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A MILANO, TUTTI A "SCOLA" DI "LATINORUM": "DEUS CARITAS EST"! ORDINE DI BENEDETTO XVI. Cancellare ogni traccia della "charitas" di Ambrogio. Una nota sull'evento, con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June 29 2011 22:48:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/6/2011 15.51
Titolo:Scola alla conquista di Milano
Scola alla conquista di Milano

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2011)

Il cardinale Angelo Scola arriva a Milano. Lascia la sede del patriarcato veneziano per assumere la guida della più grande diocesi d’Europa. Stamane verrà dato l’annuncio ufficiale nella Sala stampa vaticana.

Benedetto XVI lo voleva sulla cattedra ambrosiana e Benedetto XVI ve lo ha messo. I sondaggi preliminari contano poco per papa Ratzinger. Quando nel 2006 si profilava la partenza del cardinale Ruini dalla carica di presidente della conferenza episcopale italiana il nunzio dell’epoca mons. Paolo Romeo - su mandato dell’allora Segretario di Stato cardinale Sodano - fece un sondaggio riservato tra i vescovi italiani per individuare una rosa di successori. In testa emerse il nome di Tettamanzi. Ma il papa non ne tenne conto. Nel 2007 - su pressione di Ruini e del nuovo Segretario di Stato Bertone - fu scelto Angelo Bagnasco.

È accaduto così anche in occasione delle dimissioni annunciate del cardinale Tettamanzi. Non corrispondeva a Scola il profilo del successore che la diocesi ambrosiana avrebbe desiderato. Ma papa Ratzinger - invece di andare alla ricerca di nuove personalità da fare crescere (come accadde quando papa Wojtyla d’improvviso scelse il biblista Carlo Maria Martini per mandarlo a Milano) - sempre più si sta circondando di persone che considera facenti parte della cerchia dei suoi intimi, teologicamente parlando.

Scola ha fatto parte del gruppo della rivista “Communio”, sorta per “raddrizzare” in senso moderato e a tratti conservatore gli sviluppi del dopo-concilio e contrastare espressamente l’ala marciante dei teologi riformatori riuniti nella rivista “Concilium”. Da una parte il riformismo conseguente, rappresentato da personalità come Yves Congar, Karl Rahner, Hans Kueng, Johann Baptist Metz, Edward Schillebeeckx, dall’altra le personalità intimorite dalla rivoluzione conciliare, convinte della necessità di salvaguardare il rapporto con la Tradizione. Con Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar Joseph Ratzinger fonda perciò la rivista “Communio” nel 1972.

Trentatré anni dopo Ratzinger diventa pontefice. Immediatamente, a Natale del 2005, condanna ufficialmente la teologia che considera il Vaticano II (inevitabilmente) una rottura con molti elementi della Chiesa tridentina. Collaboratore di “Communio” è stato il cardinale canadese Marc Ouellet, diventato recentemente responsabile del dicastero vaticano che si occupa dei preti di tutto il mondo (Congregazione del clero), collaboratore di “Communio” è stato Angelo Scola.

NON È TANTO l’origine ciellina che procura uno shock a quanti nella diocesi milanese sono stati fautori della linea Martini-Tettamanzi. Un cardinale che cresce di peso - come Scola - e che è arrivato nella lista dei papabili non può rimanere attaccato ad una matrice, per quanto attivissima, come Comunione e liberazione.

È la consapevolezza che - per volontà del pontefice - adesso si volterà decisamente pagina a Milano. La linea Martini-Tettamanzi ha significato che con omelie, interventi diretti o lasciando silenziosamente fare gli arcivescovi di Milano hanno favorito nell’ultimo trentennio una di riflessione teologica non sempre totalmente adagiata sul pensiero unico vaticano.

Sul piano politico, poi, Tettamanzi non ha nascosto - seppure in forme ponderate e nonostante l’asse vaticano con il centrodestra - la sua avversione alle derive becere del berlusconismo e del leghismo. E’ indubbio che alle ultime elezioni non ha ostacolato la forte mobilitazione cattolica a favore di Pisapia.

Scola, il “cardinale manager” come lo chiama Cacciari, vorrà tenere tutto sotto controllo. Teologicamente e politicamente. Ma anche per lui la realtà variegata della Chiesa milanese rappresenta una sfida
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 10.02
Titolo:EMANUELE SEVERINO GARANTISCE PER LA "BONTA'" DELLA "SCOLA" ....
Severino: «È stato mio allievo. Da laico gli ho dato 30 e lode»

intervista a Emanuele Severino,

a cura di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 28 giugno 2011)

«Eh sì, è stato mio studente. Lucido. E bravo, molto bravo. Allora, in Cattolica, avevo la cattedra di Filosofia morale. Lui stesso mi ha fatto venire in mente che all’esame gli diedi trenta e lode, ha scritto anche delle nottate passate assieme ai suoi compagni a studiare un mio libro, La struttura originaria...» .

