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Ultimo aggiornamento: July 09 2011 14:16:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/7/2011 16.13
Titolo:LA PIU' GRENDE BUGIA DELLA STORIA ....
Le donne, gli uomini e la più grande bugia della storia

di Luciana Castellina (l’Unità, 28.06.2011)

C’è una bugia storica che non può essere svelata declassificando documenti segreti, come è stato per le Carte del Pentagono o per le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. A dirla sono le nostre moderne democrazie. Consiste nel far credere che, adesso, nascono bambini neutri e non più, come una volta, bambine femmine e bambini maschi.

Sulla base di questa menzogna hanno spacciato come universale l’intero edificio istituzionale dei nostri Paesi e la loro organizzazione sociale, che è invece rimasta tutta disegnata sull’essere umano maschio. Da quando la bugia è stata detta, le donne, per non rimanere prigioniere nel ghetto del privato familiare sottratto alle regole pubbliche, hanno dovuto vivere clandestinamente la propria identità, mascherandosi da essere neutro, cioè, nei fatti, da uomo.

Il femminismo recente ha per fortuna cominciato a sollevare dubbi su questa carnevalata. Purtroppo per disvelarla non basta desecretare carte, perché riconoscere l’esistenza di una differenza di genere cui viene nagato valore, significherebbe rimettere in discussione l’intera filosofia che ispira i nostri sistemi democratici, fondati sul principio di uguaglianza di fronte alla legge. Un’idea che ha avuto e ha molte buone ragioni, perché ha aiutato a eliminare i privilegi più vistosi e le esclusioni più inaccettabili, ma che non ha eliminato le disuguaglianze profonde: le ha nascoste come si fa con la polvere sotto i tappeti.

E così le istituzioni, i codici, la rappresentanza, l’organizzazione civile, l’assetto materiale della vita continuano ad assumere l’inesistente essere neutro come referente: un cittadino travestito da astratto, indistinto nel genere così come nella sua collocazione sociale reale.

Dire “ogni cittadino è uguale di fronte alla legge” è una conquista democratica ma anche un inganno. L’astrattezza della norma andrebbe colorata assumendo come metro il bisogno di ognuno, valorizzando la sua diversità e organizzando la vita collettiva in modo da dare uguaglianza concreta alle differenze.

Significherebbe costruire identità relazionali in cui ciascuno, anziché mutilarsi per entrare nella corazza dell’astratto, o rifugiarsi, mortificato, nella sua diversità diventata debolezza, si costruisce un’identità che assume l’altra o l’altro come risorsa critica di se stessa e di se stesso. A partire da qui si potrebbe ridisegnare un mondo migliore.

Detto questo, sono tuttavia d’accordo con Bobbio quando ci metteva tutti in guardia dai rischi di indebolire le garanzie formali di questa nostra democrazia che per ora è la migliore in circolazione. Ma d’accordo con Bobbio anche quando esprimeva la sofferta consapevolezza dei suoi limiti.

Mi basterebbe che almeno si sapesse della bugia storica e non si pensasse di ristabilire la verità concedendo qualche diritto a tutela delle minoranze (e peraltro le donne non sono una minoranza). Mi basterebbe insomma mettere una spina nel fianco della nostra democrazia imperfetta, e avere il coraggio di continuare a pensare il non ancora pensato. Non siamo alla fine della storia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2011 14.16
Titolo:Neppure un miracolo, crediamo, potrebbe far tornare ciò che è definitivamente sp...
Se la fede non dialoga con l'arte

di Antonio Gnoli

in “la Repubblica” del 9 luglio 2011


Era negli intenti del Cardinal Ravasi – con la mostra che si è aperta questa settimana in Vaticano –
rilanciare quel dialogo tra arte e fede che in un passato, ormai remoto, ha offerto grandi capolavori e
una fioritura di arte sacra di inarrivabile livello.

Qualche perplessità, tuttavia, suscita l'iniziativa. E
non solo per la constatazione desolante di che cosa abbia significato per la Chiesa l'arte negli ultimi
secoli – tra orrendi edifici, terrificanti dipinti e raccapriccianti sculture (l'ultima delle quali un
controverso omaggio a Giovanni Paolo II) – ma soprattutto per il venir meno del linguaggio con cui
tutto questo dovrebbe esprimersi.

In altre parole che idea di bellezza ha la Chiesa e in quale
direzione va l'arte contemporanea, chiamata da Ravasi ad assolvere a un compito di testimonianza?
È un problema non irrilevante, per chi adotta la fede come criterio, osservare il profondo
relativismo delle nuove tendenze, le quali sempre meno sono interessate alla bellezza (il cui ripudio
è discusso da Roger Scruton in un libro appena edito da V&P) e sempre più al mercato.

L'arte del
passato è stata grande perché grande fu il potere della Chiesa. Potente la committenza dei papi,
fecondo il dialogo con gli artisti, e indiscutibile la tradizione. Niente di tutto questo è rimasto. E
neppure un miracolo, crediamo, potrebbe far tornare ciò che è definitivamente sparito.