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LE DONNE: 8 MARZO 2012, ANCORA STREGHE. Nel terzo millennio dopo Cristo, le religioni dovrebbero andare in analisi! Una nota di Giancarla Codrignani,a c. di Federico La Sala
Ultimo aggiornamento: March 08 2012 14:04:43.
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 06/3/2012 | 17.15 |
Titolo:DA MILLENNI - Non solo il mondo dell’economia, ma anche il mondo dell’etica, ha ... |
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Donne e violenza problema politico
di Sergio Givone (Il Messaggero, 6 marzo 2012) Come ci ricordano i più recenti fatti di cronaca, non solo il mondo dell’economia, ma anche il mondo dell’etica, il mondo dove leggi non scritte regolano i rapporti tra gli uomini, ha il suo sommerso. La violenza sulle donne serpeggia tra di noi, nelle famiglie, nella società civile, ma viene tenuta nascosta, taciuta, come cosa di cui non si vorrebbe né parlare né sentire. Eppure è sempre lì, non meno presente che in epoche in cui il diritto ben poco diceva in proposito. Nel frattempo la famiglia si è profondamente trasformata. La sua legislazione si è uniformata a costumi più civili e più consoni alla dignità di questa fondamentale istituzione. Vedi ad esempio la legge sullo stalking: che è una buona legge, a protezione di chi prima neppure si immaginava dovesse essere difeso dall’ira o dalla furia del proprio coniuge o dei propri familiari. Ma è rimasta come una zona d’ombra, un lato oscuro, dove si susseguono gli episodi di una saga dell’orrore. L’altro ieri a Brescia, ieri a Verona. I comportamenti di tanta brava gente «normale» sembrano governati da una sorda e cupa irrazionalità, da un folle impulso distruttivo, da una sete di vendetta e di sangue. Di fronte alla separazione, c’è chi letteralmente impazzisce. E anziché trovare un compromesso e costruire un nuovo ponte verso la vita che continua (quando un legame si spezza, resta sempre qualcosa, a volte qualcosa di molto importante e prezioso), preferisce annientare la vita altrui e la propria. Che dire? Evidentemente quel rapporto non era un rapporto tra due persone, ma una forma di possesso e di dominio dell’una sull’altra. Da una parte il padrone, dall’altra una sua proprietà inalienabile, un oggetto, una cosa, che non appena rivendica la sua autonomia, viene ridotta a nulla, poiché agli occhi del padrone non è più nulla. Lui stesso a quel punto non sa più chi è. E si ammazza o tenta di farlo. Accecato dalla gelosia, si dice. Spinto a un gesto insano dal proprio demone e cioè dal bisogno di affermazione, dalla prepotenza, dall’egotismo. Tutto ciò - si aggiunge - sarebbe in fondo una caratteristica di un popolo come il nostro, popolo passionale, votato al melodramma, e comunque poco propenso all’autocontrollo e all’esercizio delle virtù civili. Spiegazione, questa, che in realtà non spiega niente. Perché qui non si tratta di melodramma o non melodramma. Si tratta di sapere o non saper gestire una situazione autenticamente drammatica come per l’appunto una separazione (che è sempre tale, anche quando si vorrebbe bastasse il buon senso e una stretta di mano), dal momento che niente è così difficile come essere all’altezza del dramma che la vita prima o poi ci costringe a recitare. E chissà se anche oggi gli uomini politici si fanno domande di questo genere. In agenda le questioni economiche e finanziarie prevalgono sulle altre, ma sempre lì si va a parare. Prendiamo l’evasione fiscale. Sarà pure una tendenza incoercibile degli italiani. Ciò non toglie che il sommerso possa essere portato alla luce e sanzionato di conseguenza. Magari nella prospettiva di una educazione al bene comune. Lo stesso vale per la violenza sulle donne. È anch’esso un mondo del sommerso, mondo dove ciò che non si vede e non si sa prevale di gran lunga su ciò che è noto. Ma perché non esplorare questo mondo sciagurato e maledetto con tutti i mezzi di cui si dispone? Perché non approntare una legislazione che faccia giustizia, per quanto è possibile, di un crimine tanto odioso? |
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 07/3/2012 | 16.14 |
