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BENEDETTO XVI IN LIBANO E I 'NOSTALGICI' DEL CONCILIO VATICANO II A ROMA. Una nota dell'Osservatore Romano e un articolo di Nino Lisi - con appunti,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September 18 2012 08:09:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2012 13.35
Titolo:VATICANO II E "PACEM IN TERRIS". Ratzinger e lo stallo della pace ...
Ratzinger e lo stallo della pace

di Marco Politi (il Fatto quotidiano, 14 settembre 2012)

Benedetto XVI arriva in Libano, mentre scorre il sangue in Medio Oriente. La morte dell’ambasciatore americano in Libia, le violente dimostrazioni in Egitto, nello Yemen, in Tunisia e in molte altre città arabe sono il culmine delle proteste seguite al film anti-islamico “Innocence of Muslims”.

Gli ingredienti per altre esplosioni di odio religioso e per aizzare gli estremisti salafiti, l’ala più violenta dell’Islam fondamentalista, sono sul tavolo. Il film, che descrive Maometto come un lussurioso folle e massacratore, è stato prodotto da un cristiano copto di origine egiziana, Morris Sadek, e lo sceneggiatore Sam Bacile - si apprende dal Wall Street Journal - è un ebreo-americano. I finanziatori provengono dall’estremismo copto, ebraico e protestante.

In Egitto la comunità copta è in allarme e si moltiplicano le richieste di espatrio al punto che il papa ha lanciato un accorato appello ai cristiani del Medio Oriente affinché restino nelle terre bibliche e siano “costruttori di pace e attori di riconciliazione”. Sarà il filo conduttore del suo viaggio a Beirut, che inizia stamane e si concluderà nel primo pomeriggio di domenica. Una visita lampo. Papa Ratzinger è sempre più stanco e impone agli organizzatori spostamenti brevi.

Il pontefice firmerà ad Harissa l’Esortazione apostolica per il Medio Oriente, frutto di un’assemblea speciale di vescovi della regione svoltasi a Roma nel 2010. Il clou della visita è rappresentato dall’incontro con la gioventù, dalla grande messa finale e specialmente dal discorso, che terrà domani nel palazzo presidenziale davanti a una platea di esponenti del governo, diplomatici, rappresentati religiosi e accademici. Sarà l’occasione per rivolgersi all’Islam e ricordare le crisi che travagliano la regione. Dialogo interreligioso, cooperazione e amicizia tra cristiani e musulmani, impegno comune per una società democratica, salvaguardia della libertà religiosa e della libertà di coscienza saranno i cardini dei suoi interventi in terra libanese.

ALL’APPUNTAMENTO

Benedetto XVI arriva con il peso internazionale della Santa Sede indebolito. Il Papa considera il rilancio della vita di fede e la “conversione” di ciascun cattolico come obiettivo primario della sua missione, ma è indubitabile che in passato la Santa Sede giocava un ruolo incisivo sulla scena internazionale. Ora il pontificato ratzingeriano ha prodotto una fase di stasi.

Si profila, secondo alcuni diplomatici, un “viaggio impolitico”. Dinanzi alla primavera araba, con le sue speranze e i suoi rischi, Benedetto XVI non ha finora sviluppato un discorso di ampio respiro. Sulla vicenda siriana, al di là degli auspici di pace civile, il Vaticano si trova psicologicamente in uno stallo. In passato si fidava maggiormente della libertà concessa dal regime autoritario di Assad e oggi teme che la “rivoluzione” porti alla ribalta l’integralismo musulmano. Il chirurgo francese Jacques Bérès, co-fondatore di Medecins sans frontières, sostiene di aver trovato nell’ospedale di Aleppo controllato dai ribelli una “forte proporzione di fondamentalisti e jihadisti”, in gran parte stranieri.

