Damiani arriva chiamare il suddetto Gregorio VII “Santo satanasso” (D. Roma, compendio di storia della Chiesa, volume secondo, Petropolis, 1950, p. 112). Questa denominazione dura ci rimanda a quella di Cristo diretta Pietro. Per causa della sua professione di fede lo chiama “pietra”, ma per causa della sua poca fede e di non capire i disegni di Dio lo qualifica come “satanasso” (Vangelo di Matteo 16,23). San Paolo pare un moderno quando parla ai suoi oppositori con furia: “magari si castrassero tutti quelli che vi danno fastidio” (Galati, 5,12).

C’è pertanto un luogo per la profezia nella Chiesa e per le denunce delle malefatte che possono capitare in mezzo agli ecclesiastici e persino in mezzo ai fedeli.

Vi riporto un altro esempio tratto dagli scritti di un santo amato dalla maggioranza dei cattolici per il suo candore e bontà: Sant’Antonio da Padova. Nei suoi sermoni, famosi all’epoca, non appare niente affatto dolce e gentile. Fa una vigorosa critica ai prelati corrotti del suo tempo. Dice: “i vescovi sono cani senza nessuna vergogna perché il loro aspetto ha della meretrice e per questo stesso non vogliono vergognarsi” (uso l’edizione critica in latino pubblicata a Lisbona in due volumi nel 1895). Questo fu pronunciato nel sermone della quarta domenica dopo Pentecoste (pagina 278). Un’altra volta chiama i prelati “ scimmie sul tetto, da lì presiedono alle necessità del popolo di Dio”. (Op. cit p. 348). È continua: “Il vescovo della Chiesa è uno schiavo che pretende regnare, principe iniquo, leone che ruggisce, orso affamato di rapina che depreda il popolo povero” (p.348). Infine nella festa di San Pietro alza la voce e denuncia: “Attenzione che Cristo disse tre volte: pasci e neanche una volta tosa e mungi... Guai a quello che non pasce neanche una volta e tosa e munge tre o quattro volte...lui è un drago a fianco dell’arca del Signore che non possiede altro che apparenza e non verità” (volume secondo, 918).

Il teologo Joseph Ratzinger spiega il senso di questo tipo di denunce profetiche: “il senso della profezia risiede in verità meno in alcune previsioni che nella protesta profetica: protesta contro l’autosoddisfazione delle istituzioni, l’autosoddisfazione che sostituisce la morale con il rito e la conversione con le cerimonie” (Das neue volk Gottes, Düsseldorf 1969,250, esiste traduzione italiana Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971).

Ratzinger critica con enfasi la separazione che abbiamo fatto in riferimento alla figura di Pietro: prima della Pasqua, il traditore; dopo la Pentecoste, il fedele. “Pietro continua a vivere questa tensione del prima e del dopo; lui continua ad essere tutte due le cose: la pietra e lo scandalo...Non è successo lungo tutta la storia della Chiesa che il Papa era simultaneamente il successore di Pietro e la pietra dello scandalo” (p.259)?

Dove vogliamo arrivare con tutto questo? Vogliamo arrivare a riconoscere che la Chiesa-istituzione di papi, vescovi e preti è fatta di uomini che possono tradire negare e fare del potere religioso un affare e uno strumento di auto soddisfazione. Tale riconoscimento è terapeutico dato che ci cura di ogni ideologia idolatrica intorno alla figura del Papa, ritenuto come praticamente infallibile. Questo è visibile nei settori conservatori e fondamentalisti del movimento cattolico laici e anche di gruppi di preti. In alcuni è ancora viva una vera papolatria, che Benedetto XVI ha sempre cercato di evitare.

La crisi attuale della Chiesa provocato la rinuncia di un Papa che si è reso conto che non aveva più il vigore necessario per sanare scandali di tale portata. Ha buttato la spugna con umiltà. Che un altro più giovane venga e assuma il compito arduo e duro di pulire la corruzione nella curia romana e dell’universo dei pedofili, eventualmente punisca, deponga e invii i più renitenti in qualche convento per far penitenza e emendare la propria vita .

Soltanto chi ama la Chiesa può farle le critiche che gli abbiamo fatto noi citando testi di autorità classiche del passato. Se tu hai smesso di amare una persona un tempo amata, ti diventano indifferenti la sua vita e il suo destino. Noi ci interessiamo come fa l’amico e fratello di tribolazione Hans Kung (è stato condannato dalla ex inquisizione), forse uno dei teologi che più ama la Chiesa e per questo la critica.

Non vogliamo che i cristiani coltivino questo sentimento di poca stima e di indifferenza. Per quanto gravi siano stati gli errori e gli equivoci storici, l’istituzione-Chiesa custodisce la memoria sacra di Gesù e la grammatica dei Vangeli. Essa predica la libertà, sapendo che generalmente sono altri che liberano e non lei.

Anche così vale stare dentro la chiesa, come ci stavano S. Francesco, dom Helder Camara, Giovanni XXIII e noti teologi che hanno aiutato a fare il concilio Vaticano II e che prima erano stati tutti condannati dall’ex inquisizione, come de Lubac, Chenu, Congar, Rahner e altri. Dobbiamo aiutarla a uscire da quest’imbarazzo, alimentandosi di più col sogno di Gesù di un regno di giustizia, di pace e di riconciliazione con Dio e di sequela della sua causa e destino, piuttosto che di semplice giustificata indignazione che può scadere facilmente nel fariseismo e nel moralismo.

Altre riflessioni del genere si trovano nel mio libro Chiesa: carisma e potere, ed. Record, 2005, specialmente in appendice con tutte gli atti del processo celebrato all’interno dell’ex inquisizione nel 1984.

Traduzione: Romano Baraglia - romanobaraglia@gmail.com

*Il Dialogo, Domenica 03 Marzo,2013