Titolo:DONNE UCCISE. La famiglia italiana fa più vittime della mafia ... |
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La famiglia italiana fa più vittime della mafia
di Luisa Betti (il manifesto, 7 marzo 2012) Tante, troppe, le donne uccise «in quanto donne» in Italia. Una strage che si consuma per lo più dopo mesi di liti e violenze dentro le mura domestiche e che spesso vede protagonisti uomini che non accettano di essere lasciati. Le donne uccise da uomini sono sempre di più: 127 del 2010, 137 nel 2011 e sono già oltre 37 i femmicidi nei primi due mesi di quest’anno. La Casa delle donne di Bologna, che ha coordinato la ricerca sul femmicidio nel «Rapporto ombra» sulla condizione delle donne italiane elaborato dalla piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW» presentato lo scorso luglio alle Nazioni Unite di New York, dimostra che il femmicidio è aumentato. Nello studio si mette in rilievo come «in Italia a partire dall’inizio degli anni ’90 il numero di omicidi in generale è fortemente diminuito mentre il numero di omicidi delle donne è raddoppiato». I dati della ricerca sono stati presi dai casi riportati solo sulla stampa, perché in Italia, a differenza di Francia e Spagna, non è stato ancora istituito un osservatorio speciale per il femmicidio e non esistono dati pubblici ufficiali «differenziati» forniti dal ministero degli Interni. I numeri comunque parlano chiaro: nel nostro paese, nel 1992, gli omicidi di donne rappresentavano il 15,3% degli omicidi totali, mentre nel 2006 rappresentavano il 26,6 %. Negli ultimi tre anni, dal 2006 al 2009, le vittime di femmicidio in Italia sono state 439. Contrariamente al senso comune, solo una minima parte di casi (15%) è avvenuta per mano di sconosciuti. Più della metà delle vittime (il 54%) è stato ucciso nell’ambito di una relazione sentimentale: il 36% dal marito e il 18% dall’amante, dal partner o dal convivente, nel 20% dei casi da un parente e solo nel 4% da un semplice conoscente. Quasi sempre la violenza si protrae nel tempo: su dieci uccisioni di donne, tre quarti sono precedute da maltrattamenti e abusi fisici o psicologici, il che dimostra un legame, nella violenza familiare, che può sfociare in un omicidio, tra il sentimento di «orgoglio ferito, di gelosia, di rabbia, di volontà di vendetta e punizione nei confronti della donna», e la trasgressione di un modello comportamentale, un concetto che coinvolge stereotipi culturali legati a una cultura patriarcale. Quando Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza di genere (che a gennaio di quest’anno ha visitato l’Italia), ha spiegato la nostra situazione, ha parlato esplicitamente della violenza domestica come della «forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane», cioè la più diffusa e la più capillare, presente tra il 70 e l’87% dei casi. Barbara Spinelli, avvocata del gruppo delle Giuriste democratiche esperta di femmicidio, fa notare come «la famiglia italiana uccide più della mafia, più della criminalità organizzata straniera e di quella comune», che «il posto più insicuro per la donna è la propria casa». Ma il femmicidio, che cos’è, chi lo compie? Quasi sempre si tratta di uomini insospettabili, uomini «per bene» che a un certo punto decidono di uccidere chi amano. Maria Monteleone, procuratrice aggiunta nel pool antiviolenza di Roma, dice chiaramente che nel «90-95% dei casi è sempre l’uomo a commettere maltrattamenti, abusi e violenze»: «Io non credo che si uccida per gelosia - spiega Monteleone - per me la gelosia è un pretesto, un alibi di cui non si deve tenere conto. Una persona, che di natura non è violenta, difficilmente arriva a eliminare fisicamente l’ex coniuge o il partner». Una parte importante la fanno anche i mass media. Citando ancora il «Rapporto ombra»: «I media spesso presentano gli autori di femmicidio come vittime di raptus e follia omicida, ingenerando nell’opinione pubblica la falsa idea che i femmicidi vengano perlopiù commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di aggressività improvvisa. Al contrario, negli ultimi 5 anni meno del 10% di femmicidi