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Ultimo aggiornamento: October 19 2011 14:45:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/10/2011 13.25
Titolo:Lo spirito e la materia di Assisi - di Raniero La Valle
Lo spirito e la materia di Assisi

di Raniero La Valle (“Rocca”, n. 19, 1 ottobre 2011)

Ci sarà il 27 ottobre la salita delle religioni al monte santo di Assisi, per l'incontro ecumenico ed
interreligioso indetto dal papa nel venticinquesimo anniversario di quel primo convegno dei leaders
religiosi mondiali che fu promosso nel 1986 da Giovanni Paolo II, per la gioia di molti e il cruccio
scandalizzato di altri, soprattutto uomini di curia e collaboratori a lui più vicini. Tutte le religioni
insieme: non è forse irenismo? Il problema che esplose allora si ripropone anche oggi.

La scommessa sta tutta nel fatto che il mettere insieme in nome della fede, e non della politica o
della cultura, rappresentanti di religioni e Chiese diverse, non venga messo sul conto di quel
relativismo, anzi di quella «dittatura del relativismo», che è il male strenuamente combattuto da
Benedetto XVI fin dall'inizio e anzi dagli antefatti del suo pontificato. Per allontanare dall'evento
tale sospetto lo stesso Benedetto XVI parlando una volta dello «spirito di Assisi», ne precisava il
contenuto in un comune lavoro per la pace e la riconciliazione tra i popoli, «nel rispetto delle
differenze delle varie religioni».

È molto giusto che le differenze - cioè il pluralismo - siano rispettate, e questo le stesse religioni lo
vogliono. Il problema è però che la differenza rispetto alle altre fedi e religioni non sia identificata
dalla Chiesa cattolica nel fatto che essa sarebbe l'unica religione per la salvezza mentre le altre, pur
rispettabili, non sarebbero idonee a questo fine. Se infatti questa fosse la differenza concepita dalla
Chiesa romana rispetto ai suoi interlocutori negli incontri ecumenici e interreligiosi, tali incontri si
ridurrebbero a puro folklore (anche la liturgia può ridursi a folklore) e vano sarebbe lo stesso
«pellegrinaggio» del papa ad Assisi.

Che proprio questo sia il problema è dimostrato dal fatto che il rapporto con le religioni è una delle
principali ragioni di rottura con la Chiesa degli integristi scismatici che rifiutano il Vaticano II;
contro il raduno di Assisi il loro superiore francese ha avuto parole di fuoco, e pare che nell'incontro
del 14 settembre tra il cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e
mons. Bernard Felley, capo dei lefebvriani, questi abbia dichiarato che il vero ostacolo da
rimuovere per la riconciliazione sarebbe la dichiarazione «Nostra aetate» del Concilio.

Dal suo punto di vista ha ragione: se c'è infatti un punto decisivo in cui il Concilio ha innovato
rispetto alla dottrina comunemente professata nella Chiesa cattolica fino ad allora, è proprio nel
riconoscimento dei valori cristici e salvifici che sono presenti in tutte le tradizioni religiose e in tutti
gli uomini, come appunto dice la «Nostra aetate» quando afferma che la Chiesa «nulla rigetta di ciò
che è vero e santo in queste religioni» le quali, pur nel differenziarsi dal credo cattolico «non
raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini». Queste parole erano del
resto solo l'inizio di una riflessione che sarebbe stata sviluppata nello stesso Concilio e poi nella
dottrina e nella prassi della Chiesa fino allo «spirito di Assisi» e oltre.

La novità stava nel fatto che
la Chiesa cattolica non si presentava più come l'unica depositaria della verità e la sola dispensatrice
di salvezza, secondo la vecchia affermazione che «extra Ecclesiam nulla salus» (fuori della Chiesa
non c'è salvezza), che purtroppo nell'apologetica era stata unita alla figura non edificante di Raab la
quale, secondo il racconto biblico, aveva rotto la solidarietà col suo popolo ed era stata l'unica a
salvarsi nello sterminio di Gerico. Il Concilio ha deposto solennemente questa pretesa esclusivista e
dominatrice, come Paolo VI depose allora il suo triregno, in favore dei poveri, nelle mani di
Massimo IV Saigh, il capo della piccolissima Chiesa melchita.


