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IL COLPO DEFINITIVO DEL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO  AL CRISTIANESIMO. "La Necessita' e la Grazia": un breve luminoso testo ripreso da "Il Mandorlo e il Fuoco" di don Ernesto Balducci - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January 22 2013 11:48:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 19.23
Titolo:PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 19.25
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/1/2013 18.42
Titolo:IL CATTOLICESIMO PATINATO E LE FACCE DEI CATTOLICI
Le facce dei cattolici

di Massimo Faggioli (“L’Huffington Post”, 18 gennaio 2013)

Il volto del segretario del papa, il neo arcivescovo Georg Gänswein, che sorride dalla copertina di Vanity Fair, è diventato istantaneamente (e, si spera, inconsapevolmente) una delle maschere del cattolicesimo patinato, quello che piace alla gente che piace: ordinato perché d’ordine, piccoloborghese e benpensante ma anche libertino, che vota per i valori della famiglia tradizionale ma lontanissimo dal social gospel, e vede nella modernità una minaccia costante al cristianesimo più come cultura europea che come fede.

A questa maschera si oppone quella dell’anti-cattolicesimo militante, o di quel cattolicesimo anti-cattolico che anche in Italia inizia ad avere un suo mercato editoriale: i volti sono diversi, e le copertine sono diverse perché le riviste sono diverse. Ma il perbenismo è simile, quanto ad omologazione nelle critiche ad una chiesa accusata di essere sempre inadeguata, sempre uguale a se stessa, mai abbastanza moderna e liberale.

Le facce che invece non si vedono mai, né su Vanity Fair né sulla stampa cattolica ufficiale né sui breviari dell’anticattolicesimo, sono quelle di quanti tentano di costruire ponti tra un mondo moderno che non è ormai neanche più convinto di poter fare a meno di un dio, e una chiesa che rischia ben più che il blocco dei bancomat all’interno delle mura vaticane: rischia la bancarotta morale.

Tra le tante diaspore in corso nel mondo occidentale, la diaspora cattolica parla forse più di altre. Parla dell’esistenza di un universo di cattolici per i quali il “voto cattolico” è solo l’ultima, e nemmeno la più importante, delle mediazioni a cui devono fare ricorso quotidianamente per tentare di essere fedeli alle loro quotidiane responsabilità di cittadini del mondo e di cristiani. Tra queste mediazioni, sempre più difficile è quella dei cristiani che osano ancora essere “cattolici pubblici”: che di fronte al mondo non si vergognano della loro chiesa (che sanno essere ben più del Vaticano), e che di fronte ad una chiesa che si illude sempre più della propria autosufficienza non si vergognano di vivere il proprio cattolicesimo in una realtà sempre più plurale, lontana dagli idealtipi, esattrice di compromessi.

C’è da chiedersi quanti di questi cattolici della terra di nessuno siano candidati alle prossime elezioni. La loro presenza o assenza nelle liste elettorali parla di una politica italiana che ha voluto o non ha voluto farsi carico della diaspora di quel tipo di cattolicesimo politico, e parla di un cattolicesimo che crede o non crede più nella politica italiana. Quella dei “cattolici pubblici” è una solitudine particolarmente invisibile in tempi di campagna elettorale: essi dovrebbero combattere contro l’anticattolicesimo e simultaneamente contro un cattolicesimo ufficiale sempre più impomatato e vanesio, politicante e impolitico al tempo stesso. Quando si tratta di prendere la parola sulle questioni del matrimonio gay o dell’eutanasia, molti “cattolici pubblici” diffidano tanto degli oracoli dell’anticattolicesimo quanto dei principi ereditari di una chiesa ancien régime.