Il filosofo Emanuele Severino tradisce un pizzico d’orgoglio da professore, è bello vedere i propri ragazzi fare strada. Il giovane Angelo Scola si laureò verso la fine degli anni Sessanta con Gustavo Bontadini, il pensatore che fu maestro dello stesso Severino («vale tre Maritain» ), poco prima che il grande filosofo bresciano fosse allontanato dalla Cattolica, nel ’ 70, dopo aver subito un «processo» dall’ex Sant’Uffizio. Acqua passata. Con il patriarca di Venezia si rividero nel 2003, a Ca’ Foscari, per un convegno su Bontadini organizzato dall’università.

E come fu l’incontro, professore, dopo più di trent’anni?

«Ci fu il ritorno di un rapporto che non esito a dire affettuoso, di simpatia reciproca. Non so cos’avessero i vaporetti, ma quel giorno arrivai in ritardo e il cardinale Scola era già lì da tempo, puntuale, circondato da gente con l’aria ossequiosa e compunta. Il patriarca invece non aveva affatto quell’aria e mi aspettava tranquillo, all’ingresso dell’aula magna Ca’ Dolfin, seduto su un termosifone. Simpatico, semplice, affettuoso. Ci siamo incontrati di nuovo due anni fa, all’università di Padova, per un convegno sulla morte voluto da un’altra mia bravissima allieva e docente, Ines Testoni».

Che arcivescovo si devono aspettare i milanesi?

«Di altissima qualità. Un uomo che sarà capace anche di entusiasmare, e lo dico con convinzione: oltre a essere un intellettuale di grosso calibro, ha tratti di semplicità e naturalezza che non è facile trovare negli uomini di Chiesa».

Certo avete idee diverse, lei sul «Corriere» replicò al cardinale che aveva proposto di uscire dalla «immagine vecchia dell’idea e della pratica della laicità...

«È una considerazione diffusa, nel mondo cattolico. Scola diceva di non condividere la persuasione di Habermas, secondo il quale "una democrazia costituzionale, per giustificarsi, non ha bisogno di un presupposto etico o religioso". Per Scola invece ne ha bisogno. Né lui né Habermas, però, approfondivano la radice di quella persuasione. Ma proprio questo è il punto da discutere. Così io obiettavo che, impostando il problema del laicismo in quel modo, prendendosela al solito con il "relativismo", la Chiesa corre il rischio - ma è più di un rischio - di trascurare il nemico autentico della religiosità e della tradizione: la forza con cui la filosofia degli ultimi due secoli elimina la tradizione e, da Leopardi a Nietzsche a Gentile, dimostra l’impossibilità di ogni verità assoluta e quindi di ogni "presupposto".

Scola e la Chiesa non vedono l’autentico pensiero contemporaneo?

«Se è per questo non lo vede neanche il mondo laico, che continua a presentarsi in modo debole, erede com’è di una fortuna che ignora di possedere. Bisogna saper guardare il sottosuolo del pensiero contemporaneo, oltre la superficie. È come quando, nel Simposio di Platone, si dice che Socrate è un sileno: fuori è bruttissimo, è vero, però dentro è Socrate! Il sottosuolo del pensiero contemporaneo - che peraltro non dice affatto l’ultima parola, bisogna andare ben oltre - è una potenza che non viene non dico riconosciuta, ma nemmeno intravista».

L’arcivescovo saprà confrontarsi, in una città come Milano, con il mondo laico?

«Ah, questo sì, ne ha tutte le capacità ed è un uomo aperto: per quanto lo conosco, credo proprio di poterlo dire. E penso che l’incrocio con Milano sia estremamente positivo, anche perché torna un po’ dalle sue parti. Conoscendo la sua intelligenza filosofica, lo ritengo incapace di prepotenze politiche o ideologiche. È invece un uomo capace di innovazioni senza vantarsene, senza marcare troppo le differenze».

C’è chi si è mostrato preoccupato per la sua estrazione ciellina...