Dice infatti con forza il Concilio che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad
ogni uomo», ciò che rompe ogni confine di tempi, di templi e di civiltà, ed è proprio quello che gli
integristi anticonciliari non riescono ad accettare. La chiave di tutto è nell'affermazione paolina che«Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità», incessantemente
ripetuta dal Vaticano II sia riguardo alle Chiesa, sia riguardo ai credenti di altre fedi, sia riguardo a
tutti quelli che, «immagine di Dio», sono tenuti, in nome della libertà, a «obbedire soltanto alla
propria coscienza».

Le conseguenze sono ben più profonde che un buon galateo tra le religioni. Come diceva già
Teilhard de Chardin occorre «sottrarre la venuta del Figlio di Dio, l'Incarnazione, al quadro di una
concezione statica del mondo e della vita, in cui è stata finora collocata»; secondo Carlo Molari (su
«Rocca») l'Incarnazione non è un evento istantaneo che si esaurisce nella realtà umana di Gesù,
«ma incide in modo profondo nella storia ed è ancora operante nel divenire umano»; secondo
Raimundo Panikkar «non si può ridurre Dio a un ruolo esclusivamente storico, né l'Incarnazione a
un fenomeno temporale»; secondo le ultime parole di papa Giovanni, richiamate da don Loris
Capovilla proprio in vista di questo prossimo incontro, «quelle braccia allargate del Crocifisso
dicono che egli è morto per tutti, per tutti».
Questo è lo spirito, ma anche la via che parte da Assisi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/10/2011 18.20
Titolo:"Bonus Miles Christi", il buon soldato di Cristo, I cappellani militari chiedono...
Hanno una rivista che si chiama "Bonus Miles Christi", il buon soldato di Cristo. Ma siamo sicuri sia proprio Cristo ad arruolare soldati "buoni" che bombardano figli, figlie e anziani di popoli che nemmeno conoscono?

I cappellani militari chiedono più soldi per fare le guerre

di don Paolo Farinella *

Un’amica mi ha passato un articolo di Manlio Dinucci con il titolo «Aggressioni “benedette”». Fin dalle parole d’incipit ci si chiede se ancora a dieci anni del terzo millennio, dobbiamo ancora subire come cristiani parole che sono il segno di una vita più indecente conclamata in nome di Cristo. Il vescovo castrense (non equivocare, dicesi castrense il vescovo insignito della carica vescovile e contemporaneamente di quella di generale di corpo di armata, con stellette incorporate ); il vescovo castrense guida diocesi dei militari (si chiama Ordinariato militare) che hanno una rivista il cui titolo è - indovinate un po’? - «Bonus Miles Christi - Il buon soldato di Cristo». Sì, proprio così: Cristo è uno che arruola soldati e per giunta buoni, anche quando vanno a sparare ai figli, figlie, bambini, bambine, anziani di popoli che non ci conoscevano nemmeno se non per avere a capo del governo un degenerato, pazzo e tronfio piccoletto dai tacchi rialzati.

Fin dove può arrivare la mistificazione! Si mescola l’acqua santa col diavolo, Dice il capo di questa diocesi di soldati di Cristo armati ed educati alla violenza con armi sofisticate per ammazzarne più che sia possibile; dice che «prova amarezza di fronte a chi invoca lo scioglimento degli eserciti, l’obiezione contro le spese militari» perché «il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano». Monsignor Vincenzo Pelvi continua, e non s’accorge delle bestialità: «l’Italia, con i suoi soldati fa la sua parte per promuovere stabilità, disarmo, sviluppo e sostenere ovunque la causa dei diritti umani». Parole messe in fila una dopo l’altra dal giornale dei vescovi «Avvenire» (2 giugno 2011), segno che la presidenza approva. Sia benedetto l’esercito e gli eserciti che tanto bene fanno all’umanità con amore e compassione: sparando, squartando, bruciando, violentando, stuprando, bestemmiando. Cosa importa! Alla rientro da queste battaglie di civiltà c’è sempre un pincopallo di cappellano, con aspersorio e stola, pronto ad assolvere e con la penitenza di andare ancora contro il nemico e «di farlo fuori prima che ti faccia fuori lui».

Manlio Dinucci, Manifesto, ricorda alcuni momenti topici che dovrebbero fare impallidire anche la Madonna nera, mentre di questi fatti, i preti di ieri e di oggi non se ne fanno un baffo:

1. Nel 1911, nella chiesa di S. Stefano dei Cavalieri in Pisa, parata con bandiere strappate ai turchi nel Cinquecento, il cardinale Maffi invitava i soldati in partenza per la guerra di Libia, a «incrociare le baionette con le scimitarre» per portare nella chiesa «altre bandiere sorelle» e in tal modo «redimere l’Italia, la terra nostra, di novelle glorie».