Le facce di questi cattolici si trovano di fronte alla solitudine politica e culturale. In questo deserto, questo cattolicesimo pubblico cerca di offrire una sapienza che oggi non ha diritto di udienza, né in Vaticano, né su Vanity Fair.
Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 21/1/2013 21.01
Titolo:per favore, un pò di chiarezza
Il cattolicesimo è diventato ormai un mondo talmente variegato (lo conferma l’espressione “diaspora cattolica” di Massimo Faggioli) che è difficile ormai dire cosa vuol dire essere cattolici. Cattolico per me è uno che adegua il suo pensiero a quello del papa che è nello stesso tempo: vicario di Cristo, capo della chiesa, capo del vaticano e presidente dello IOR. Invece succede che ogni cattolico si è fatta una religione a sua misura. C’è chi crede al papa, però non quando parla di morale, c’è chi crede al papa come capo della chiesa, ma non come capo del vaticano, e così via. Diciamo che mai come oggi la chiesa si presta al ridicolo, soprattutto quando pretende di imporre le sue leggi allo stato misconoscendo che lo stato è laico e che la teocrazia dovrebbe essere morta da un pezzo, ma purtroppo dentro il vaticano è ancora vivissima. Quindi a me va benissimo l’articolo di Giovanni Mazzillo. Fa riferimento ai vangeli a Cristo, ma per fortuna non c’è una parola sulla chiesa. Per altri invece è importante l’istituzione chiesa con le sue legge, le sue banche e i vari collegamenti, più o meno nascosti, con la politica per ottenere favori e privilegi. Però, siccome questa è la chiesa di Ratzinger dico: o prendere o lasciare. Perché far finta di essere cattolici e poi non essere d’accordo in tutto e per tutto con Ratzinger? Altrimenti è ipocrisia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2013 10.28
Titolo:PER CARITA', SENZA IPOCRISIA ....
Caro Agnoletto

A quanto pare ha fatto di tutto per cercare di capire il senso del discorso del teologo Mazzillo e di risalire l’abisso della confusione tra la Chiesa cristiana del Dio-Amore e la Chiesa cattolica del Dio-Mammona, ma non vi è riuscito.

La sua convinzione (“ siccome questa è la chiesa di Ratzinger dico: o prendere o lasciare. Perché far finta di essere cattolici e poi non essere d’accordo in tutto e per tutto con Ratzinger”) l’ha portato fuori strada e lasciato nella confusione.

Se la sua scelta E’ di essere CATTOLICO e di adeguare “ il suo pensiero a quello del papa che è nello stesso tempo: vicario di Cristo, capo della chiesa, capo del vaticano e presidente dello IOR”, non capisco di chi è l’IPOCRISIA e la MENZOGNA?!

Del teologo che critica la teologia della Chiesa Mammona di Raztinger o del “papa teologo” che aggioga la Chiesa di Cristo alle banche e alla politica per ottenere i suoi privilegi?!

Dove sta l’etica, dove sta la carità (“charitas”), dove sta la chiarezza (claritas”), e dove sta “la via la verità la vita”?

SE Cristo è il ratzingeriano “Padrone Gesù” (Dominus Iesus”), dove è più il Cristo “Luce delle genti”?!

E questo non è un COLPO definitivo del CATTOLICESIMO al CRISTIANESIMO?!

Grazie per il suo contributo alla discussione e ala riflessione

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2013 11.48
Titolo:OBBEDIENZA CIECA E IDENTITA' CATTOLICA ....
La richiesta di silenzio da parte del Vaticano è un prezzo troppo alto

di Tony Flannery

in “The Irish Times” del 21 gennaio 2013 (traduzione: Maria Teresa Pontara Pederiva)

Tre giorni dopo il mio 66° compleanno mi trovo sospeso nel mio ministero di prete, con una minaccia di scomunica e di estromissione dalla mia congregazione che incombe su di me. Come mai mi trovo in questa situazione?

Sono entrato nella congregazione dei Redentoristi nel 1964 e ordinato 10 anni dopo. Quella era un’epoca di grande apertura nella Chiesa cattolica. Abbiamo creduto nella libertà di pensiero e di coscienza, e che l’insegnamento della Chiesa non fosse qualcosa da imporre rigidamente alle persone che dovevamo servire, e che,in quanto intelligenti e istruite, avrebbero potuto assumersi in prima persona la responsabilità per la propria vita.

Come predicatori dobbiamo cercare di presentare il messaggio di Cristo in un modo e con un linguaggio che parli alla realtà della vita delle persone. Ciò richiede una volontà di ascolto, per capire le loro speranze e le loro gioie, le loro lotte e i loro timori.

Aiutare le persone a confrontarsi con la dottrina sulla contraccezione negli anni ’70 è stato un grande campo di addestramento. Basti dire che la linea ufficiale della Humanae Vitae non era di alcun aiuto. In quegli anni sia i preti che i laici hanno imparato molto sul modo di formare la loro coscienza così da prendere decisioni mature in tutti gli ambiti della loro vita. Come preti abbiamo imparato dai laici più di quanto essi non abbiano imparato da noi.

Con il passare degli anni abbiamo potuto tutti constatare che il magistero all’interno della chiesa abbia assunto progressivamente uno stile più autoritario come quello praticato in passato. L’accresciuta centralizzazione dell’autorità in Vaticano ha intensificato la pressione sui preti della mia generazione perché siano più espliciti e decisi nel presentare l’insegnamento della Chiesa: l’ortodossia è ormai l’imperativo, e permettere alle persone di pensare con la propria testa viene ormai visto come pericoloso. Non c’è spazio per le aree grigie, o bianco o nero.