«Anche questa faccenda, andiamo... Francamente non me lo vedo, rinchiuso nel ruolo di animatore di un movimento, con tutto il rispetto di quel movimento: la sua statura intellettuale è superiore e va oltre».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 13.43
Titolo:VESCOVI E CARDINALI CHE SI TOLGONO LA TESTA. Operazione sant'Ambrogio ...
A "SCOLA" DI AUTORITARISMO: VESCOVI E CARDINALI CHE SI TOLGONO LA TESTA. Don Primo Mazzolari diceva ai suoi parrocchiani: «Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non vi togliete la testa»

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Operazione sant’Ambrogio

di Aldo Maria Valli (Europa, 29 giugno 2011)

Nel 1972, durante la sua visita a Venezia, Paolo VI, nel bel mezzo di piazza San Marco e davanti alla folla, si tolse la stola e la mise sulle spalle di un imbarazzatissimo Albino Luciani, allora patriarca della Serenissima. Gesto eloquente, una vera e propria investitura. Che ebbe conferma e pratica realizzazione sei anni più tardi, alla morte di papa Montini, quando dal conclave uscì eletto proprio il timido patriarca.

All’inizio dello scorso maggio, nel corso della visita in laguna, Benedetto XVI non si è tolto la stola e non l’ha deposta sulle spalle del patriarca Angelo Scola. Non è nello stile di Joseph Ratzinger compiere gesti plateali. Ma, se non l’ha fatto, c’è anche una ragione sostanziale. Ratzinger, a differenza di molti altri dentro la Chiesa, crede nelle regole e nella collegialità.

In queste settimane che hanno preceduto la nomina di Scola a Milano si è detto e ripetuto che il patriarca di Venezia è approdato sotto la Madonnina perché fortemente voluto da Benedetto XVI. Adesso, a nomina avvenuta, sappiamo che è una verità parziale. Che Benedetto stimi Scola da molti anni è fuori discussione. Che ne ammiri le capacità di animatore culturale e di organizzatore è altrettanto certo. Ma non è vero che il papa si sia battuto per la nomina di Scola nonostante le opinioni divergenti degli altri vescovi chiamati a sottoporre al pontefice le candidature.

Anzi, è vero il contrario. Da fonti vaticane risulta infatti che per ben tre volte, davanti a una maggioranza di vescovi che, riuniti nella plenaria della congregazione, indicava una terna di nomi con Scola come candidato più forte per Milano, il papa ha rimandato indietro la proposta chiedendo un ulteriore approfondimento (o, come si dice in ecclesialese, un discernimento).

Lo ha fatto, sicuramente, non per scarsa fiducia in Scola, ma per grande considerazione della collegialità episcopale e del ruolo delicatissimo che la plenaria della congregazione per i vescovi è chiamata a ricoprire, specie quando in ballo c’è una nomina importante come quella che riguarda Milano. Solo che, dai vescovi, è arrivato sempre lo stesso responso: tre nomi, con due candidature oggettivamente deboli e una sola, quella di Scola, in grado di poter essere presa davvero in considerazione.

Al che il papa, proprio in ossequio al rispetto della collegialità, ha dato il via libera. Ora, perché la maggioranza dei vescovi (circa due terzi, a quanto risulta) ha puntato così decisamente su Scola? Paradossalmente l’ha fatto pensando di compiacere il papa. Poiché una campagna di stampa e di persuasione, sapientemente condotta e orchestrata, ha tambureggiato a lungo indicando il patriarca come candidato più gradito a Benedetto XVI, la maggioranza dei vescovi riuniti nella plenaria si è prontamente adeguata e, non volendo risultare in dissonanza con il pontefice, è diventata più realista del re (o meglio, più papista del papa).

Più che dalla strenua volontà di Benedetto XVI, il trasloco di Scola da Venezia a Milano nasce quindi da un’abile strategia di comunicazione e di persuasione messa al servizio di un candidato. Cosa che si ripeterà, c’è da scommetterlo, in caso di conclave, visto il successo di questa che, parafrasando il celebre film Operazione san Gennaro, possiamo ribattezzare Operazione sant’Ambrogio.

Sicuramente il papa non è scontento della scelta di Scola: la sua ammirazione per l’uomo e per il teologo è certa e si è consolidata nel tempo. Quanto al nuovo arcivescovo di Milano, difficile che in lui non emerga, in queste ore, un certo senso di rivincita, visto che diventa il capo di quella diocesi, che è poi la sua diocesi di nascita, nella quale quarant’anni fa non riuscì a essere ordinato prete (dovette “emigrare” a Teramo).