2. Il 2 ottobre 1935, all’annuncio di Mussolini che iniziava la guerra di Etiopia, Mons. Cazzani, vescovo di Cremona, da perfetto fascista indirizzava al popolo una sua pastorale, dove si leggono queste perle: «Veri cristiani, preghiamo per quel povero popolo di Etiopia, perché si persuada di aprire le sue porte al progresso dell’umanità, e di concedere le terre, ch’egli non sa e non può rendere fruttifere, alle braccia esuberanti di un altro popolo più numeroso e più avanzato». 3. Il 28 ottobre 1935, ricorrendo il 13° anniversario della marcia su Roma, nel Duomo di Milano, il cardinale Alfredo Ildelfonso Schuster così celebrava: «Cooperiamo con Dio, in questa missione nazionale e cattolica di bene, nel momento in cui, sui campi di Etiopia, il vessillo d’Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene agli schiavi. Invochiamo la benedizione e protezione del Signore sul nostro incomparabile Condottiero».

4. L’8 novembre 1935, sempre in relazione alla guerra di Etiopia Mons. Valeri, arcivescovo di Brindisi e Ostuni, scrive anch’egli una pastorale al suo popolo: «L’Italia non domandava che un po’ di spazio per i suoi figli, aumentati meravigliosamente da formare una grande Nazione di oltre 45 milioni di abitanti, e lo domandava a un popolo 5 volte meno numeroso del nostro e che detiene, non si sa perché e con quale diritto, un’estensione di territorio 4 volte più grande dell’Italia senza che sappia sfruttare i tesori di cui lo ha arricchito la Provvidenza a vantaggio dell’uomo. Per molti anni si pazientò, sopportando aggressioni e soprusi, e quando, non potendone più, ricorremmo al diritto delle armi, fummo giudicati aggressori».

5. Oggi dopo 76 anni, un altro cappellano militare, anima persa e senza Dio, tale don Vincenzo Caiazzo, che celebra messa sulla portaerei Garibaldi, che di fatto è la sua parrocchia, popolata di caccia, missili bombe con cui lui e quelli come lui bombardano la Libia - garantisce che «l’Italia sta proteggendo i diritti umani e dei popoli, per questo siamo in mezzo al mare» perché la motivazione teologica è chiara: «I valori militari vanno a braccetto con i valori cristiani». (Oggi, 29 giugno 2011).

Di fronte a questo rinnegamento del Vangelo viene solo voglia di dire «Povero Cristo!». Costoro dovrebbero essere le «guide», coloro che dovrebbero insegnare a «discernere» il grano dal loglio, la violenza dalla non-violenza, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, la pace dalla guerra. Costoro sono l’autorità nella Chiesa che si annettono Cristo a loro uso e consumo, lo militarizzano, lo circondano di armi e di morte e poi vanno nei salotti clericali a difendere la vita. Che Dio li perdoni, se può, perché costoro non hanno smarrito solo la fede, ma «c’hanno perduto il ben de l’intelletto» (Dante, Inf. III,18).

* DOMANI/ARCOIRIS. 13-10-2011

http://domani.arcoiris.tv/i-cappellani-militari-chiedono-piu-soldi-per-fare-le-guerre/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/10/2011 10.24
Titolo:INNOVARE IN MODO CONCRETO DI ESSERE CHIESA. I diritti di noi credenti ....
I diritti di noi credenti

di Paola Gaiotti De Biase ("Europa”, 14 ottobre 2011)

Mauro Ceruti su Europa così chiude un discorso, peraltro largamente condivisibile, anche se non mi pare rifletta tutti i dati reali delle scelte politiche dei cattolici in questo ventennio. «Queste idee e queste esperienze sono state elaborate nei vitali laboratori della cultura e dell’associazionismo cattolici: tuttavia non hanno trovato un modo per fare rete fra loro e tanto meno adeguate forme per affermare una loro più ampia rilevanza politica. Ma è proprio la rilevanza di questo patrimonio culturale e organizzativo che impone ai cattolici un rinnovato impegno politico, al servizio di un grande progetto (da condividere laicamente con tutti, senza distinzioni e senza steccati) per il bene comune della nazione».

