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LA "CARITAS" E LA "SCOLA" SENZA LA "H": A MILANO IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI .  L'arcivescovo Scola celebra il suo Costantino e attacca la Costituzione: "Lo Stato laico mette a rischio la libertà religiosa". Una nota di Zita Dazzi e una riflessione di Vito Mancuso  - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December 09 2012 16:22:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 13.40
Titolo:PISAPIA E G.E.RUSCONI. Caro Scola, laicità dello Stato non è nichilismo
Il sindaco difende la tutela dei diritti civili senza discriminazioni
Pisapia: “Nessun credo va privilegiato rivendico l’autonomia della politica”

di Alessia Gallione (la Repubblica, 7.12.2012)

MILANO — Accogliendo il Papa in città la scorsa estate, Giuliano Pisapia rivendicò l’autonomia delle decisioni della politica. «Ed è quello che continuerò a fare», dice il sindaco. Che aggiunge: «È giusto confrontarsi e riflettere, ma io non penso di possedere la verità e chiedo che, anche chi è profondamente credente, non ritenga di avere la verità assoluta. Lo dico soprattutto per quelle scelte individuali che riguardano la propria vita, anche se questo non deve limitare i diritti altrui».

Crede, come sostiene Scola, che la laicità dello Stato sia una minaccia per la libertà religiosa?

«Il suo discorso sarà per me motivo di riflessione, ma non mi convince la sua posizione negativa sulla “neutralità” dello Stato. Forse bisogna intendersi sul concetto di neutralità: lo Stato non deve essere confessionale, ma deve fare di tutto per rendere effettivo il principio costituzionale della libertà di professare liberamente la propria fede, serve una equidistanza tra tutte le religioni. Il diritto di professare il proprio credo non deve portare a discriminazioni né privilegiare una religione anche se maggioritaria.
In Italia, dobbiamo fare ancora molti passi in avanti ed è per questo che, a Milano, stiamo lavorando per dare vita a un albo delle associazioni e organizzazioni religiose che permetta a tutti di avere gli spazi adeguati per potersi riunire».

La laicità alla francese sarebbe davvero un male?

«Credo che la laicità dello Stato sia un dovere, ma uno Stato profondamente laico deve dare a ognuno la possibilità di esprimere i propri valori e la propria fede».

Milano ha istituito il registro delle coppie di fatto e potrebbe avviare quello di fine vita. Si è sentito chiamato in causa da Scola?

«No, assolutamente. Proprio l’equivicinanza alle religioni comporta che bisogna garantire a tutti, anche ai non credenti, la possibilità di esercitare i propri diritti senza essere discriminati. Il cardinale dice che la libertà religiosa “è ai primi posti nella scala dei diritti”. Io dico che tutti i diritti sono al primo posto nella scala dei valori. Milano continuerà sulla strada dei diritti civili, con la profonda convinzione che non solo non contrasta con la libertà religiosa, ma la rafforza».

Non teme un rapporto conflittuale con la Curia?

«In realtà, no. Quando il Comune ha preso decisioni non condivise dalla Curia, ci sono state comprensibili e legittime prese di posizioni, ma nessun tentativo di bloccare scelte democratiche. Sono molto fiducioso che il confronto e il dialogo continueranno, pur nelle reciproche diversità. Forse, chi crede in una religione — qualunque essa sia — è convinto che quella sia la verità. La differenza, per quanto mi riguarda, è che su certi temi mi pongo sempre il dubbio sulla base della realtà e non di un’indicazione che viene dall’alto. C’è però un passaggio del discorso che condivido pienamente ».

Quale?

«È quello che mette in relazione la libertà religiosa e la pace sociale. Il dialogo e la comprensione tra diverse confessione favoriscono la pace dentro una comunità e tra le diverse comunità. Questa coesione sociale, anche tra fedi e culture diverse, è un obiettivo a cui tutti dovrebbero puntare, ma che alcune forze politiche purtroppo non auspicano».
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Caro Scola, laicità dello Stato non è nichilismo

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 7.12.2012)

Il discorso alla città di Milano pronunciato ieri sera dal cardinal Scola in occasione di Sant’Ambrogio contiene alcuni passaggi cruciali sul tema dello Stato laico che sono sorprendenti per l’atteggiamento che li sottende, per il tono, prima ancora che per alcuni loro contenuti. C’è diffidenza, sfiducia, allarme di fronte a una presunta involuzione della laicità nello Stato, che si configurerebbe addirittura come minaccia alla libertà della coscienza religiosa.

L’ assunto da cui parte il discorso del cardinale è la centralità della «società civile», «la cui precedenza lo Stato deve sempre
rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla».