I Rapporti a Roma

Siamo venuti a conoscenza che c’erano persone nel paese che riferivano qualsiasi minima deviazione da parte di un prete dalle indicazioni ufficiali, per esempio permettendo ad una donna di leggere il vangelo durante la messa.

In tutto il mondo, i preti vengono sanzionati, messi a tacere o rimossi perché non allineati. Nell’autunno del 2010, insieme ad un piccolo gruppo, abbiamo fondato l’Associazione dei preti cattolici (ACP). Questa associazione è unica in quanto si tratta di un organismo indipendente del clero, un fenomeno nuovo nella Chiesa, e con cui le autorità, in Irlanda e in Vaticano, si trovano in una posizione scomoda nella gestione dei rapporti. La crescita del movimento ha costituito per me l’occasione di una maggior visibilità, che mi ha portato all’attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF).

Avevo scritto su varie riviste religiose per più di 20 anni senza alcun problema, quando, improvvisamente, lo scorso febbraio sono stato informato dai miei superiori Redentoristi che ero nei guai seri per alcune cose che avevo scritto. Sono stato chiamato a Roma, - non in Vaticano, il quale fino ad oggi non ha mai comunicato con me direttamente - alla Casa madre dei Redentoristi. Questo è stato l’inizio di quasi un anno di tensione, stress e difficoltà decisionali per la mia vita futura. Inizialmente la mia politica è stata quella di riflettere sulla possibilità di un qualche compromesso, e all’inizio dell’estate questa sembrava una possibilità reale.

Ma a poco a poco mi resi conto che la CDF continuava ad alzare l’asticella, fino a quando non è giunta al punto in cui io non potevo più negoziare. Mi trovavo di fronte ad una scelta. O firmare una dichiarazione pubblica, affermando di aver accettato insegnamenti che, in coscienza, non potevo accettare, o sarei rimasto permanentemente escluso dal ministero sacerdotale, e sarei forse incorso in sanzioni anche più gravi. E’ importante affermare con chiarezza che i temi controversi non erano materia di insegnamento fondamentale, ma solo questioni di governo della Chiesa.

Così ora, in questo momento della mia vita, dovrei mettere la mia firma a un documento che sarebbe una menzogna, contraria alla mia coscienza, oppure affrontare la realtà dell’abbandono del ministero. Ho sempre creduto nella Chiesa come comunità dei credenti e come un elemento essenziale per far scaturire e alimentare la fede. Ho vissuto con gioia i miei anni di predicazione, che è la missione principale dei Redentoristi, e non ho mai avuto dubbi sul fatto che valesse la pena annunciare il messaggio di Cristo. Ma ora rinunciare alla mia libertà di pensiero, di parola e soprattutto di coscienza lo considero un prezzo troppo alto da pagare per essere riammesso tra le file dei ministri della Chiesa di oggi.

L’identità cattolica

Ci sono persone che mi spingono ad abbandonare la Chiesa cattolica per aderire ad un’altra chiesa cristiana, magari più vicina alla mia posizione. Ma essere un cattolico è fondamentale per la mia identità personale. Ho sempre cercato di predicare il Vangelo. Indipendentemente dalle sanzioni che il Vaticano mi infliggerà, io continuerò ugualmente, in qualsiasi modo possibile, a cercare di realizzare una riforma della Chiesa perché essa diventi di nuovo un luogo dove tutti coloro che vogliono seguire Cristo siano i benvenuti. Nella storia essa ha stretto amicizia con i reietti della società, e io farò tutto ciò che posso nel mio piccolo per oppormi alla tendenza attuale del Vaticano di creare una Chiesa della condanna invece di una Chiesa della misericordia.

Resto convinto che il vero obiettivo della CDF sia quello di sopprimere l’ACP e già dei tentativi sono stati compiuti per tarpare le ali all’iniziativa dei preti austriaci. Spero e prego che non riesca nel suo intento.

Mentre mi occupo di questi problemi personali credo sia opportuno per me almeno temporaneamente rinunciare ad essere leader dell’associazione. Intendo tuttavia restarne un membro attivo, e sarò a disposizione per aiutare in ogni modo possibile il lavoro. Infine, mi si potrebbe chiedere perché sono qui a parlare in pubblico, dopo essere rimasto in silenzio per un anno: perché ho bisogno di riappropriarmi della mia voce.