Tutto bene: ma non dovremmo anche domandarci, se si ritiene che questa rete da condividere laicamente non siamo riusciti a costruirla, perché questo è avvenuto.

Chi ha impedito che i cattolici si ritrovassero tutti sulla linea di Amartya Sen in economia, su una cultura della pace e un’idea della globalizzazione e del ruolo dell’Europa, che guidasse la nostra politica internazionale, sul rapporto dell’uomo con la natura? Chi ha indebolito sistematicamente l’autonomia politica dei laici che si muovevano in questa direzione? Chi li ha indirizzati sistematicamente verso sponde politiche altre da quelle declinate nell’articolo di Cerruti? Chi ha irriso ai cattolici adulti, da Prodi alla Bindi a Franceschini che si sono mossi in queste direzioni?

Chi ha ignorato le molte militanze cattoliche che si muovevano sulla linea di quel patrimonio ideale? Perché è importante che l’associazionismo cattolico si ritrovi su alcune grandi griglie ideali, e perfino anche che sappia definire in modo corretto le divisioni strutturalmente inevitabili nel concreto delle scelte politiche in una democrazia (insomma voglio dire che esista anche grazie ai cattolici una destra decente): ma non possiamo dimenticare due cose, semplici e irrefutabili.

La prima è che questo è possibile solo in un contesto esplicito di ricerca, di approfondimento, di competenza tecnica e dunque di autonomia laicale e di responsabilità diretta, non delegata da nessuno. Sono stata colpita dall’invito del Papa ai cattolici a impegnarsi politicamente. Mi pare che sia nella storia difficile del regno sia in quella della repubblica i cattolici non abbiano avuto bisogno di inviti e sollecitazioni: lo hanno fatto in molti da soli, in nome del loro essere cittadini come gli altri, e talora non senza difficoltà.

La seconda è che l’associazionismo cattolico non pensi di sostituire con l’impegno politico quello che è il nostro vero problema di credenti, da affrontare da laici insieme ma con coraggio: la coerenza della Chiesa di fronte alle aspettative svegliate dal Concilio Vaticano II, al necessario equilibrio per cui logica della profezia e logica dell’istituzione trovino la loro mediazione, non limitandosi la prima ai discorsi e la seconda ai fatti, ma innovando il modo concreto di essere Chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/10/2011 13.07
Titolo:L'EREDITA' DEL CONCILIO E IL NUOVO MESSALE IN INGLESE ....
Il nuovo Messale in inglese e l'eredità del Concilio

di Massimo Faggioli

in “popoli” dell'ottobre 2011


Nella prima domenica di Avvento (27 novembre) la Chiesa cattolica degli Stati uniti - al pari di
quelle di Gran Bretagna, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda - inizierà a usare la nuova traduzione
inglese del Messale romano.

Il cambiamento avviene dopo un lungo iter in cui non sono mancate
tensioni tra Roma e la Chiesa statunitense, né divisioni all’interno di quest’ultima. È utile dunque
ricostruire brevemente le tappe di una vicenda che, seppure estremamente importante per il mondo
cattolico, ha avuto scarsa eco in Italia. Dopo l’approvazione, durante il Concilio Vaticano II, della
Costituzione sulla Sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (1963), avvenuta anche grazie
all’appoggio decisivo dei vescovi americani, nel 1973 fu approvata da Roma e iniziò a essere usata
nelle chiese statunitensi la prima traduzione del Messale dal latino all’inglese realizzata da Icel
(International Commission on English in the Liturgy), commissione fondata proprio durante il
Concilio dalle Conferenze episcopali anglofone.

Tra 1994 e 1998 la Congregazione per il culto divino iniziò a manifestare obiezioni nei confronti
delle nuove traduzioni in lingua inglese dei testi liturgici fatte secondo il principio della
«equivalenza dinamica».

Nel 1999 il cardinale Medina escluse l’«equivalenza dinamica» come
metodo accettabile. Il passo successivo fu l’istruzione vaticana Liturgiam authenticam
del 2001, tuttora in vigore e valida per tutte le Chiese, secondo la quale le nuove traduzioni devono
seguire il principio di «equivalenza formale»: ogni parola latina deve avere un corrispondente nella
traduzione, e sintassi, punteggiatura e vocabolario della lingua latina devono essere riprodotti
fedelmente.