Questa affermazione sarebbe anche condivisibile (nessuno infatti vuole uno Stato etico) se non contenesse un fraintendimento. Non è chiaro, infatti, che cosa significa che lo Stato deve «limitarsi a governare la società civile» senza «pretendere di gestirla». Definire le leggi, le norme di comportamento vincolanti per tutti i cittadini - tramite un dibattito pubblico e costituzionale che tiene presente l’intera «società civile» in tutta la sua complessità - è una «gestione» intrusiva della società?

Proprio su questo punto invece il card. Scola usa parole pesanti: «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».

Innanzitutto non si capisce come una legislazione neutrale rispetto ai valori religiosi impedisca, a coloro che lo desiderano, di condurre la propria vita e operare le proprie scelte sulla base di quei valori. Salvo garantire che si tratti di scelte effettivamente libere e non di imposizioni familiari o comunitarie.

Inoltre a quale Stato in concreto si riferisce il cardinale? Certo non al nostro Paese con la sua legislazione sull’insegnamento della religione nelle scuole, con la normativa sui simboli religiosi negli spazi pubblici, sul sostegno indiretto alle scuole confessionali, sulla forte (e formalmente legittima) influenza della Chiesa sulla problematica bioetica - per non parlare della deferenza pubblica e dei partiti politici verso la Chiesa.

Non mi è chiaro quali altri spazi possa aprire uno Stato laico «in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Non a caso sono i laici spesso a non vedere riconosciuti i propri come «valori» (ma sempre come apertura al peggio) e la legittimità delle proprie opzioni.

E’ deplorevole che la laicità dello Stato sia identificata tout court con una idea di secolarizzazione che sconfina di fatto con il nichilismo. Se c’è uno spazio che dovrebbe essere aperto è il confronto pubblico competente e leale sui valori positivi della laicità, che sono l’unica garanzia della libertà di coscienza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 15.56
Titolo:Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America ....
Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America

di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 7 dicembre 2012)

Il cardinale di Milano, Angelo Scola, è il più ascoltato tra i vescovi italiani, e per buone ragioni: ciellino intelligente, ha scritto cose di valore e non cortigiane sulla teologia di Giovanni Paolo II, e i suoi discorsi sono raramente di circostanza, anche quando le circostanze lo permetterebbero.

Il discorso tenuto a Milano di fronte al sindaco Pisapia per la festa di sant’Ambrogio ha toccato un nervo scoperto della chiesa cattolica, quello dei rapporti tra la dimensione secolare e laica dello Stato moderno in Occidente e la pretesa del cattolicesimo di farsi interprete di una “sana laicità” che per certi cattolici non è mai abbastanza sana. Si sbaglierebbe però a bollare il discorso del cardinale Scola come il manifesto di un cattolicesimo talebanizzante. C’è una parte originale del discorso che descrive il rapporto tra visioni della vita in Occidente non come una coesistenza tra religioni diverse, ma come un confronto-scontro “tra cultura secolarista e fenomeno religioso”, e che ricorda come l’attacco alla libertà religiosa sia, in alcune aree del mondo contemporaneo, uno dei segni dei tempi.

Ma la parte più discutibile del discorso, non solo dal punto di vista politico ma anche storico, è quella che attiene all’uso della parola stessa “laicità”: nel suo discorso il cardinale la usa una volta sola per associarla all’imperatore Costantino (del cui celebre “editto di Milano” del 313 stanno per iniziare le celebrazioni), facendo dell’imperatore Costantino un assai improbabile eroe della libertà religiosa. Nel resto del discorso Scola parla di laicitè alla francese, e significativamente non articola la differenza sostanziale che esiste tra il concetto medievale di libertas Ecclesiae come “libertà della chiesa” da una parte e l’idea di “libertà religiosa” definita dal concilio Vaticano II meno di cinquant’anni fa, nel 1965.

Questo silenzio deriva da una delle malattie del cattolicesimo contemporaneo, un neo-americanismo che è l’altra faccia dello spauracchio della Rivoluzione francese - il fantasma che agita la chiesa di Roma quando essa viene messa di fronte ad una società in evoluzione: alle rivoluzioni democratiche di metà ottocento in Europa come alla questione dello schiavismo e della segregazione razziale in America tra nel secolo che va tra il 1860 e i “sixties”.

Se l’attacco di Scola alla laicitè alla francese non significa necessariamente un auspicio al ritorno allo Stato confessionale, tuttavia prefigura uno Stato che rimanga aconfessionale ma nel quadro di un nuova idea di libertà religiosa, di una “laicità positiva” non neutrale di fronte al fatto religioso. Il modello è chiaramente quello statunitense.

Il neo-americanismo di Scola è trasparente anche dall’accenno nel discorso del cardinale alla “ferita alla libertà religiosa di cui parla la Conferenza episcopale degli Stati Uniti a proposito della riforma sanitaria di Obama”: è un americanismo tipico dei leader del cattolicesimo contemporaneo, chierici e laici, ed è un segnale interessante, specialmente se si tiene conto del retaggio anti-americano che faceva parte del pedigree dell’intellettuale cattolico europeo novecentesco. Ora siamo arrivati all’estremo opposto. Il problema è la validità di quel modello americano invocato ora da Scola, ma più volte lodato anche da papa Benedetto XVI.