Particolarmente preoccupante - alla luce della strategia di pace molto chiara di Giovanni Paolo II - è l’attuale silenzio papale di fronte all’attacco contro l’Iran, perseguito ossessivamente dal governo di Netanyahu. All’interno di Israele, persino negli ambienti dei servizi segreti, vi sono forti obiezioni ad un’avventura dagli esiti devastanti. I falchi israeliani non hanno mai accettato il negoziato di pace globale offerto dalla Lega araba del 2002 e trovano decennio dopo decennio sempre un nuovo nemico (e con il demagogo Ahmadinejad hanno buon gioco) per rimandare la fine dell’occupazione delle terre palestinesi, chiesta compattamente dai vescovi mediorientali. Per la destra israeliana c’è sempre un demone da combattere: Arafat, Hamas, Saddam Hussein, poi (per un periodo) la Siria e ora l’Iran. E il Papa tace. D’altronde anche l’Europa finge di non vedere. Il disastro dell’Iraq, pare, non ha insegnato nulla.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 10.33
Titolo:Vaticano II. La sua piena ricezione è ancora lontana...
Affollata assemblea di gruppi ecclesiali, riviste, associazioni a 50 anni dall’inizio del Concilio *

di Roberto Monteforte (l’Unità, 16 settembre 2012)

Far vivere il Concilio Vaticano II. Dargli applicazione e con gioia, guardando con speranza al futuro. Perché la sua piena ricezione è ancora lontana.

Di questo si è discusso ieri a Roma nell’affollatissima assemblea tenutasi al teatro dell’Istituto Massimo di Roma. «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» è il titolo dell’appuntamento autoconvocato e autofinanziato a 50 anni dall’inizio del Concilio cui hanno aderito oltre 104 sigle di associazioni, gruppi ecclesiali, movimenti, riviste e organizzazioni tutte attente all’esigenza che non si disperda o si depotenzi l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Sono stati oltre settecento i partecipanti giunti da tutta Italia. Segno di quanto forte ed estesa sia la domanda per una Chiesa che sappia dialogare con fiducia e speranza con il mondo contemporaneo avendo il coraggio di cambiare se stessa.

L’incontro si è aperto con un ricordo del cardinale Carlo Maria Martini e al suo coraggio profetico. Teologi, storici, studiosi e uomini di Chiesa hanno approfondito i nodi posti dal Concilio alla Chiesa a partire dalla sua ermeneutica. Alla polemica su rottura o continuità con la tradizione della Chiesa.

«È una disputa da abbandonare perché non coglie il nodo rappresentato dal Concilio. Perché il cambiamento era già in corso nella Chiesa. Perché la dottrina cambia sempre e cambiamo i significati. Perché se la Chiesa è sempre la stessa, la Tradizione vivente è in continua evoluzione per rendere “presente” e continuamente aggiornato nella nuova condizione storica ciò che è stato tramandato» lo afferma il teologo padre Carlo Molari. «La pluralità delle dottrine presenti nella Chiesa ed anche le rotture sono importanti per il suo sviluppo». C’è ancora bisogno che la Chiesa sappia «raccordarsi con la modernità».

Lo storico Giovanni Turbanti ha inquadrato il contesto storico, sociale, politico ed economico che ha portato alla sua convocazione. La biblista Rosanna Virgili sottolinea la «festosità liberatoria dell’annuncio cristiano e l’apporto fondamentale dato dalle donne. «Dio parla alle donne - afferma - che sono depositarie di una fede che non esclude. Perché non ci sono più lontani quando si può comunicare e si è abbattuta l’inimicizia fatta di leggi che distinguevano e discriminavano creando inimicizia».

Mentre Cettina Militello ha affrontato il nodo «delle prospettive future nella speranza di un vero aggiornamento». «Bisogna passare dall’ermeneutica conciliare all’attuazione del Concilio. All’attuazione di quanto faticosamente elaborato dai padri conciliari» ha affermato. Sottolinea l’importanza dell’«aggiornamento» della Chiesa. Invita a riflettere sulla speranza di un «vero rinnovamento» della Chiesa, di una sua autentica profezia rispetto alla mutazione culturale in atto. Ne indica gli ambiti: «il piano della Liturgia, dell’autocoscienza di chiesa, dell’acquisizione sempre maggiore della parola di Dio, del dialogo Chiesa con il mondo». Va pure perseguita l’istanza ecumenica, e interreligiosa, l’istanza «dialogica». Sottolinea i limiti della partecipazione attiva, della sinodalità, dell’ ascolto e del dialogo, necessari per attuare quella trasformazione strutturale della Chiesa voluta dai padri conciliari, per il suo ritorno a uno stile evangelico di compartecipazione e effettiva comunione.