Nel 2002 iniziò l’emarginazione di Icel come luogo di elaborazione dei testi liturgici in lingua
inglese, a favore di un nuovo organismo di creazione vaticana, Vox Clara, che dipende dalla
Congregazione per il culto divino; Icel fu riorganizzata in modo da non rispondere più ai vescovi
ma al Vaticano. Iniziò in quel periodo il lavoro per una nuova traduzione inglese del Messale.

Nel
2008 la nuova traduzione preparata da Icel fu presentata e subito subissata di critiche da parte di
molti teologi e liturgisti anglofoni quanto alla qualità della traduzione; il testo fu comunque inviato
a Roma per l’approvazione. Vox Clara introdusse a questo testo circa 10mila modifiche, il Vaticano
approvò e inviò il nuovo Messale ai vescovi perché venisse introdotto all’inizio dell’anno liturgico
2011-2012.


Nel corso degli ultimi due anni il dibattito si è acceso in ogni Paese anglofono toccato dalla nuova
traduzione del Messale. Negli Stati Uniti esso è stato particolarmente intenso non solo per la
consistenza numerica della Chiesa cattolica (67 milioni di fedeli, circa il 23% dei cittadini adulti),
ma anche per il ruolo decisivo giocato, tra Icel e Vox Clara, dal cardinale Francis George,
arcivescovo di Chicago e fino alla fine del 2010 presidente della Conferenza episcopale Usa
(Usccb), la quale è stata teatro di numerose e palesi irregolarità procedurali finalizzate a far passare
il testo «romano» senza possibilità di intervento da parte dei vescovi.

Dall’assemblea della Usccb del novembre 2009 buona parte dei liturgisti americani ha cercato di
rimettere in discussione il nuovo Messale. Fino all’inizio del 2011 i vescovi e teologi americani
erano ancora divisi sulla sua accettabilità; negli ultimi mesi, però, i critici hanno pubblicamente
rinunciato a portare avanti la loro «resistenza» in nome dell’unità della Chiesa americana. Noti
liturgisti che avevano contestato la qualità linguistica e teologica del nuovo Messale si sono messi a
disposizione dei vescovi, al fine di limitare i danni nel corso del delicato processo di recezione.

Anche tra il laicato statunitense le critiche sono proseguite (si veda, per esempio, il sito
www.whatifwejustsaidwait.org) fino all’inizio del 2011, quando anche i più convinti oppositorihanno dichiarato la loro disponibilità a lavorare per una migliore recezione del nuovo Messale, al
fine di non lacerare la comunione ecclesiale.

Ma quali sono le principali critiche rivolte al nuovo Messale? C’è anzitutto un problema di
chiarezza del testo: la nuova traduzione, che ha dovuto mantenere la struttura della frase latina, è
ricca di espressioni complesse non facilmente comprensibili da un anglofono medio.

C’è poi un
problema di lunghezza delle frasi: per esempio, la lunghezza delle frasi delle preghiere eucaristiche
del nuovo Messale (aumentate mediamente del 78% rispetto al precedente) fa diventare quei testi
totalmente estranei al ritmo della lingua inglese.

Infine, ci sono rilevanti cambiamenti di formule
ormai entrate a far parte della lingua liturgica dopo il Concilio. Un esempio: quando il sacerdote
dice «Il Signore sia con voi», ora anche gli anglofoni, come facciamo noi italiani, risponderanno
«And with your spirit» («E con il tuo spirito»), formula certo più aderente al latino, ma ben diversa
dall’espressione colloquiale, «And also with you» («E anche con te»), a cui erano abituati. Ancora:
durante la consacrazione del vino, al posto di «cup» ci sarà l’arcaico «chalice».

E l’espressione
«For you and for all» («Per voi e per tutti») sarà sostituita da «For you and for many» («Per voi e
per molti»): in quest’ultimo caso, tra l’altro, è evidente che con la nuova traduzione si è voluto
trasmettere un contenuto teologico particolare, una questione che va al di là della maggiore o
minore vicinanza ai testi latini.


Del resto tutta la vicenda dell’elaborazione del nuovo Messale ha significati più profondi di una
semplice controversia linguistica. Colpiscono due aspetti, collegati tra loro. In primo luogo, chi vive
in America sa che la qualità liturgica nelle chiese cattoliche è notoriamente molto alta: dal punto di
vista della solennità, della musica, della cura delle letture e degli arredi sacri, ecc.