è stato commesso a causa di patologie psichiatriche o altre forme di malattie riconosciute e meno del 10% dei femmicidi è stato commesso per liti legate a problemi economici o lavorativi». Anna Cappilli, 81 anni, è stata trovata morta ieri - 6 marzo 2012 - nella sua abitazione a Torino, soffocata con un fazzoletto in bocca. Un uomo di 45 anni, vicino di casa della signora, è stato fermato dai carabinieri per l’omicidio. È l’ultima, in ordine cronologico, delle 37 donne uccise da uomini in Italia dall’inizio dell’anno, così come riportati dalla cronaca nera. In molti casi le indagini sono ancora aperte e non ci sono ancora state condanne definitive. |
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 08/3/2012 | 14.04 |
Titolo:Questione femminile e Chiesa cattolica |
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Questione femminile e Chiesa cattolica
Un dialogo necessario di Marinella Perrone (l’Unità, 8 marzo 2012) Sono stata invitata a una tavola rotonda che si terrà oggi, l’8 marzo. Il luogo è insolito, una parrocchia romana (San Saturnino), e la prospettiva tutt’altro che retorica. Si cercherà infatti di mettere a fuoco il complesso rapporto tra donne e chiesa cattolica, in particolare negli ultimi 50 anni, a partire cioè dall’apertura del Concilio Vaticano II. L’insieme è per me a dir poco incoraggiante perché da troppi anni, anche nella mia chiesa, se si parla di 8 marzo è per dire che sarebbe meglio non parlarne. Non so come e perché l’8 marzo è stato fatto slittare da giornata delle donne a festa della donna. Archiviato come residuato ideologico d’altri tempi, resiste stancamente come paccottiglia kitsch asservita ai dettami della commercializzazione. Per quanto mi riguarda, ho cercato di non arrendermi e ho sempre difeso l’8 marzo come segno del diritto a coltivare una memoria, prima ancora che a celebrare una festa, e del dovere, anche da parte delle istituzioni, di pronunciare parole di acquisita consapevolezza storica e sociale, politica e esistenziale. C’è stato un momento in cui anche le donne cattoliche mettevano l’8 marzo in agenda. Ricordo una grande manifestazione nell’auditorium dell’università pontificia dell’Antonianum, in cui parecchie centinaia di donne cattoliche, religiose e laiche, hanno provato a mandare in scena il “loro” 8 marzo, alternativo a quello festoso e ruggente, delle piazze. Ma la tediosa discussione, del tutto di scuola, in cui si sono prodigate anche molte opinioniste donne per diversi anni ha minato ragioni e scopi di una giornata che aveva il merito di ricordare la nascita delle donne, di tutte le donne, alla soggettualità storico-politica. Ancora una volta hanno vinto coloro per i quali parlare di donne è inutile se non pernicioso, coloro che esaltano la persona umana, purché non sia “generata”, non sia cioè cosciente di essere nata e cresciuta dentro un sex-gender-system che contribuisce a stabilire la verità e la qualità della sua esistenza pubblica e privata. E poveri extracomunitari che tentano di vendere spenti ramoscelli di mimosa ai semafori sono un’ulteriore forma di oltraggio alle donne. Nel frattempo, mentre sprofondava vistosamente nella classifica dei Paesi che rispettano e promuovono i diritti delle donne e guadagnava altrettanto vistosamente posizioni per l’inarrestabile crescita del numero degli omicidi di genere, il nostro Paese, insieme alla chiesa cattolica italiana, si proponeva con vigore come baluardo di difesa dei diritti non negoziabili. Il fatto che da qualche parte si voglia di nuovo provare ad ascoltare le donne non è cosa da poco. Probabilmente ha continuato a succedere in questi anni, magari proprio in alcune parrocchie, e non ha fatto notizia. Oggi il clima, finalmente, sta cambiando, anche nell’informazione. La chiesa cattolica, come anche le altre chiese, non possono sottrarsi a guardare con lucidità al ruolo decisivo che esse hanno giocato per decidere la qualità della vita delle donne, dato che sono state sia formidabili potenziali di emancipazione sia terrificanti luoghi di asservimento. Vale anche per le chiese, in fondo, la domanda: se non ora, quando? |