Interviene da «testimone» l’allora giovanissimo abate benedettino della Basilica di San paolo, Giovanni Battista Franzoni. Parla della scelta per i «poveri» e del coraggio di Paolo VI. Porta la sua testimonianza il teologo valdese Paolo Ricca. Soprattutto recuperando appieno il ruolo del «Popolo di Dio», dei laici nella Chiesa, successori dei «discepoli». Lo sottolinea Raniero La Valle che conclude i lavori. «Perché - fa notare - non c’è solo la successione apostolica da Pietro sino ai nostri vescovi e al Papa. C’è anche una successione laicale, non meno importante dell’altra che è giunta sino a noi». Senza questa «non vi sarebbe il Popolo di Dio e neanche la Chiesa degli apostoli».

Sottolinea come la forza del Concilio Vaticano II sia stata il fare l’ermeneutica di tutti i concili precedenti. Per questo «non lo si può accantonare ». Sta anche in questo la ragione e la forza dell’assemblea convocata ieri.

La Valle annuncia l’impegno a raccogliere quella domanda che interpella ancora. Chiede una nuova politica, una nuova giustizia, una nuova economia. Che chiede una Chiesa dei poveri e con i poveri. Richiama i compiti nuovi che il Concilio affida e riconosce ai laici. «Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile. Vi è una storia da trasmettere. Un impegno che, assicura La Valle, non si fermerà con questa assemblea. Vi sarà un sito per mettere in rete riflessioni e iniziative e per partecipare alle iniziative delle singole Chiese e a quelle internazionali che culmineranno nel 2015 all’anniversario delle conclusioni del Concilio. Vi sarà un «coordinamento leggero» per far incontrare sforzi diversi e rendere possibile quel «Il Concilio è nelle vostre mani» soprattutto le mani dei poveri invocato dallo stesso Raniero La Valle.

* Titolo redazionale

* Fonte: Incontri di "Fine Settimanana"
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 18.13
Titolo:SPENTO IL "LUMEN GENTIUM", UN CIELO OSCURO SU TUTTA LA TRRA
UN CIELO OSCURO SOPRA TUTTA LA TERRA: CIVILTA’ FINANZIARIA E TEOLOGIA POLITICA "MAMMONICA" ("DEUS CARITAS EST": Benedetto XVI, 2006). "Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto"(Furio Colombo).


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La finanza modello al Qaeda

di Furio Colombo (il Fatto, 16.09.2012)

Il modello è al Qaeda. Niente volto, niente luogo, niente Stato, un patrimonio fluido e portatile, continua guerra di propaganda, molta potenza che può colpire dovunque, ma che puoi raggiungere solo inventando un nemico vicario, ovvero qualcuno a caso.

Al Qaeda non ha e non vuole avere una cittadinanza o un territorio, esige una bandiera grande e visibile, che possa scatenare masse grandissime, ma ha punti di comando ignoti e remoti per mantenere segreto e potere intatti. Il suo vertice è leggero e mobile, destinato a restare introvabile. Se lo trovi, non sei mai sicuro che sia quello vero, o se hai raggiunto un avamposto o un personaggio abbandonato.

Il potere della finanza, che riesce a governare, spostare, sottomettere il mondo, che ha devastato e trasformato le esistenze di tutti (e costruito ricchezze enormi per pochi, spesso del tutto ignoti) ha reso in pochi anni irriconoscibile il paesaggio sociale del mondo, e cancellato la precedente epoca industriale, è organizzato allo stesso modo.

NON HA UNA patria, non ha uno Stato con cui coincidere, non condivide ideali, storia o interessi, comanda dovunque e non lo puoi trovare. Esige da Stati, persone, governi potenti e gruppi in rovina, somme immense che vengono restituite in minima parte, detraendo di volta in volta una parte della ricchezza comune.

Si tratta dunque, come per al Qaeda, di un potere grande ed eccentrico, senza Stato e senza popolo, ma con la forza di decidere quali e quanti popoli devono di volta in volta obbedire.

È chiaro - spero - che non sto parlando di questo o di quel governo e neppure di organismi internazionali. Parlo, con la stessa incertezza di chi non fa il finto esperto e la stessa paura di ogni cittadino, del cielo sopra i governi. È un cielo gravido di nuvole impenetrabili sopra tutto ciò che sappiamo, un cielo in cui occasionali schiarite non sono mai una promessa.