I volonterosi americanisti italiani non sanno che è in crisi anche il modello americano, proposto come soluzione al male europeo del laicismo: gli Stati Uniti vivono di una “religione civile” che esige continui sacrifici (culturali e non solo) sconosciuti all’immaginario politico-religioso europeo. Nello spazio pubblico americano la presenza della religione è tutt’altro che pacificamente accettata. Se si mettessero insieme tutti gli ex cattolici statunitensi, sarebbero la seconda chiesa d’America (dopo la chiesa cattolica).

L’America di cui parlano questi neo-americanisti è un’America che è più vicina a quella di Tocqueville di quasi due secoli fa, che a quella di inizio secolo XXI: anche perchè venerare Tocqueville è meno faticoso che leggere le mille pagine de L’età secolare, opus magnum di Charles Taylor, studioso canadese che negli ultimi anni ha ridefinito il dibattito sulla laicità in Nordamerica.

Ma il problema non è solo di cultura dei cattolici. Anche la letteratura italiana recente di parte neoliberale e neo-conservatrice sul tema di una “nuova laicità non laicista” sembra illudersi, tramite il ricorso ad un sistema di tipo americano, di proteggere una chiesa “established” (nazionale) come quella cattolica in Italia e di aprire lo scenario giuridico-costituzionale ad una maggiore presenza delle religioni nello spazio pubblico senza tenere conto dei costi di questo in termini di coesione giuridica e sociale: ma sembra dimenticare la fondamentale mancanza, in Europa, di una cultura nazionale omologatrice come quella statunitense, capace di assorbire e inghiottire le diversità religiose e di americanizzare ogni presenza religiosa sul territorio americano.

La “cura americana” proposta da alcuni vescovi e cardinali, così come da alcuni cattolici neo-liberali (presenti anche nelle file del Partito Democratico in Italia) potrebbe essere esiziale per il delicato sistema europeo: a meno che questo sistema europeo “post-laico neo-americano” che essi immaginano non significhi una libertà religiosa con alcune religioni orwellianamente più libere di altre.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 20.58
Titolo:La laicità e la restaurazione di Scola
La laicità e la restaurazione di Scola

di Paolo Naso

in “NEV” (Notizie Evangeliche) del 7 dicembre 2012

Il discorso alla città di Milano del cardinale Angelo Scola pronunciato ieri in occasione di Sant’Ambrogio sta suscitando diverse reazioni da parte di credenti e non credenti. Sconcerto per le parole di Scola arrivano anche da ambienti evangelici.
- Di seguito la dichiarazione del politologo Paolo Naso coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI):

«Le parole del Cardinale Scola nel tradizionale messaggio alla città del 6 dicembre, lasciano sorpresi e sbigottiti perché aggrediscono quel principio di laicità che costituisce, oltre che un caposaldo della nostra Costituzione, l’architrave di ogni modello di convivenza tra fedi diverse nello spazio pubblico. L’arcivescovo di Milano va persino oltre il tradizionale appello di questo pontificato per una “sana laicità” e denuncia “una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente” e che, se fatta propria dallo Stato, “finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa”.

Scola è fine intellettuale e, se usa parole così nette ed esprime giudizi così perentori, è chiaro che ha un obiettivo preciso: a noi pare che intenda richiamare il suo gregge al fatto che il pastore è cambiato, che il tempo di Martini e Tettamanzi è ormai finito e con esso quello spirito di pluralismo, di laicità e di dialogo che per una lunga stagione hanno caratterizzato il cattolicesimo ambrosiano. Ruvidamente, come ruvide sono state le parole udite dalla Cattedra di Sant’Ambrogio, potremmo definirla “restaurazione”».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/12/2012 16.22
Titolo:I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere
I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere

di Furio Colombo (il Fatto, 9.12.2012)

Discorso storico del cardinale di Milano su un evento che sconvolge il mondo. Il Prelato annuncia che lo Stato minaccia Dio. Quale Stato? Ma qualunque Stato laico, inclusi gli Stati Uniti di Obama. Non una parola sugli Stati in cui vige la Sharia, ovvero una religione, quella islamica, come legge civile e penale. Non una parola sulla bambina Malala, che è stata quasi uccisa in Pakistan (Paese che ha molti problemi ma che trabocca di Dio, nel senso di Scola) per avere sostenuto il diritto delle bambine ad andare a scuola, diritto negato - secondo gli Scola locali - dal Dio di quel Paese.