Sullo sfondo, in ogni caso, resta il problema: il funzionamento degli organi decisionali della Chiesa e la capacità di giudizio e di scelta di coloro (oggi i vescovi, domani i cardinali) che sono chiamati a decidere in un’epoca in cui la macchina dell’informazione, se pilotata in un certo modo, può diventare un soggetto determinante nell’orientare il consenso.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 22.48
Titolo:Milano, entri Scola ed esca il popolo di Dio ....
DON PAOLO FARINELLA - Milano, entri Scola ed esca il popolo di Dio *

Habemus Scolam. Come volevasi dimostrare. Il cardinale Martini, malato, è andato a Roma a perorare Milano, il cardinale Tettamanzi è andato a Roma a supplicare il papa perché non interrompesse una linea pastorale che da Montini, a Colombo, a Martini e a Tettamanzi ha mantenuto di fatto la rotta sulla indicazione del concilio ecumenico Vaticano II, facendo di Milano in un certo senso il «contr’altare» della Curia Romana, il segno, seppur debole, di una ecclesiologia plurale, eppure il papa sceglie l’antico, e guarda al passato.

Amico personale del papa, garante delle idee di Joseph Ratzinger, ipergarante di Comunione e Liberazione che ora ingrassa anche all’ombra della «Madunnina», l’ex patriarca Angelo Scola prende possesso della Chiesa che fu Ambrogio con grande cipiglio e anche un pizzico di vendetta. Quando era in seminario a Milano fu mandato via per le sue impurità nei confronti di CL e ora ritorna a consacrare CL come «modello di ecclesialità» rampante che sguazza bene anche nel malaffare attraverso la Compagnia delle Opere, vero sigillo di satana.

Il papa non ha tenuto conto delle consultazioni, degli appelli dei credenti milanesi e non, dell’identikit che gruppi ecclesiali hanno prospettato, ma ha scelto «motu proprio» non secondo gli interessi della Chiesa milanese e universale, ma secondo gli esclusivi interessi suoi personali e dei gruppi che egli protegge. E’ indubbio che l’elezione di Scola a Milano è un regno di transizione, quanto basta per rompere la «tradizione ambrosiana» aperta al futuro. Il passaggio infatti di Scola da patriarca ad arcivescovo (il cardinalato è a sé anche perché resta una carnevalata), formalmente è una retrocessione perché per il protocollo il patriarca di Venezia è titolo onorifico che precede il cardinale e l’arcivescovo.

Se addirittura c’è una retrocessione protocollare, significa che la posta è alta e gli interessi sono cogenti: Scola deve garantire la rottura, anzi la discontinuità tra i suoi predecessori e il suo successore. Milano deve rientrare nell’orbita della Curia Romana e non deve permettersi di assumere posizioni differenziate nei confronti della società civile (non credenti, divorziati, matrimonio, politica e politica governativa) e tutto deve essere riportato all’obbedienza «pronta e cieca» di memoria fascista.

Scola vuol dire: sguardo, cuore, reni, fegato e frattaglie rivolte a Trento, anzi più indietro, verso il tempo avanti Cristo, quando si stava sicuri anche dei sospiri perché chi dissentiva veniva fatto fuori, come poi imparò bene la chiesa medievale. La nomina di Scola è una lettura del pontificato ratzingheriano sul quale ormai è morta non solo la speranza, ma anche l’ipotesi di speranza. Un papato chiuso in se stesso, diffidente di se stesso, un papato che ha come segretario di Stato un Bertone qualunque (perché un qualunquista come Bertone, è difficile trovarlo anche con la lanterna di Diogene) non può che volere uno Scola a Milano.

L’elezione di Scola a Milano è anche un contro bilanciamento all’elezione «laicista» di Pisapia a palazzo Marino, eletto da buona parte di cattolici. Ora le distanze torneranno di sicurezza, di sorveglianza e tutto quello che varerà la giunta in materia di diritti civili ecc. sarà spiato, soppesato, contraddetto, distanziato.

Che pena vedere le foto di Scola che brilla nei suoi polsini dorati, nel suo orologio d’oro, nella sua croce d’oro, nella sua gualdrappa rosso porpora, nel suo cappello a tre punte, rigorosamente rosso. Mi chiedo se uno vestito così poteva entrare nel cenacolo o se non stava meglio alla corte di Nabucodònosor tra i satrapi e gli eunuchi di corte. Ora è l’ora della Chiesa intesa come popolo di Dio: o rialza la coscienza e la schiena, magari piegando le ginocchia, o si sotterra e perde il diritto di lamento perché il «mugugno» solo a Genova è gratis.

E’ il tempo dei laici che non possono più lasciarsi trattare da chierichetti cresciuti e rincitrulliti. Ora è il tempo delle sorprese. Le sorprese del popolo di Dio che può essere capace di convertire i vescovi come i poveri fecero con Mons. Oscar Romero, con Mons. Hélder Cámara e tanti altri. Entri Scola ed esca il popolo di Dio.

Don Paolo Farinella

* MICROMEGA, 29 giugno 2011

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/06/29/don-paolo-farinella-milano-entri-...