Non è più capitalismo, nel senso di Weber, Smith, Stuart Mills. La prova: non è il mercato. Il mercato, infatti, è una delle due strutture nel mondo connesso della produzione e dello scambio, che è stato tolto di mezzo, annullando merito del lavoro e valore del prodotto, sostituito dai versamenti rapidi e obbligati continuamente in corso, detti rating o spread arbitrari in cui vaste ricchezze passano di mano in mano, verso l’alto, fino a far perdere le tracce.

L’altra è l’improvvisa e brutale aggressione al welfare, visto come una intollerabile sottrazione di risorse al versamento globale, che è la nuova regola imposta senza elezioni e senza Parlamenti, e che tutti i governi hanno dovuto accettare.

Il trapasso quasi violento degli Stati Uniti da più grande Paese manifatturiero al più grande Paese di banca, Borsa e finanza, fa pensare, con mentalità del passato, che si tratti di una invasione americana sul benessere degli altri Paesi. Ma non è vero.

Certo, è americano lo storico momento di transizione, quando, durante la presidenza Reagan, è stata abolita ogni regolamentazione di funzioni e settori, di banca, finanza e controllo di imprese, permettendo libertà senza limiti e senza controlli nella formazione e nella gestione della ricchezza che è diventato modello per tutti gli altri Paesi.

Il grande simbolo è il dominio delle compagnie di assicurazione americane sulla salute dei cittadini statunitensi, che persino un presidente come Barack Obama forse non riuscirà ad abbattere o a diminuire.

È la bandiera della civiltà finanziaria che ha iniziato l’invasione (prima di tutto negli Usa), spingendo ai margini la civiltà industriale. E non si può dire che sia americano il dominio o il profitto, misterioso e immenso, della nuova epoca, perché, come per al Qaeda, la cittadinanza dei vari operatori non coincide con gli interessi di uno Stato o della politica di un governo.

È COMINCIATA una nuova internazionalità del capitalismo che non ha più come centro un Paese e neppure una cultura (come quando si parlava con fondamento di disegni e politiche di multinazionali e di imperialismo), ma è una struttura schermata e indipendente che provvede, con espedienti sempre diversi, a un continuo, esorbitante prelievo globale, senza riguardi e senza privilegi.

La nuova situazione, anzi, colpisce in pieno l’America proprio in quanto prima potenza del mondo. Dimostra che non è l’America a decidere, dimostra che il suo presidente "socialista" si muove nel passato. Colpisce gli Usa anche attraverso le connessioni internazionali di grandi banche, americane e non americane, impegnate, attraverso il continuo imbroglio del "libor" (regolamentazione spontanea e concordata dei costo del danaro negli scambi tra banche) a rastrellare vasti profitti in ogni Paese, tra cui l’America, a vantaggio della galassia finanziaria che grava, senza nazione e senza Stato, sul mondo, con agenzie operative dislocate nei diversi Paesi, fra banche, Borse e agenzie mutanti gruppi politici.

I governi, con sempre meno potere, subiscono imposizioni pesanti, pena multe gravissime ai rispettivi Paesi, senza badare alle spinte di rivolta che creano. Quelle rivolte riguardano territori e governi, non il cielo del grande passaggio di ricchezza in corso.

Non sto dicendo che un nuovo fantasma si aggira per il mondo. Dico che si è messa in moto la grande rivoluzione della ricchezza che esige sempre più ricchezza, prelevandola ovunque, non intende rendere conto, sa come dare ordini e sa come punire. Mantiene, soprattutto, una incertezza infinita. Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2012 09.16
Titolo:LIBANO, PALESTINA,, E PAPA . Il discorso 'sparito' del patriarca ....
Il discorso ‘sparito’ del patriarca

di Giovanni Panettiere (Quotidiano.net, 16 settembre 2012)

«Il riconoscimento dello Stato palestinese è il bene più prezioso che il mondo arabo possa ottenere in tutte le sue confessioni cristiane e musulmane». Quelle parole non avrebbe dovuto pronunciarle, almeno non davanti al papa, ma, alla fine, il patriarca greco cattolico melchita di Damasco,

Gregorio Laham III - al vertice di una comunità di oltre 1,3 milioni di fedeli -, ha rotto gli indugi. Accogliendo l’altro giorno Benedetto XVI nella basilica di San Paolo ad Harissa, in Libano, dove il Santo Padre ha firmato l’esortazione apostolica post sinodale sul Medio Oriente, il presule si è lanciato in un pieno e convinto sostegno alla causa palestinese, spronando il pontefice a dare il via libera allo Stato arabo.

