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Ultimo aggiornamento: March 23 2011 16:02:12.
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 23/3/2011 | 16.02 |
Titolo:HAWKING E PENROSE SULLE ORME DI GALILEO, NEWTON, E KANT .... |
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Hawking e Penrose alla ricerca delle leggi che reggono il cosmo
La sfida è definire la «teoria del tutto» di Stefano Gattei (Corriere della Sera, 23.03.2011) «Che cosa sappiamo sull’universo, e come lo sappiamo?» : con questa domanda Stephen Hawking apriva nel 1988 Dal Big Bang ai buchi neri, diventato in poche settimane un bestseller nel campo della divulgazione cosmologica. Lo scienziato occupava la prestigiosa cattedra «lucasiana» di matematica all’Università di Cambridge, che prima di lui era stata, fra gli altri, di Newton, Babbage e Dirac, e arrivò a conquistare milioni di lettori in tutto il mondo, coniugando il rigore espositivo a una prosa accattivante. Al grande successo del volume contribuì non poco anche un’abile strategia editoriale, che sfruttò l’impatto emotivo della malattia — il «morbo di Gehrig» — che da anni costringe Hawking a comunicare con un computer e un sintetizzatore vocale montati sulla sua sedia a rotelle. Oltre a possedere notevoli doti umane, Hawking ha al suo attivo anche una lunga serie di importanti contributi scientifici. In particolare, a partire dal 1965, in collaborazione con Roger Penrose, fisico e matematico di Oxford, lavorò alla teoria dei buchi neri e delle singolarità gravitazionali dello spaziotempo. E nei primi anni Settanta inaugurò un originale filone di ricerca applicando tecniche di meccanica quantistica in un contesto di relatività generale, dimostrando, fra l’altro, che i buchi neri non sono in realtà del tutto «neri» , ma emettono radiazione (la «radiazione di Hawking» , appunto) e sono quindi destinati a «evaporare» lentamente. Dal punto di vista filosofico, Hawking ha da sempre fatto propria una posizione «convenzionalista» : ai suoi occhi, una teoria cosmologica è costituita semplicemente da un modello dell’universo, o di una sua parte limitata, e da un insieme di regole che mettono in relazione le quantità presenti nel modello con l’esperienza. Una teoria, in altre parole, non può né deve aspirare alla verità: è sufficiente che descriva con precisione un ampio numero di osservazioni e faccia predizioni ben definite. In questo senso, e solo in questo senso, Hawking afferma che fine ultimo della scienza è arrivare a formulare una singola «teoria del tutto» , in grado di descrivere l’intero universo in cui viviamo. Se mai vi perverremo essa dovrà diventare, col tempo, comprensibile a tutti, almeno nei suoi aspetti generali. Perciò ognuno dovrebbe essere in grado di partecipare alla discussione di quesiti fondamentali, quali perché noi e l’universo esistiamo. Scienza specialistica e divulgazione «leggera» — nel senso che Italo Calvino diede a questo termine in Lezioni americane: non superficiale e sciatta, tesa soltanto a rincorrere il successo commerciale, ma rigorosa e articolata, pur senza cadere nell’eccessivo tecnicismo— sono dunque alleate e non rivali nella diffusione del sapere scientifico e della consapevolezza critica. Il dialogo fra Hawking e Penrose, raccolto nelle lezioni tenute all’Isaac Newton Institute for Mathematical Sciences dell’Università di Cambridge nel 1994, si muove proprio in questa direzione, documentando una discussione intensa ma accessibile su alcune idee chiave relative alla natura dell’universo. Scriveva Kant, in Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? (1784), che il solo modo per attuare il «rischiaramento» tra gli uomini è quello di «fare uso pubblico della ragione in tutti i campi» . Egli invitava gli studiosi a confrontarsi con l’intero spettro dei lettori, evitando di rivolgersi ai soli specialisti, poiché la scienza può salvaguardare la propria libertà soltanto a condizione di rivolgersi a tutti. Lo aveva ben capito Galileo, che scelse il volgare per raggiungere il maggior numero possibile di lettori. Come lui, molti grandi scienziati si sono cimentati in esposizioni divulgative dei propri risultati: se infatti da un lato la comunicazione efficace di idee e scoperte rende la scienza un sapere controllabile perché pubblico, dall’altro lato le restituisce la tipica problematicità che la caratterizza, salvaguardandola tanto da ingerenze esterne quanto dai danni di un’esasperata parcellizzazione specialistica. E contribuisce a rafforzarne i legami con gli altri campi del sapere. |