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LA PALUDE INFERNALE IN CUI IL VATICANO E L'ITALIA SGUAZZANO ANCORA! Una nota di Furio Colombo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June 13 2012 20:19:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/6/2012 16.30
Titolo:C'E' FAMIGLIA E "FAMIGLIA"!!! Famiglia, teatro del mondo .....
Famiglia, teatro del mondo

di Claudio Magris (Corriere della Sera, 03.06.2012)

Le grandi religioni universali, e soprattutto il Cristianesimo, non sono cosa da family day. Cristo è venuto a cambiare la vita degli uomini e a proclamare valori più alti dell’immediata cerchia degli affetti, anzi a sferzare duramente questi ultimi quando essi regressivamente si oppongono a un amore più grande. Perfino il legame più forte, quello tra il figlio e la madre, è trattato bruscamente quando Maria vuole interferire: «Donna, che c’è tra me e te?» le dice. Quando, mentre sta parlando a una folla, gli vengono a dire che sua madre e i suoi fratelli lo stanno cercando, Cristo replica: «Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?», aggiungendo che è suo fratello chi fa la volontà del Padre. Se c’è conflitto tra il rapporto di parentela e il comandamento, la scelta è chiara: egli afferma di essere venuto a separare, ove sia necessario, «il figlio dal padre, la figlia dalla madre». La sua stessa nascita, del resto, scandalosa rispetto alle regole, non rientra certo nel modello dall’ordine famigliare.

Naturalmente Cristo non intende negare l’amore fra e per gli sposi, i figli, i fratelli, i genitori. Vuole potenziarlo, liberarlo dalla sua così frequente degenerazione egoistica, benpensante e riduttiva che immiserisce quei legami universali-umani in una chiusura pavida e arida, sbarrando la porta alla vita e agli altri, trincerandosi in un piccolo mondo pulito e perbene ma indifferente alla miseria e alla sofferenza, che magari iniziano fuori della porta sbarrata. C’è una colorita espressione veneta che raffigura questa falsa e piccina armonia famigliare basata sul rifiuto degli altri: «far casetta».

«Tengo famiglia» è la scusa migliore per tirarsi indietro dinanzi a un dovere che ci chiama a metterci a rischio. A questo proposito, Noventa - grande poeta cattolico, uno dei grandi poeti del Novecento - replicava nel suo dialetto veneto a chi piega vilmente la testa («son vigliaco») accampando i vecchi genitori, la moglie ancor giovane e i figli da mantenere: «Copé la mare, / Copé el pare, /La mugier zóvene / e i fioi - (...) No’ saré più vigliachi».

La famiglia è certo una realtà storica, anche se di particolare durata, e come tale soggetta a trasformazioni e a mutamenti, mai così intensamente e confusamente come oggi, in un groviglio di liberazioni ora giuste ora pacchianamente ideologiche e stupide, conformismi travestiti da trasgressione o da sacri principi, esibizionismi supponenti, in un sommovimento di secolari tradizioni, costumi, valori, forme di aggregazione familiare.

La famiglia è stata e difficilmente potrà cessare di essere una cellula primaria dell’universale umano; il Teatro del Mondo in cui l’individuo viene al mondo, le cui voci gli sono giunte già quando era ancora nella prima stazione del suo viaggio, nel ventre della madre; in cui l’individuo scopre il mondo, fa l’esperienza fondante dell’amore o devastante del disamore, impara con i fratelli il gioco, l’avventura, la lotta, l’ambivalenza di affetto e rivalità; in cui il padre e la madre gli trasmettono non solo la vita ma anche il suo senso. Non sbagliava Francesco Ferdinando, l’erede al trono absburgico ucciso a Sarajevo, quando volle che sulla sua tomba venissero incise solo tre date: della nascita, del matrimonio e della morte.

La famiglia può essere l’incantevole scenario della scoperta del mondo, come in Guerra e pace di Tolstoj, e può essere tragedia e abiezione, odio e violenza, Caino e Abele, gli Atridi e la stirpe di Edipo. Può essere luogo di opaca estraneità, di meschini risentimenti, di violenza e di oppressione; violenza di padri o di mariti padroni su figli e su mogli, sordida rivalsa femminile di soffocanti tirannidi domestiche, incombenti clan parentali che hanno trapiantato la tribù nella civitas e risucchiano l’individuo, come scriveva Kafka, nella pappa informe delle origini.

Già la parola famiglia è un Giano bifronte: indica il mondo che ci è più caro e può indicare il bestiale legame mafioso. Gide poteva dire: «Famiglie, quanto vi odio». Le nuove forme di famiglia radicalmente diverse da quella tradizionale, che si annunciano pure sbracciandosi con enfasi, possono portare valori o disvalori ma non sono certo al riparo dalle degenerazioni della convivenza.

La liberazione dell’uomo - il senso del Cristianesimo - non può non liberare pure la famiglia; anche da se stessa, se occorre. E allora la famiglia può diventare veramente un Teatro del Mondo e dell’universale-umano: quando, giocando con i propri fratelli e amandoli, facciamo il primo fondamentale passo verso una fraternità più grande, che senza la famiglia non avremmo imparato a sentire così vivamente; quando i genitori ci fanno capire concretamente che cosa significa essere portati per mano nella giungla del mondo, da una mano che continua a sorreggere anche quando non la si stringe più fisicamente.