Per il patriarca «il riconoscimento potrà garantire la realizzazione degli orientamenti espressi in questa esortazione apostolica post-sinodale per la quale abbiamo manifestato la nostra più viva gratitudine. Preparerebbe la strada verso una vera primavera araba, una vera democrazia e una vera rivoluzione capace di cambiare il volto del mondo arabo e dare la pace alla Terra Santa, al vicino Oriente e al mondo».

Non è la prima volta che Laham III si sbilancia sulla questione palestinese. Solo due anni fa, nel corso del sinodo sul Medio Oriente, il patriarca tradì la sua simpatia per Ramallah, senza però incontrare il favore della maggioranza dei padri sinodali. Nei giorni scorsi, invece, sul sito ufficiale della visita del papa in Libano (www.lbpapalvisit.com), era stato pubblicato in anteprima il testo del saluto del presule a Benedetto XVI. L’intervento conteneva anche un richiamo esplicito alle vicende della Terra santa. Ma il messaggio in rete c’è rimasto solo qualche giorno: alla vigilia dell’arrivo di Ratzinger è stato espunto dal web. Censura vaticana?

«Il testo è stato rimosso semplicemente perché questo genere di interventi si pubblicano dopo che sono stati pronunciati», si è affrettato a dire il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Appena in tempo, dal momento che fonti vaticane avevano già manifestato una certa irritazione per l’anteprima dell’intervento di Laham III. «È solo la posizione personale del patriarca», avevano precisato alla stampa. In effetti, la tesi del melchita appare chiaramente in disaccordo con l’orientamento della diplomazia d’Oltre Tevere, più propensa ad attendere un intervento delle Nazioni unite che ad avanzare la prima mossa sul terreno minato del riconoscimento di uno Stato palestinese.

Tolto il discorso dal web, Laham III ha tenuto il suo discorso davanti al pontefice. Liberamente, o quasi. Rispetto alla versione pubblicata on-line, il saluto pronunciato ad Harissa è stato, infatti, ripulito dei riferimenti più problematici: via il passaggio sul riconoscimento dello Stato palestinese come «atto coraggioso di equità, di giustizia e di verità», omesso il rimando al Vaticano che, con il disco verde a Ramallah, finirebbe «per incoraggiare gli altri Stati europei e non solo a riconoscere la sovranità dello Stato palestinese». A questa revisione del testo si aggiunge il caso della ripubblicazione sul sito ufficiale del viaggio papale: nonostante siano trascorsi due giorni dalla sua pronuncia, dell’intervento non c’è traccia. Molto probabilmente, una volta che il papa sarà rientrato a Roma, la pagina verrà aggiornata per dare al pubblico un quadro d’insieme della tre giorni in Medio Oriente. Al momento nulla si muove.

Senz’altro Ratzinger avrebbe preferito omettere nella sua visita in Libano qualsiasi riferimento alla politica, specie quella israelo-palestinese dato il rapporto, non sempre facile, tra il Vaticano e Tel Aviv. Solo qualche settimana fa Israele aveva protestato con la Santa sede per la nomina del nuovo nunzio apostolico, mentre resta sempre aperta la questione della beatificazione di Pio XII.

Benedetto XVI, come è suo stile, avrebbe voluto dare un taglio esclusivamente pastorale alla sua tre giorni in Medioriente. Tuttavia, di fronte alle violente manifestazioni nel mondo islamico di questi giorni, c’’è da chiedersi se il richiamo alla Palestina del patriarca Laham III non sia stato, non solo inevitabile, ma anche utile per allentare le tensioni tra Occidente e musulmani.

Giovanni Panettiere
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 08.09
Titolo:ROMA. Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; al...
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri". Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".