Noto che il cardinale di Milano dichiara subito che “la laicità dello Stato minaccia la libertà religiosa”. Usa la stessa parola (inspiegabile, dal punto di vista logico) che i cattolici estremisti usano per condannare le coppie di fatto, come se fossero un pericolo per le altre famiglie.

Mi riferisco a un “discorso alla città di Milano” nella ricorrenza dell’Editto di Costantino (312 d. C.) interpretato come l’inizio della libertà del culto cristiano (che invece apre il percorso ad altri editti che porteranno al più violento e rigido divieto di ogni altra pratica religiosa che non sia il cristianesimo.

USERÒ, come interprete delle parole di Scola, il teologo Vito Mancuso: “Per Scola occorre ripensare una visione culturalmente in grado di sostenere i cosiddetti valori non negoziabili cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del magistero cattolico attuale, che non è detto che coincida con il vero senso del cristianesimo” (Repubblica, 7 dicembre 2012).

L’ultima frase di questa citazione di Mancuso è confermata e illustrata da un libro di Carlo Casini (Movimento per la vita) dal curioso titolo Non li dimentichiamo. Viaggio fra i bambini non nati. “Non è un libro di fantascienza o un thriller alla Stephen King. ma un testo di presunta ortodossia cattolica. Interessante, infatti, notare che l’autore del libro cerca prove e sostegni per l’“identità giuridica” di embrioni e feti non dalla teologia cristiana (non ne troverebbe) ma in una personale interpretazione della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia.

Ecco il marchingegno La Carta, ovviamente protegge non solo i bambini nati ma anche le mamme incinte. Carlo Casini pensa che ciò significhi che l’Onu funziona e agisce nel vasto territorio non solo dei non ancora nati, ma dei mai nati e dell’universo non identificabile degli embrioni. Ed esclude del tutto dalla sua interpretazione della Carta dell’Onu ogni protezione del diritto delle donne alla tutela del proprio corpo e delle possibilità di sopravvivenza.

COME SI VEDE, il cardinale Scola, nella solenne occasione del discorso di Milano, si muove con le stesse parole e allo stesso livello del libro inventato alla svelta per l’occasione dal Movimento per la vita, ovvero fuori dalla storia, fuori dalle leggi dei Paesi democratici e fuori dalla Costituzione Italiana. Vito Mancuso ci dice che tutto ciò avviene anche fuori “dal vero senso del cristianesimo”. Credere o non credere è la grande scelta privata e individuale.

Ma resta lo stupore e l’imbarazzo per ciò che Scola ha detto come capo della Chiesa di Milano. Ha detto che “lo scontro non è tra fede e istituzioni civili. Le divisioni più profonde sono quelle fra cultura secolarista e fenomeno religioso e non, come spesso erroneamente si pensa, tra credenti di fedi diverse. “Infatti - aggiunge - sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura priva di apertura al trascendente”. La frase è arrischiata, perché il solo sistema giuridico fondato sulla trascendenza - nel senso detto e pensato dal Vescovo di Milano - è la legge detta Sharia, un’ortodossia cieca che si avvinghia alla politica, intende dominarla, e tormenta alcuni Paesi islamici bloccando ogni passaggio ai diritti umani e civili.

In che modo l’apertura obbligatoria alla trascendenza, invocata dal Cardinale Scola per le istituzioni pubbliche italiane, sarebbe diversa dalla imposizione paleo-islamica contro cui tante donne e uomini di molti Paesi islamici si battono? Coloro che si oppongono, nella vita e nella cultura italiana, al fondamentalismo ormai ufficiale della Chiesa romana, sono definiti, come è noto, “laicisti”. La parola descrive in modo sprezzante una categoria culturale e politica inferiore (“laici” sono coloro che accettano gentilmente che il cadavere di Welby venga lasciato fuori dalle porte chiuse di una chiesa e privato del funerale della sua fede) a cui non si deve prestare alcuna attenzione.

SI USI ALLORA, per chiarezza nei confronti dei credenti, la parola “cattolicista” per definire tutti coloro, cardinali e no, che usano la religione e la fede come strumento per governare. È storia italiana da decenni. Dovunque si veda o si creda di vedere una promessa di protezione della gerarchia ecclesiastica per un partito o per un potere, subito si raccoglie una folla di cattolicisti, travestiti da fervidi credenti e impegnati a cercare e affermare le loro radici cristiane mentre lasciano morire a migliaia gli immigrati in mare.

Ecco dunque il vero punto di scontro evocato dal Cardinale Scola. Il Vescovo di Milano include tra i veri nemici della trascendenza il presidente americano Obama che vuole estendere il diritto alle cure mediche gratuite anche alle donne in caso di aborto. Alcuni giorni fa un padre gesuita che stava ascoltando questi miei argomenti in un incontro pubblico, mi ha dato la frase giusta per concludere: “Ricordi, però, che la Chiesa non sono soltanto i cardinali”.