I motivi sono
molti, specialmente per quanto riguarda la musica (tra cui un interessante fenomeno di migrazione
verso la cultura cattolica di una tradizione liturgica congregazionale-protestante), ma in particolare
vi è il successo del processo di recezione della riforma liturgica del Concilio negli Usa, come ha
evidenziato il recente studio di Mark Massa, The American Catholic Revolution: How the ’60s
Changed the Church Forever (New York, Oxford University Press, 2010).

Al contrario di altri casi
additati dai nostalgici, la riforma liturgica conciliare in America non ha dato luogo ad «abusi» né
alla distruzione di un patrimonio rituale - molto cattolico e molto americano - che è ancora forte e
sentito. Dunque, delle tante riforme di cui gli anti-conciliari o i cattolici conservatori americani
potrebbero sentire il bisogno, quella della liturgia è percepita come la meno urgente.


In secondo luogo, è evidente che al cuore delle tensioni tra Roma e le Chiese anglofone, e
all’interno di queste, vi è la consapevolezza che la riforma liturgica del Concilio è «il» simbolo del
Vaticano II e in qualche modo il custode della sua ecclesiologia. Quanti attaccano la riforma
liturgica sanno bene che il Vaticano II è ancora sulla strada di una sua «canonizzazione», ovvero di
una sua stabilizzazione culturale come nuova forma espressiva della fede cattolica.

Modificare la
liturgia del Concilio (e in questo caso, latinizzarne la lingua) può essere letto come un sottinteso
appello a rimettere in discussione tutto il resto del Vaticano II.

La nuova traduzione in inglese del
Messale appare dunque un terreno di confronto circa l’interpretazione del Concilio: un confronto
particolarmente delicato e dall’esito incerto per un cattolicesimo, come quello anglofono,
culturalmente poco attaccato alle nostalgie dell’età tridentina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/10/2011 14.45
Titolo:Il filosofo ateo AC Grayling declina l’invito ...
Il filosofo ateo AC Grayling declina l’invito a partecipare ad Assisi


di Madeleine Teahan

in “The Catholic Herald” del 18 Ottobre 2011 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)

Il filosofo britannico AC Grayling ha declinato l'invito a partecipare all’evento interreligioso per promuovere la pace nel mondo promosso dal Vaticano.

Anche se il docente di filosofia aveva inizialmente previsto di partecipare al terzo incontro di "Preghiera per la Pace" ad Assisi, in Italia, egli ha poi cambiato idea alla scoperta che il suo
intervento sarebbe stato solo nel contesto di un incontro per i pellegrini.

Il prof. Grayling ha dichiarato al Catholic Herald: "Avevo pensato inizialmente di avere un dialogo con il papa circa il ruolo della religione nella società, ma poi ho scoperto che si trattava di un evento minore in cui gli ospiti erano invitati ad accompagnare il papa in un pellegrinaggio. Così ho deciso di ritirarmi".

L'invito al professor Grayling aveva del sorprendente data la sua critica feroce a papa Benedetto XVI alla vigilia della sua visita in Inghilterra. Nel maggio 2010 aveva scritto un articolo per The Independent dal titolo: "Perché non l’ASBO (Anti-social Behaviour Order, un ordine emesso da un tribunale nei confronti di individui socialmente pericolosi) per il Papa?" Affermando: "Non corre forse il papa il pericolo di essere condannato a 100 ore di lavoro socialmente utile dopo aver nascosto centinaia di pedofili agli occhi della legge in tutto il mondo? Non dovrebbe ricevere anche lui questo tipo di condanna? O è stato invece invitato nel Regno Unito come un visitatore ufficiale che incontrerà la regina e sarà acclamato e riverito, con la certezza che ogni sforzo per arrestarlo e metterlo sotto processo in qualità di capo di una grande associazione di criminali fallirà?".


Papa Benedetto ha invitato altri ben noti non credenti per l'evento interreligioso di Assisi, secondo il progetto vaticano del "Cortile dei Gentili", progetto che mira a promuovere il dialogo tra cristiani e non credenti di tutto il mondo.

Fra gli altri atei invitati a partecipare ad una tavola rotonda la filosofa francese Julia Kristeva, l'italiano Remo Bodei e dal Messico, Guillermo Hurtado, fondatore della rivista di filosofia, Dianoia.

L’evento è previsto per la prossima settimana così da celebrare il 25 ° anniversario del primo incontro di Assisi, che ha avuto luogo nel 1986, sotto il pontificato del beato Giovanni Paolo II, il quale intese far incontrare i membri di molte confessioni cristiane e i membri di altre fedi.