In una famiglia libera e aperta anche l’Eros trova la sua avventura più grande, misteriosa e conturbante; mangiare in pace il proprio pane con la donna amata in giovinezza, come dice un passo biblico spesso citato da Saba, è esperienza di grandi amanti. E i figli, in un universo di rapporti liberati da familismo (ansioso, autoritario, debole, ossessivo, a seconda dei casi) diventano realmente la passione più grande che la vita ci fa conoscere.

La civiltà greca ci ha dato Edipo e gli Atridi, ma anche Ettore che, senza preoccuparsi della propria morte, sulle mura di Troia assediata gioca con suo figlio Astianatte e il suo desiderio più grande è che questi cresca migliore e più forte di lui.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2012 20.19
Titolo:Gli stretti legami che uniscono ancora il Vaticano agli affari italiani ...
«La gerarchia italiana fa fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa»

intervista a Manlio Graziano*,

- a cura di Isabelle de Gaulmyn

- in “La Croix” del 13 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Questi scandali mostrano gli stretti legami che uniscono ancora il Vaticano agli affari italiani. Come spiegare questo legame?

Innanzitutto con la storia. La Chiesa cattolica ha esercitato per un millennio il suo potere temporale su una grande parte del territorio della penisola e, anche al di fuori dello Stato pontificio, il clero è stato per moltissimo tempo il più importante proprietario fondiario (del resto, non solo in Italia).
- Tale posizione ha necessariamente lasciato delle tracce, ma in Italia più che altrove, perché, fin dalla sua nascita, lo Stato italiano ha sempre tenuto in considerazione gli interessi della Chiesa. Nella memoria dei responsabili politici italiani, infatti, la mobilitazione organizzata dalla Chiesa, che aveva provocato la caduta della Repubblica napoletana del 1799, è rimasta un ricordo indelebile.
- Al momento della presa di Roma, la prima decisione del governo italiano è quindi stata di esentare l’antico Stato pontificio, per un periodo di due anni, dall’applicazione delle leggi di soppressione dei benefici ecclesiastici, e la seconda di votare delle leggi di garanzia (le guarentigie) a favore della persona e dei beni del papa e del Vaticano.
- Durante la sospensione delle leggi dette “anticlericali” a Roma, fu il clero stesso che alienò gran parte delle sue proprietà fondiarie e fece nascere un grande impero finanziario (che in Italia viene chiamato “le banche cattoliche”), che da allora è uno dei protagonisti, di cui non si può non tener conto, della vita economica (e quindi politica) del paese. Ma non tutte le proprietà in mano al clero sono state alienate o espropriate in seguito. Secondo diverse fonti, la Chiesa conserverebbe oggi ancora un controllo diretto o indiretto sul 20-25% del patrimonio immobiliare italiana, e gli accordi del Laterano del 1929 lo autorizzavano a non pagare imposte su tali proprietà.

Gli italiani della Santa Sede conservano uno stretto legame con quanto succede nella Chiesa italiana?

Per rispondere a questa domanda, bisogna fare una distinzione tra i cittadini della Repubblica italiana che lavorano per una delle istituzioni della Città del Vaticano, e i vescovi e i cardinali italiani che lavorano nel governo centrale della Chiesa universale. Questi ultimi mantengono certo un legame molto forte con la Chiesa della penisola, e molti di loro fanno ancora fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa di Roma. È comunque certo che l’Italia resta il pilastro su cui si basa la Chiesa universale. Questo autorizza una parte della gerarchia di origine italiana a mantenere una certa ambiguità, arrivando a volte perfino a pensare che il governo della Chiesa universale le spetti di diritto. Ora, dal 1978, la direzione centrale della Chiesa è affidata ad un nonitaliano, e oggi sappiamo che una delle ragioni dell’elezione di Karol Wojtyla fu proprio la volontà di sottrarre la Chiesa universale ai conflitti che dividevano i cardinali italiani.

Quali sono le poste in gioco, per la Chiesa italiana, di questa prossimità col Vaticano?

Come ho appena detto, la Chiesa italiana, in generale, si sovrastima. La vicinanza ai sacri palazzi, il suo ruolo storicamente decisivo, l’obiettiva importanza della penisola come “laboratorio” nel quale le scelte del papa e della gerarchia sono sperimentate, e il fatto di rappresentare un “polmone” per l’amministrazione e per il governo della Santa Sede: tutto questo dà ai responsabili della Chiesa italiana la sensazione di potersi in qualche modo “sottrarre” alle regole di funzionamento che sono imposte a tutte le altre Chiese nazionali in nome della centralizzazione della Chiesa universale.

* insegnante di geopolitica e di geopolitica delle religioni alla Sorbona Parigi IV e all’American Graduate School di Parigi, autore di Identité catholique et identité italienne. L’Italie laboratoire de l’Église (Parigi, 2007) et Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Roma, 2010)